martedì 18 giugno 2013

Dialettica (14)

In un libro bellissimo di poesie di Raffaello Baldini che si chiama Ad Nòta (che in dialetto di Santarcangelo di Romagna vuol dire Di notte), recentemente ristampato in formato elettrico dall'editore Sugaman, c'è una poesia che fa così:
NOMI

Non ti puoi ricordare, tu, ci stava Coso, lì,
nel primo portone
che ci s'entrava anche da dietro, dall'orto,
come si chiamava? Coso, che sua moglie
faceva la magliaia, no Protti, no,
cosa c'entra Protti, che stava nel Casone [...]
e poi continua, è un po' lunga, se volete leggerla tutta comprate il libro. Quel che ci interessa adesso è la versione originale della poesia, in dialetto di Santarcangelo di Romagna, che fa così:
I NÓM

Ta n t pò ’rcurdè, tè, u i stéva Cós, alè,
te préim purtòun,
ch’u s’i antréva ènca da di dri, da l’órt,
cmè ch’u s ciaméva? Cós, che la su mòi
la féva la maièra, no Prot, no,
csa i éintral Prot, ch’e’ stéva te Casòun, [...]
e poi continua, che è lunga come la versione in italiano (per forza, è la stessa poesia).

Poi ieri sera m'è capitato di leggere un libro che è uscito qualche mese fa, un libro di poesie di Giovanni Previdi che si chiama Due fettine di salame, poesie (che in dialetto di Villa Poma in provincia di Mantova, quasi al confine con la provincia di Modena, si dice Dó ftìni 'd salàm puezìi), recentemente pubblicato di carta nella Compagnia Extra dell'editore Quodlibet. Dentro c'è una poesia che comincia così:
PISTOLARE

Quando eravamo ragazzi, io e coso, com'è che si chiamava?
mi son dimenticato, dài, coso,
non mi viene mica in mente il nome, dài, coso,
il figlio del gommista, ah sì, Sergione,
io e Sergione ci godevamo da matti,
dopo mezzogiorno, nell'ora bassa, d'estate, [...]
e poi continua, è un po' lunga, se volete leggerla tutta comprate il libro. Quel che ci interessa adesso non è tanto l'omaggio a Baldini, quanto la versione originale della poesia, in dialetto di Villa Poma in provincia di Mantova, quasi al confine con la provincia di Modena, che fa così:
PISTULÀR

Quànt k'a séran pütlét, mi e bagài, cum è k'al 's ciamàva?
am son dasmengà, dài, bagài,
an végn mia in mént al nóm, dài, bagài,
al fiöl dal gumìsta, ah sì, Sergión,
mi e Sergión as gudéan da mat,
al dopmezdì, a la basóra, 'd istà, [...]
e poi continua, che è lunga come la versione in italiano (per forza, è la stessa poesia).

Appena ho collegato le due poesie, a mente, ieri sera, quella cosa lì di "coso", che in santarcangiolese rimane "coso" (cós), mentre in dialetto di Villa Poma in provincia di Mantova, quasi al confine con la provincia di Modena, diventa bagài, mi ha fatto pensare che anche nel mio dialetto, di Novi di Modena in provincia di Modena, al confine con la provincia di Mantova, "coso" diventa bagài. Allora per i romagnoli di Santarcangelo di Romagna, sembra, l'identità è quasi una cosa che ci si appiccica addosso, come un distintivo, o un cartellino, una scritta sul davanti, dove un nome è un nome, che ci si può dimenticare, ma quello là, dài, come si chiamava, rimane qualcuno, rimane coso. Mentre per noialtri della bassa mantovana e modenese (ma anche di quella reggiana, valà) la questione è un po' più drastica. È come se, per noi, l'identità, quella pubblica, fosse una valigia da portare in giro e farla vedere, aperta, dove dentro ci sono niente di meno che tutti i nostri connotati. E se per caso di qualcuno la valigia rimane chiusa, o se non ci si ricorda che cosa c'era dentro se quel qualcuno non ce più o non si fa vedere da tempo, ci si chiede quali sono o quali fossero i suoi connotati, e com'è che si chiamava, quello là, dài, coso, bagài. Bagaglio.

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