lunedì 11 marzo 2013

In Russia c'è da morir dal ridere (8)

Dopo aver scritto una lettera che diceva:
A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol'dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un'esistenza decorosa, ti ringrazio. [...] Come si dice, l'incidente è chiuso. La barca dell'amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici.
Vladimir Vladimirovič si sparò un colpo al cuore nella sua stanzetta di una kommunalka di Mosca, al quarto piano di un palazzo di fronte alla vecchia sede della Lubjanka, appena fuori dalla metropolitana alla fermata Lubjanka – che è un nome, Lubjanka, che lo senti pronunciare a volume basso anche dalla voce registrata che annuncia le fermate della metro.
Comunque, la stanzetta in cui si sparò Vladimir Vladimirovič, dicono, è rimasta proprio com'era, col piccolo ritratto di Vladimir Il'ič sullo scrittorio, la seggiolina sotto la finestra, i libri ordinati nella libreria, le tovagliette sbiadite, la polvere sul divano; avranno solo pulito il sangue, vien da pensare, perché quando ci siamo passati davanti – non si può mica entrare, c'è un cordoncino sulla porta, piccolo, rosso, rispettoso; ci si può giusto infilare la testa – era tutta in ordine. Fuori dal portone principale c'è ancora la targhetta con il nome.

La stanzetta in cui Vladimir Vladimirovič si sparò un colpo al cuore, un bel giorno di metà aprile del 1930, è una delle prime cose che si incontrano nella visita al palazzo, e subito verrebbe anche da dire: veh che stanzetta normale.
Che è un pensiero giusto, se non si considera che il resto della casa di Vladimir Vladimirovič, dal 1989, han deciso di allestirla così.

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