mercoledì 13 marzo 2013

Accademia della Semola: A(u)reola

L'ultima volta che ho visto un'aureola era su un inserto domenicale di un giornale che non sarà proprio di sinistra ma gli inserti domenicali li fa proprio bene. Che fosse un'aureola c'ho impiegato un po' a focalizzarlo. Ho subito visto solo un limone aperto a metà e piazzato dietro una testa.
Poi, dopo, ho capito che era un'aureola.
Ho visualizzato la parola e, reduce dei miei lungimiranti (a livello professional-proficuo) studi filologici, mi son chiesto perché questa au di aureola non si sia tramutata in o come la o di oro (che deriva da aurum).
Anche perché non c'è cosa più vicina nella lingua e forse più dissacrante per la chiesa di un'aureola che diventa, sopratutto se detta di fretta, un'areola.
Fateci caso, potete giurare, in tutta coscienza e sulla vostra testa, che tutte le volte che avete sentito la parola aureola non abbiate in realtà sentito areola? meno di mezzo secondo d'incertezza e l'avete automaticamente ricollocata nel campo semantico consono alla situazione che stavate affrontando. Ma non ne siete sicuri, vero?
Ora io, per questa cosa, non riesco più a guardare i santini senza immaginarmi i santi sofferenti, meditanti, autoflagellanti, imploranti o miracolanti, se non circonfusi da gigantesche areole rosate, o brunite color caffelatte, sullo sfondo.
Anzi sarebbe molto bello se, invece dei classici pezzi di nastro isolante nero messi a ics, qualche lungimirante casa di produzione hard coprisse le suddette parti con testine di santi illustri.
Forse però sarebbe un filino blasfemo.
Ma sicuro è tutta roba di Madre Natura.

E buon conclave!

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