mercoledì 10 aprile 2013

Il mio Tamagotchi si droga

di Cristiano Micucci "Mix"

Lo acquistai nel 1997, appena uscito, quando non ero già più un ragazzino. L'idea di una creatura virtuale, sebbene si trattasse nient'altro che di un giocattolo, mi affascinava troppo. Al di là dell'oggetto fisico in sé, era un cucciolo di software, una forma minimale di vita digitale. Come resistere?
Le sembianze ovoidali erano azzeccatissime. Ad Akihiro Yokoi e Aki Maita, gli Adamo ed Eva dei Tamagotchi, dev'essere esploso il cervello quando compresero che quella foggia non solo era concettualmente perfetta – non è forse l'uovo la base della vita? – ma era pure comoda da portare in tasca. In più, quei colori sgargianti avevano un impatto visivo perfettamente all'altezza delle altre pubblicità della fascia pomeridiana di Italia1.
Andai a comprarlo presentandomi con quell'aria svagata e un po' impaurita di chi non acquista per sé, ma per certi lontani cugini di fuori che non vede quasi mai, o per i figli di qualche amico più grande. Il prezzo non me lo ricordo; di certo fu ridicolo, per essere quello di una vita.
Lo portai a casa, aprii la confezione e feci schiudere l'uovo (le batterie erano incluse). Così divenni genitore.
Iniziai ad aver cura di questo cucciolo digitale. Per cominciare gli diedi un nome; anzi, un nome e un cognome, come si addice a qualsiasi creatura, biologica o artificiale che sia: lo chiamai Drago Mastelloni. Delle motivazioni che mi portarono a dargli un nome del genere non ho più memoria, per fortuna. Col senno di poi posso dire che forse sarebbe stato più musicale Draco, con la c, ma parliamo di sfumature. Spesso ce lo chiamavo, comunque, con la c, per scherzo.
Essendo padre e madre allo stesso tempo, oppure ragazzo-padre, se amate il dramma socio-sentimentale, mi feci ovviamente carico di tutte le attenzioni che un neonato sintetico richiede: il cibo, il sonno, il gioco, l'igiene, la salute fisica (quella mentale era un problema tutto mio, in caso), la disciplina. Avevo a disposizione un'interfaccia con tre tasti e una montagna di zelo.
Mi rivelai un genitore perfetto. Drago Mastelloni cresceva sano e robusto, diligente e sveglio. Esagerai appena un po' col cibo, all'inizio, forse per entusiasmo, forse per riflesso, ma la cosa in breve rientrò nella norma. Avevo sentito di genitori incapaci e degeneri, spesso troppo giovani e impreparati, che avevano portato il proprio cucciolo alla morte, convinti che il Tamagotchi fosse un semplice passatempo.
Non era certo il mio caso: dopo due settimane Drago non solo era vivo e vegeto, ma il suo livello di maturità era sbalorditivo. Nel volgere di un'altra settimana divenne quasi completamente autonomo per molte delle necessità di base: mangiava e dormiva regolarmente, era pulito e diligente. Poco dopo si limitò a chiedere le normali attenzioni sociali: compagnia, gioco, discussioni calcistiche. Ero diventato amico di mio figlio! A un mese dalla sua nascita, ero un genitore felice.
Poi, la tragedia. Traslocai.
Ancora oggi non ho bene in mente come andarono le cose, e tutto resta avvolto in una nebbia di trambusto e disattenzione. Gli scatoloni, le utenze da disdire di qua e da avviare di là, i viaggi avanti e indietro, le caparre da riavere e da dare, la nuova sistemazione del mobilio: mille pensieri lo allontanarono dalle mie cure, dalla mia vista. Disperato, ma sommerso da questioni che andavano affrontate con immediatezza, potei solo sperare che, maturo com'era, riuscisse a badare a se stesso.

Qualche giorno fa, mentre ero in cantina a fare un po' di spazio per archiviare la cyclette, mi sono imbattuto in uno scatoloncino di quell'era ormai lontana, nascosto in un angolo sempre snobbato dalla luce. Su un fianco portava scritto, a pennarello, "Robe da controllare". Lì per lì ho avuto la tentazione di aggiungere "fra circa vent'anni". Stavo per buttare via tutto in blocco, senza controllare – se era pieno di cose utili, di certo nel frattempo le avevo ricomprate, da buon occidentale consumista –, ma alla fine la curiosità ha prevalso. L'ho aperto e ho iniziato a tirar fuori del gran ciarpame, comprese molte musicassette di gruppi Brit-pop mai giunti al secondo album, nonché un cappello di gommapiuma della Guinness, probabile residuo bellico di un remoto San Patrick's Day. Scavando ancora, sotto una lattina vuota di Moretti su cui qualcuno – io non ricordo di averlo mai fatto – aveva scritto "Giuro che questa è l'ultima", ho visto, abbandonato sul fondo, un oggettino dai colori sgargianti. Era lui, Drago Mastelloni. Spento e silenzioso come solo alla nascita l'avevo visto, l'ho preso in mano nostalgico. Chissà com'era finito là dentro (magari era stato un incidente: stava giocando sul bordo dello scatolone ed era scivolato: chi può dirlo?). A parte una piccola macchia sul display, per il resto sembrava intatto. L'ho tenuto un po' fra le dita, studiandolo con la stessa cautela che avrà l'archeologo del quinto millennio che lo riscoprirà. Poi, vittima forse di un riflesso incondizionato, ho spinto un tasto. E ho visto il Tamagotchi riaccendersi, rivivere. Dopo tanti anni la batteria conservava ancora un minimo di carica (i Giapponesi con le batterie c'hanno sempre saputo fare). Quel poco di energia sufficiente per un ultimo sguardo, per un commiato. Drago, o come mi divertivo a chiamarlo per scherzo, Draco, ormai adolescente, traviato e sfatto, con un mozzicone di sigaretta in bocca, mi ha fissato con lo sguardo vuoto, immemore, e m'ha chiesto: "Che c'hai mille lire?". E poi si è spento.

2 commenti:

  1. oddio il tamagotchi l'avevo rimosso!

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  2. Anonimo9:37 AM

    Bel racconto. Ben scritto. Delicato e ironico e pieno. (E mò basta, che sembro uno Sgarbi buono de sinistra.) Matteo R.

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