giovedì 14 marzo 2013

Avventure di un utente del Servizio Sanitario Nazionale

[Oggi è la Giornata Mondiale del Rene e il buon Giampaolo Bonora “oasi” ci ha mandato questa storia]

La colica renale è un male da bestia, lo sanno tutti. Io non lo sapevo, l'ho imparato tutto d'un colpo. Quel nome lì, colica, non gli davo peso, non sembrava mica un cosa così brutta. L'ultima volta che mi era capitato ero un bambino. Cussél fàat? chiedeva mio nonno. L'à tràt vìi, rispondeva mia nonna. Al dottore si diceva: “Ha fatto una colica”.

Quando mi ha preso la colica renale non ero preparato, non pensavo che si potesse stare tanto male. Era già notte, ero a casa da solo, in casa non avevo niente di forte per far passare il dolore. Mi dissi, provo a far venir mattina. Ma a letto non riuscivo a stare. In piedi non riuscivo a stare. Chinato non riuscivo a stare. Rannicchiato, non riuscivo a stare. Per me, il peggio della colica renale non è tanto il dolore, che pure è fortissimo, ma il fatto che ti inibisce perfino una difesa simbolica. Che so, premere sulla parte dolorante: niente, davanti ci sono le ossa. O raggomitolarti in posizione fetale: niente, viene da dentro, troppo dentro, proprio in mezzo al corpo, non c'è un muscolo, lì vicino, non c'è una contrazione volontaria che allevia il dolore anche solo per un momento, non c'è interruzione, non c'è distrazione. Sei indifeso, non puoi far niente, tutto quello che ti arriva te lo becchi. Per ore.
Quella volta, verso mattina mi decisi ad andare al pronto soccorso, era la prima volta. Mi misero la flebo di Orudis, mi fecero la lastra: c'era un calcolo, grosso, quasi certamente da operare, per il momento c'era poco da fare se non bere, bere, bere. Intanto, doveva passare l'infiammazione.

Sarà perché non ho mai avuto niente di veramente serio, sarà perché mio padre faceva l'impiegato della mutua e per lui un servizio sanitario pubblico era la cosa che rendeva civile un paese, io della sanità pubblica mi sono sempre fidato. Quando Agnelli si ruppe una gamba a sciare e lo portarono all'ospedale pubblico di Torino, e lo misero in stanza con un operaio, e disse che era contento dei medici, ecco, magari erano tutte balle, ma mio padre si sentì come se alle Olimpiadi avessimo preso più medaglie degli americani. Poi non so, magari il giorno dopo Agnelli comprò l'ospedale e lo fece demolire, però quella cosa lì me la ricordo ancora.
Insomma, passata la colica non avevo troppi problemi a farmi operare.

Piuttosto, come si operano i calcoli? Vox populi diceva che “si bombardano”, non è molto tranquillizzante farsi bombardare. Altrimenti, diceva il mio medico, adesso con la chirurgia endoscopica siamo molto avanti. Anche farsi mettere dei tubi e una telecamera su per l'uccello non è molto tranquillizzante. Ma io della sanità pubblica mi fidavo.
Il percorso di accompagnamento all'intervento era ben progettato, si potrebbe dire friendly: c'è lo specialista che valuta dov'è il calcolo, quanto è grande e tutto il resto, discuti un po' per capire qual è il sistema migliore per intervenire, ti mettono nella lista d'attesa non proprio urgente ma quasi, intanto bere bere bere, dopo poco ti chiamano, ti mandano dall'anestesista che comincia a scrivere sulla cartella e ti dà appuntamento dopo un paio di giorni.
Così mi compro un pigiama nuovo, mi porto “Memorie di Adriano” della Yourcenar e “Narratori delle pianure” di Celati, entro e mi metto ad aspettare. Che bella cosa la sanità pubblica. Non ho paura, proprio per niente.
La mattina dopo mi vengono a prendere, mi danno il beverone di Valium, mi fanno l'iniezione nella schiena, non sentirà più le gambe, mi dicono, non si preoccupi. Il chirurgo è giovane e affabile, mi spiega qualcosa. Io sono interessato a quel che succede, mi sto quasi divertendo, faccio qualche domanda, mettono perfino il monitor in modo che lo possa vedere anch'io. Per un attimo ho il terrore che sul monitor compaia Alberto Angela a commentare dal vivo, ma mi ripiglio subito, è il chirurgo che mi parla:
Eccolo lì il calcolo, vede? Ho già introdotto la camera e la pinza, adesso la spingo lì vicino...”
Be', non sento niente, non pensiamo al traffico lì sotto, di là dal telo verde.
Ecco, adesso lo devo afferrare... no... così non ci riesco... riproviamo
Decisamente meglio di Quark, c'è anche la suspence. Non so cosa mi hanno dato, ma mi sto divertendo.
Oooh, così! ecco, ora lo porto fuori... oh mannaggia...”
Eh sì, ho visto anch'io, il calcolo si è rotto in due o tre pezzi più qualche frammento.
Niente di preoccupante, adesso i frammenti grossi li prendiamo uno per uno, quelli piccoli poi li espellerà.” Bere bere bere, la so già, però comincia a venirmi il dubbio che quella pinza che si agita là dentro qualche segno lo lascerà. Il chirurgo lavora, non è più molto loquace, non voglio rovinargli la concentrazione. Rinuncio a fare il paziente collaborativo, faccio fatica anche a essere paziente.
Prevedo un notevole mal di pancia al risveglio dall'anestesia. Chiedo conferma. Confermano.
Fosse solo quello. Piscio sangue per due giorni. Mi tengono lì un giorno in più.
Finisco tutti e due i libri, ma non è che me li ricordi molto bene.

Comunque poi mi sono ripreso, nel giro di poco là sotto tutto è tornato in ordine.
Non troppo male, via. In confronto a dopo.
Perché alla ecografia di controllo andava tutto bene, nei reni non c'erano altri calcoli, ma buttano un occhio più in là e vedono calcoli alla colecisti. Chissà da quanto sono lì.
Tergiverso un po', perché non mi dànno poi un gran fastidio, ma a un certo punto è meglio operare. Anche qui c'è da scegliere: taglio o laparoscopia (i tre forellini, insomma, e la colecisti si sfila da uno). Anche qui sono indirizzato verso la soluzione più moderna e tecnologica, così i chirurghi giovani fanno esperienza. Accetto, è meglio anche per me. Anche qui finisce che c'è da trafficare più del previsto, alla fine ce la fanno senza addormentarmi del tutto e passare al bisturi, ma non ricuciono abbastanza uno dei tre forellini, dopo un po' lì si forma un'ernia.
Di nuovo dentro a rattoppare.
Non faccio sport, agli addominali non ci ho mai tenuto, però dopo, per un paio d'anni mi sono sentito tirare la pancia tutte le volte che chiamavo in causa quei muscoli lì. Il fastidio mi ha dissuaso ancora di più dall'andare in palestra, per esempio. Così sono un po' ingrassato, ma da una parte sola perché l'altra metà me l'hanno tirata di più per sistemare la plastica lì sotto.

Dalla colica renale sono passati quattro o cinque anni: il degrado della sanità pubblica me lo si legge sulla pancia.

2 commenti:

  1. Oddio. Solidarietà, anche se non ho mai avuto problemi così seri.

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  2. effettivamente spiega meglio questo pezzo che tante inchieste...

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