giovedì 10 ottobre 2013

Se potessi avere mille vecchie lire

Oh, è già la sesta volta che inizio il pezzo che mi hai detto di scrivere su Giuseppe Verdi e non ci riesco mica, a dire tutte le cose che volevo dire.

Volevo dire che la prima volta che ho visto Giuseppe Verdi è stata la prima volta che mia mamma mi ha dato mille lire.
Volevo dire che la prima volta che ho sentito la musica di Giuseppe Verdi è stato con uno sceneggiato della Rai che mia madre voleva assolutamente vedere e che vidi anch'io puntata per puntata e mi appassionai un casino.
Volevo dire che sono proprio orgoglioso che sia emiliano e che anche se c’è una grande disputa sul dove fosse esattamente Roncole di Busseto, direi che allora sono orgoglioso che sia della pianura padana e che sia un peccato che la parola “padano” abbia preso quella piega lì.
Volevo dire che è stato anche un parlamentare e poi quando si è reso conto che non era il suo mestiere è venuto via, che è mica da tutti.
Volevo dire che uno che, nel 1848, quando il tuo paroliere ti sollecita per delle scadenze e scrive “che musica avete composto maestro?” risponde “L’unica musica che voglio sentire è quella del cannone” ha tutto il mio rispetto.
Volevo dire che da piccolo il prete lo buttò fuori dalla chiesa e lui gli disse “C’at vegna un fulmen” e poi un fulmine colpì il prete di Busseto per davvero, lasciandolo secco.
Volevo dire che uno che per tutta la vita cerca un’opera buffa e poi ci chiude la carriera secondo me è un grande.
Volevo dire che quando lo chiamavano “Maestro” e lo definivano “compositore” o “musicista” lui rispondeva che era un “Uomo di teatro” e infatti a parte opere drammaturgiche non è che abbia composto molto, però poi quando ha scritto la Messa da Requiem provalo tu a fare un “Dies Irae” così.
Volevo dire che quando si scriveva con i suoi librettisti diceva che bisogna dare “un occhio all’arte e uno alla cassetta” e oggi invece lo vediamo come uno che ci parla da una vetta irraggiungibile e che secondo me è un poco come quando Tom Petty diceva “Mai capito a cosa servisse fare dischi che non piacciono a nessuno”.
Volevo dire che in neanche 3 anni ha buttato fuori dal cilindro “Rigoletto”, “Il trovatore” e “La traviata”, scritti e orchestrati.
Volevo dire che “Rigoletto” doveva essere censuratissimo e lui ad un certo punto disse una cosa che fa molto ridere ma se la dico poi rovino il finale a chi non ha mai visto quell’opera lì, che in assoluto (volevo dire anche questo) è la mia preferita.
Volevo dire che in generale la censura e i vari finanziatori delle opere di Verdi gli hanno sempre rotto le balle un sacco facendogli fare aggiustamenti qui e aggiustamenti là e spostandogli delle trame intere, roba che a confronto quando oggi una compagnia discografica dice che vuole “un missaggio diverso” per un disco di musica rock, la band di turno dovrebbe dire “Si, va bene” e basta.
Volevo dire che a Verdi gli hanno fatto due funerali.
Volevo dire che Verdi disse a Boito “Poche parole, ma significanti” perché voleva sfrondare dai libretti il più possibile.
Volevo dire che mentre Tchaikovsky (o come si scrive) nel primo movimento della Sinfonia Nr. 6 “patetica” ha il suo bel tema discendente che torna a farsi sentire cento volte perché doveva essere un bel filone e aveva capito che più volte lo faceva sentire e più volte i russi si pisciavano addosso dalla commozione, Verdi si permette di tenere “Amami Alfredo” e il suo motivetto appena in otto battute, sedici se contiamo l’ouverture, e che nell’Aida, nell’Otello e nel Falstaff inizia una scrittura dove c’è un flusso narrativo continuo e dove ci sono temi che altri avrebbero ripetuto cento volte e lui invece pum, una botta e via e chi c’era c’era, che è un bel lusso.
Volevo dire che quel lusso lui ha cominciato a pensarlo già ne “I vespri siciliani” e da lì in avanti perfeziona sempre quella ricerca lì.
Volevo anche dire che è vero che la sua seconda opera, “Un giorno di regno”, è una roba da poco paragonata al resto, ma provateci voi a scrivere un’opera buffa mentre vi muoiono la moglie e un figlio e poi vediamo come vi viene.
Volevo anche dire che alla fine gli “anni di galera” non è che poi siano stati così di galera, nel senso che lui ha usato quest’espressione soltanto una volta e che quando è andato a curarsi alle terme dicevano che non stava mai fermo, che era un vulcano e che aveva voglia di lavorare.
Volevo dire che “Nabucco” non è tutto questo lavoro rispetto al resto, però poi quando parte il “Va’ pensiero” uno non è che poi possa star lì tanto a parlare, dopo.
Volevo anche dire che, a parte la Strepponi, ci sono delle lettere dove dice “Salutami chi sai tu” in una maniera che secondo me la Strepponi quando passava dalle porte un poco si doveva chinare, ma magari mi sbaglio.
Volevo dire che non doveva mica esser facile vivere con una donna facendoci le cose che fanno uomo e donna senza sposarsi, nella seconda metà degli anni ‘50. Soprattutto nella seconda metà degli anni ’50 del secolo diciannovesimo.
Volevo dire che al mio funerale mi piacerebbe molto che qualcuno cantasse “Arrigo parli a un core” da “I vespri siciliani”, però ci vorrebbe anche un pianoforte e quindi mandata da un disco va benissimo e a questo punto mi piacerebbe che la voce dentro al disco fosse quella di Katia Ricciarelli.

Volevo dire che volevo dire un altro casino di cose, ma non riesco mica a dirle, facciamo che pubblichi questo coso qui e anche se è fatto male e scritto peggio poi uno se lo legge se vuole e sempre se vuole si incuriosisce e ci pensa poi da solo ad avvicinarsi a Verdi, che in fondo Verdi è POPOLARE nel miglior senso del termine.

1 commento:

  1. Bello. Sarebbe piaciuto anche a Bruno Barilli e a Marzio Pieri (a Gabriele Baldini mi sa di no).

    RispondiElimina