venerdì 30 novembre 2012

Barabba Elettrolibri: Improbabile dizionario degli insulti cuneesi e del micromondo a sud di Cuneo | Dialettica (13)

Questo libro è dedicato a tutti coloro che credono nella bellezza del dialetto e hanno ancora il coraggio di insegnarlo ai propri figli.
È successo così: è successo che il buon Sba, del quale pubblicammo tanto tempo fa un elettrolibro di viaggio dal titolo Dubai, ha messo sul suo blog, gratis e in pdf, un piccolo saggio sul dialetto cuneese (o giù di lì) chiamato Improbabile dizionario degli insulti cuneesi e del micromondo a sud di Cuneo.

È successo, poi, che quel puntiglioso cuneese - o meglio: margaritano - che è Alessandro Bonino lamentasse pubblicamente il fatto che il libro fosse solo in pdf.

È successo, infine, che, leggendo la lamentela, io mi sia ricordato d'aver fondato non solo una casa editrice inesistente che ogni tanto pubblica degli ebook gratuiti (pensa te che matti), ma anche una collana editoriale inesistente che non pubblica niente, e che si limita a trasformare in epub e mobi dei libri che, come quello di Sba, vengon buttati fuori gratis e solo in pdf.

E allora, niente, adesso succede che nella nostra collana inesistente che non pubblica niente chiamata Barabba Elettrolibri c'è anche l'Improbabile dizionario degli insulti cuneesi e del micromondo a sud di Cuneo. Che se lo volete in pdf è sempre nello stesso posto, ma se lo volete in epub o in mobi lo trovate qui.

Buone lettura.

mercoledì 28 novembre 2012

Biografie essenziali (147)

Jonathan Swift era uno che si lavava moltissimo e quando c'era brutto tempo fuori e non poteva cavalcare, andava su e giù per le scale di casa sua, che era a tre piani, un tot di volte, poi si fermava.

lunedì 19 novembre 2012

Son fatto così (19)

Son fatto che son nato e cresciuto, per due terzi buoni della mia vita, in una casa dove non c'era neanche un libro, neanche un disco, e non m'han mai portato al cinema, e allora dev'esser per quello che ho riempito la mia vita, e la mia casa, quella dove vivo adesso, di libri e di dischi, e ho scaricato i film, e sono andato al cinema anche da solo, delle volte, ma però, a pensarci, a guardare indietro, mi accorgo che senza neanche un libro, senza neanche un disco, senza neanche mai andare al cinema, a parte forse quand'erano morosi, credo, i miei son poi diventati delle brave persone, e belle, e intelligenti, e con del senno, come si dice, e io invece... io, mi vien da dire, se mi guardo bene, son sempre lì a cercare di far capire agli altri che so le cose, che le ho lette, che le ho ascoltate, che le ho viste al cinema, e a cercare di avere delle idee originali su quello che ho letto, che ho ascoltato, che ho visto al cinema; e mi salta in mente una scena di quel film molto bello che si chiama Il Divo, dove c'è Francesco Cossiga che dice a Giulio Andreotti che non si deve mica scoraggiare per l'avviso di garanzia per l'omicidio di Pecorelli, ma lui, Andreotti, gli risponde che lui, Andreotti, è scoraggiato dai segni minimi, dal fatto che l'abbian rimosso dalla presidenza dei circoli musicali, e che poi gli toglieranno l'incarico all'istituto di studi ciceroniani e magari anche le lauree honoris causa, e Cossiga sorride e gli dice che pensava d'esser lui, Cossiga, un vanitoso, e invece è lui, Andreotti, che pecca di vanità, ma Andreotti risponde che la vanità non c'entra, e dice precisamente: «io vengo dalla provincia, dalla povertà, la legittimazione culturale, nella mia vita, è sempre stata più importante di quella politica: ho sempre preferito che si dicesse di me "è un uomo colto" piuttosto che si dicesse "è un grande statista".» O un bravo ingegnere, nel mio caso. Son fatto così.

giovedì 15 novembre 2012

martedì 13 novembre 2012

T.U.I.T. (2)

Non sopporto il T9 del cellulare.
C'è poco da fare.
Così come non sopporto quelli che usano le Kappa in ogni dove, che mi fan sentire come se ci fossero ancora gli ostrogoti qui in giro, coi loro spadoni a due mani, i boccali di ferro e i tetti in pietra monoblocco da trecento tonnellate.
Ma torniamo al T9.
Ci sarà sicuro qualche genio che lo ritiene utilissimo ma io anche solo all'idea, certamente del tutto infondata e inconscia, che il programmino del T9 possa prevedere e influire le mie scelte lessicali e linguistiche, proibendomi in automatico tutte le parole straniere, le costruzioni insolite, i nomignoli affettuosi o amicali, lo elimino da ogni situazione.

Una volta però mi sono chiesto se questo fastidio, questo impiccio digitale, non potrebbe essere utile al rinnovo dello stantio scaffale ove riponiamo i classici e sull'onda di un possibile rinnovamento avevo già in mente una nuova collana dedicata a questo grande processo di riscrittura (a costo zero e senza diritto d'autore) della nostra tradizione: La Letteratura Italiana secondo il T9.
Ho iniziato dal più classico dei classici: D(ur)ante Alighieri al principio dell'Inferno
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita
Uguale, provateci anche voi, uguale!
Mi son rivolto al secondo in ordine di arrivo, al nostro poeta capostipite del lirismo e un po' piagnone, Petrarca:
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sorrisi (invece di sospiri) ond'io overgua (nudriva) 'l core
in sul mio primo gioveògle(giovenile) errore
quand'era in parte altr'uno da quel ch'i' sono
Ok, cominciano ad apparire segni di rivisitazione ma sono insensati, inapplicabili a qualsiasi linguaggio da me conosciuto. Proviamo col Leopardi del Sabato del villaggio:
La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio dell'erba e reca in mano
un mazzolio di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta,
dinami, al dì di festa, il petto e il brind (crine)
Niente da fare, praticamente tutto regolare e se si modifica la parola si crea un termine non italiano. Proviamo col grande lombardo, Il Manzoni dei Promessi Sposi:
Quel ramo del lago di Anno, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a semi e a holdi (che sarebbe a seni e a golfi), a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a restringersi, e a prender corso e figura, tra un promontorio a destra, e un'copia (ampia) costiera dall'altra parte.
Niente di rilevante, Como che diventa Anno, le holdi che valgono più dei golfi, un'copia che unisce articoli apostrofati a consonanti, il T9 non è in grado di sovvertire o modificare le basi dell'italiano e l'italiano è ancora uguale a quello del 1300. Questa ne è la dimostrazione scientifica e immutabile.
Anche se, più che a un sostegno nella composizione dei testi, forse i creatori del T9 erano interessati a qualcos'altro, magari alla creazione di una nuova stirpe di scriventi, totalmente dipendente dal loro meraviglioso T9... andate a prendere il nostro baldo Ariosto e provate a digitare l'incipit del suo Orlando Furioso:
Ke donne, i cavalier, l'arme, gli amori,
ke cortesie, l'audaci imprese io canto,
L'invasione dei bimbiminkia...


L'acronimo di questa nuova rubrica, come vi è stato detto la volta scorsa, è Tecnovillano Utilizzo Improprio della Tecnologia.

giovedì 8 novembre 2012

Trucchi della borghesia (75)

Volevo dire che secondo me un trucco della borghesia sono le feste dei quotidiani (la festa del Fatto Quotidiano, la festa di Repubblica, la festa di Pubblico, per dire). E infatti la Festa de l'Unità non esiste più.

(di Cristiano Micucci "Mix")

mercoledì 7 novembre 2012

Pensieri in Apnea: File, attraversamenti e addio (speciale election night&dawn)

Orbene, in queste ore di trepidazione e di inquietudine (sì, non sto dormendo, guardo la mappa degli USA e vedo troppo rosso per i miei gusti, anche se poi razionalizzo "Son tutti piccoli pesci, Utah, Montana, poca roba") son qui a slambiccarmi il cervello su alcune cosette che sono accadute in queste settimane e che mi hanno quantomeno lasciato perplesso, interdetto.
Ma prima di tutto, patti chiari e amicizia lunga: da quel che ho capito, se ho capito bene, se Bara(BB) obAma (si vede che ho letto Cummings? voce off: "Sborone!" Ok, la smetto) vince in Ohio, che letto all'italiana con l'accento sulla prima o (òhio), suona come un piemontese reagirebbe colpendo il comodino col mignolino del piede, e in Florida, che a Modena è un locale di musica latino americana dove Capossela ha passato molte serate strascicate sul piano, mollo tutto, vado a letto sorridente, tranquillizzato, e domani scrivo tutto meglio, bello rilassato.

La prima cosa, che c'entra con stanotte ma poco con l'altra cosa che mi lascia interdetto, ma la devo dire, è semplice, inflazionata, ma pensandoci, inquietante: le file.
Le file davanti ai seggi per votare in America sono una cosa che non ho ancora capito cosa significhino per loro. Per me è fonte di grossi interrogativi.
Stasera durante un servizio ho visto distintamente un elicottero a mezza altezza virare in diagonale e la telecamera inquadrare un marciapiede colmo di persone in fila, e il marciapiede biforcava, e dopo un poco, di nuovo si biforcava, come un arbusto selvatico, e poi l'elicottero virava e la telecamera finiva fuori campo ma in un guizzo si poteva vedere che la coda del seggio non finiva, aveva girato l'angolo, proseguiva ancora, colonizzava il quartiere, come un ematoma, a raggiera, inchiodava il traffico, conquistava il centro, per poi raggomitolarsi dentro i centri commerciali. (Esagero eh? però sembra proprio una roba inarrestabile...)
Perché io non capisco, la nazione più potente del mondo, e i cinesi non mi rompano le balle, fino ad ora non mi hanno ancora dimostrato niente, sì siete tanti, sì, avete tutto, fabbricate tutto e lavorate 90 ore alla settimana ma per ora non avete ancora atomizzato i vostri cugini nippo (e dire che di motivazioni anche storiche ne avete), mentre gli USA l'hanno fatto, quindi 1 a 0 per loro, per adesso, quindi ripeto, la nazione più potente del mondo, non è in grado di concepire seggi accoglienti? cabine multiple? atrii in cui poter rileggere la lista dei candidati, salutare il milite di turno, che sta sempre sorseggiando un caffè oppure legge annoiato la gazza, e allora cerchi il tuo seggio e ti metti a guardare gli altri in fila e poi cominciare il giochino E questo per chi voterà? E questa? uhm, con quella borsa lì sicuro che vota XZ, guarda come sbuffa, sicuro che cc'avevi d'annà a santropez? Ah, ma vedi adesso bella mia, cosa succede stasera, finito lo spoglio... E non fai nemmeno in tempo a finire il pensiero che già ti chiamano a espletare il tuo dovere di rizoma del corpaccione elettorale italiano. Là, in USA, no. A giudicare dalle file, devi prenderti almeno due ore di permesso, e in mezzo, prima o dopo non puoi nemmeno attaccarci un giro dalla sarta, un salto in negozio, un caffé col collega o un prelievo in banca, no! in fila e aspettare. Uno dietro l'altro, che a me, in quei casi lì, che stiamo votando uno contro l'altro, non coalizioni "variegate", che poi si riaggregheranno e si ridisferanno come pulviscolo subatomico, ma Bianco o Nero! Rosso o Blu! a me verrebbe voglia di fare comizi pure lì, oppure di fare comunicazione guerriglia, guardare il cellulare sconsolato, atteggiare una delusione e dire a quelli dietro Eeeeh ragazzi, c'è mio cognato là dentro, dice che fanno lui e altri sei perché poi han finito la carta, e noi si vota domani, se c'abbiamo ancora voglia, io... e poi andare via oppure organizzare un flash mob a forma di stella di David, così stavolta, quando ripassa l'elicottero, perché sicuro che ripassa l'elicottero, almeno vedono qualcosa d'insolito e si fanno una risata.
(Niente, Obama in vantaggio sia lì che là ma ancora niente di certo)
E comunque tutta 'sta fila, a novembre, al freddo, senza nemmeno un thermos di tè, di caffè (vabbeh, loro lo chiamano caffè, lasciamo stare...), all'aperto. Capisco che la democrazia uno un po' deve pure sudarsela, ma così certo non invogli gli indecisi ad eleggere "The president The / president of The president / of the The)president of / the(united The president of the / united states The president of the united / states of The President Of The)United States"

La seconda, che invece è un poco più vicina alle nostre italiche sponde, è la menata delle attraversate, anche se a dirla tutta, io un po' li invidio, perché poter sfidare il mare aperto, avanzare verso un orizzonte vuoto, dove davvero cielo e mare si confondono, le poche volte che ho accennato l'impresa, anche se sapevo che era un mio bluff e che tempo 5 minuti mi sarei fermato, mi sarei voltato e avrei cambiato rotta, m'ha rilasciato una quantità di brividi e di adrenalina che credo nemmeno qualsiasi droga sperimentale possa darmi in egual misura.
(Obama intanto è a 249 su 270...)
Sì, ho scritto attraversate, plurale, perché oltre a quella dello stretto di Messina ad opera di Beppe Grillo (spero che non sia il modo che consiglia anche a tutti noi di ovviare al problema dei collegamenti tra Sicilia e continente - mia nonna, che è di Messina, ha una certa età e potrebbe pretendere a Grillo il bis saltandoci in groppa), a livello infraregionale, pseudolocale, noi assurdi emiliani, allucinati modenesi, in questo "annus terribilis in decade malefica" la settimana scorsa abbiamo scoperto, da giornalisti implacabili e fotografi impietosi, il vano e vacuo (vacuo proprio etimologicamente: nulla, vuoto) tentativo di attraversata del fiume Secchia (non c'entra molto la Secchia Rapita del Tassoni ma se volete stanotte ci ficchiamo pure quella) da parte del segretario della Lega nord modenese.
(Obama ha vinto, scusate, dal quartier generale a Chicago danno Twist and Shout dei Beatles, vado a indossare la maschera, poi torno a scrivere)

Eccomi qui:



Dicevamo, queste attraversate, che a me più che a sfoggi di potere simbolico e fisico, piace associarle al mito di Ero e Leandro, (se mi scappano dei tasti è che non ci vedo poi benissimo così mascherato, ringrazio ancora F.B. per avermela portata da N.Y. due anni fa), a un motivo e a un movimento vero, esaltante e aperto verso l'altro, non un gesto di conquista, ma un gesto d'incontro verso l'altro.
Che dev'essere un po' il sentimento che doveva muovere un tale, di cui non ricordo il nome e di cui non ho trovato traccia in due anni di navigazione in rete, che nel 1800 o nel 1700, l'informazione deriva dalla Settimana Enigmistica (per la serie le Mie Autorevoli Fonti), su una tinozza armata di remi e vela, è stato il primo attraversatore dell'Atlantico in solitaria.
(Ora mi tolgo 'sta maschera perché sennò soffoco)

L'addio appunto è anche questo, si parte da una sponda e si cerca di arrivare dove non si è ma dove si sarà, e così finisce (stavolta davvero) Pensieri in Apnea, ringraziando tutti voi che mi avete letto, i barabbas per il sostegno con in primis Many che non ringrazierò mai abbastanza, e questo nume tutelare ignoto, attraversatore solitario, che per tanti anni e mesi m'ha guidato dalla sua barca sull'abisso dell'oceano, con un esempio sfolgorante e invincibile, proprio perché, per uno strano scherzo del destino, non sapeva minimamente nuotare.

lunedì 5 novembre 2012

Zecche - Meraviglie dalla campagna (7)

Mi piacciono sia i gatti che i cani (che tenero).
Però, chiedetelo a chiunque mi conosca un po’, non appena mi arriva un gatto o un cane sotto tiro, la prima cosa che mi viene spontaneo fare è controllare lo stato delle zecche sul suo corpo.
Se i proprietari degli animali mi conoscono paleso senza paura le mie intenzioni, - Bruno! Vieni qua: controllo zecche -
Se invece sono animali di gente che non conosco abbastanza simulo il mio interesse verso i parassiti fingendo di accarezzare con uno zelo chiaramente eccessivo i loro felini et similia.
Il difficile arriva quando ne trovo una.

Prima di trasferirmi in montagna avevo una paura fortissima delle zecche.
Le storie che si raccontavano erano pazzesche: che le zecche penetravano sotto la carne, facevano una covata e depositavano le uova, poi queste si schiudevano e avevi un’intera famiglia di zecche che ti camminava sotto la pelle fino al cervello e ti uscivano dal naso e dalle unghie e impazzivi e ti facevano rinchiudere al manicomio di Reggio come Antonio Ligabue, che in tanti conoscevano come Laccabue.
La mia prima zecca mi ha tolto il respiro. Non la trovai su di me, ma su uno dei miei gatti, quando ne avevamo solo due e abitavamo a Monterenzio sulle colline di Bologna vicino a un forno che di notte sventagliava un irresistibile odore di bomboloni.
Quindi posso capire il disagio e il terrore che prende certuni dinanzi alla scoperta di avere una zecca addosso, o di trovarne una sul proprio animale domestico.
Tranquilli. Son qua.

Quando trovo una zecca su un animale che non mi è familiare, magari in salotto a casa di amici di amici, e io ho – per dire – questo gatto che si trastulla sulle mie ginocchia, mentre con una mano flirto con lui nei sui punti G, e con l’altra sondo il terreno in cui le zecche sogliono installarsi (solitamente sulle tempie, le orecchie, dietro le orecchie, lungo il collo fino al mento e per lo più nella zone della nuca), ecco, quando ne trovo una faccio così: apro lo spazio attorno alla zecca scostando i peli e lasciando il suo culo rosso all’aria, avvicino pollice e indice alla zona in cui la zecca e il suo diabolico rostro sono conficcati nella carne, premo verso il basso, saldo la presa, colpo di tosse, stacco.

Ho una dote naturale, me lo dice anche Agnese.

Solitamente il gatto di amici di amici che ho sulle ginocchia, felino domestico disabituato ad essere preda di emotofagi, un attimo dopo che è stato epurato dal parassita emette un miagolio forte, un po’ per la paura e un po’ per il dolore, e gli occhi di tutti si voltano. Il gatto mi ficca gli artigli nelle cosce e spicca un balzo. Io sorrido alla platea, alzo un po’ le spalle e fingo di togliermi infastidito i peli dai pantaloni, e nel mentre nascondo la zecca appena estirpata - bloccata tra indice e pollice - verso il palmo della mano, tecnica che mi aveva insegnato il mio compaesano Marco B. quando alle medie fumavamo di nascosto.

Se la zecca appena tolta sbatacchia le sue otto zampette in cerca di libertà, allora hai vinto.
Cioè: se l’hai tolta viva, hai vinto di sicuro.
Anche se l’hai tolta ed è morta puoi aver vinto, ma devi controllare.
In media ho la meglio sulle zecche il 90% delle volte.
Se hai avuto la peggio significa che un pezzo di zecca è rimasto nella pelle dell’animale.
Questo sì che, oltre al fatto che una zecca si nutra di sangue fino a crescere a dismisura e procreare, può diventare un problema. Nel senso che potrebbe fare infezione. Un po’ di tintura madre di calendula nella zona infetta ha fatto sì che i miei animali non abbiano mai subito conseguenze da un mio intervento malriuscito. Tante altre volte non è servita neppure la disinfezione: dopo un paio di giorni non c’era più nulla.
Se il tuo gatto è morto perché gli hai tolto male una zecca non so che dire.
Mi spiace molto. La prossima volta portalo da me.

Attorno a casa nostra è tipo il paradiso delle zecche.
Erba a non finire tagliata tre volte l’anno + bosco.
Inizio pippone. Solitamente sugli animali domestici, onde evitare il proliferare di parassiti, si innaffiano veleni. Quando qualcosa uccide degli animali, è mia convinzione che troppo bene non faccia neppure agli esseri umani che ne vengono a contatto. Il veleno anti parassiti più comune prende il nome di Front Line. Lo metti sul coppino, e spariscono pulci e zecche. Se però tieni gli animali in casa, e magari ti piace trastullarti, e ti piace che si trastulli la prole con loro, allora il trastullo potrebbe diventare venefico. Che poi, in un paio di casi estremi, l’abbiamo adottata anche noi la tecnica allopatica. Sempre per non essere estremisti, ecco.
La verità in verità è che il piacere di fare a mano è incommensurabilmente più gratificante che dare via libera a Front Line. Fine pippone.

Quando sono fuori a guardare il cielo stellato, o le lucciole che lucciolano sul frinire dei grilli, o la nuvole svelte che attraversano la vallata e medito sul senso della vita, arriva un gatto a strusciarsi contro le mie gambe (e avendone sei, un gatto arriva SEMPRE)(da come comincia a strusciarsi capisco anche quale dei sei è, senza guardarlo).
Allora mi chino, e in dieci secondi tasto le zone erogene delle zecche fingendo di volergli fare una carezza.
Se non ne ha, la coccola finisce lì.
Se ve lo state chiedendo la risposta è no: le galline non hanno le zecche.

I miei fallimenti con le zecche per lo più sono dovuti al fatto che ho smania.
Non sempre è il momento buono per togliere una zecca. L’animale preferito per la mia attività è in assoluto Gisella, il nostro primo cane (ora ne abbiamo due, il nuovo si chiama Gustavo). Gisella è stata abituata fin da piccola alle mie esplorazioni, e si presta con prona accondiscendenza alle mie mani che tastano. Che poi, avere le zecche, voglio dire, non credo sia come avere le unghie dipinte, immagino sia pure una discreta rottura di coglioni. Certe volte però la zecca non andrebbe tolta. Specialmente se si è infilata da poco, è ancora magra, e il suo corpicino di zecca non è abbastanza voluminoso da permettere una salda presa. Oppure si è ficcata in zone difficili. Ad esempio nell’incavo delle ascelle, dove la struttura cartilaginosa della carne le fa infossare nel morbido. O vicino all’ano. Se vi fa schifo ora, vi farà più schifo tra un paio di capoversi. In questi casi la zecca andrebbe lasciata lì, che si foraggi per un paio di giorni a scapito del parassitato, cresca, e diventi più prendibile. Ma io non ce la faccio. Ho smania. Allora ci provo lo stesso. Ma il rischio è alto. È più forte di me: se c’è una zecca, devo toglierla. Subito. Mi succede la stessa cosa con i brufoli. Se mi trovo anche solo l’alone di un brufolo, lo scoppio. Anche se è ancora rosso, se potrebbe non suppurare, anche se forse nemmeno esiste ancora. Se sento qualcosa di sospetto, non posso attendere. Fregola. Scoppierei brufoli anche a sconosciuti. Se qualcuno mi dice che ha un brufolo che non può raggiungere io mi offro sempre per scoppiarglielo. Nessuno ha mai accettato. Se sto guidando e sento che ho un brufolo devo accostare, togliermi i pantaloni (di solito sono sul culo, zona cintura o sulle cosce) e scoppiarlo. Ognuno ha le sue perversioni, ne convengo. Tra l’altro questa cosa che ad un certo punto senti che hai un brufolo mi ha sempre ammaliato: tre secondi prima il brufolo sicuramente era già lì, ma non si era palesato. E tre secondi dopo ecco che lo senti, ecco che si manifesta.
Ecco l’agnizione.
L’essere-percepibile, il suo essere in potenza e divenire in atto, è qualcosa di portentoso.
Il brufolo è qualcosa di portentoso.
A cena Ivan aveva detto una cosa abbastanza in antitesi con quanto sopra. Spiego.
Una volta si stava cenando a Cattolica, prima dello spettacolo serale nella piazza delle fontane, dopo un 10 ore di montaggio sotto l’inscalfibile sole agostano della riviera adriatica, e c’era questo tecnico che avevo chiamato che si chiamava Ivan ed era la prima volta che lavorava con noi. Dopo aver cazzeggiato un po’ sul fatto che nessuno di noi a parte lui aveva fatto la naja, infossammo la discussione sulle zanzare che non ci facevano cenare, e da lì si passò ai brufoli. Ivan disse che ad un suo amico che si era scoppiato un brufolo e aveva fatto infezione avevano dovuto amputare la gamba dal ginocchio in giù.
Alé.
Tra le altre cose Ivan era zoppo e nessuno aveva avuto il coraggio di sindacare sulla sua affermazione. Fu l’ultima volta che chiamai Ivan a lavorare, ma ci tengo a precisare che la decisione non dipese né dal fatto che fosse zoppo né dalla storia dei brufoli.
Visto che son saltate fuori le zanzare: ho capito che il mio odio prepotente verso questa specie di emotofaghe non dipende né dal prurito né dal ronzio attorno ai padiglioni auricolari: dipende dal fatto che il bubbone che procurano non puoi scoppiarlo. È un bubbone autoimmune alla mia pulsione esplosiva. Mi rende impotente, inerme, sconfitto. Le odio per questo, profondamente.

Una volta il mio amico Andreas mi disse di avere quasi sicuramente una zecca sulla natica sinistra. “Te la tolgo io boss”, “Sicuro?”, “Certo, vieni qui”.
Fu curioso. Ancora non si era diffusa la nomea che ero il migliore in materia. Andreas non poteva saperlo. Fu una coincidenza che lo disse proprio a me. Le coincidenze, secondo me, hanno un fascino non in quanto somma-di-probabilità-che-convergono. Hanno un fascino in quanto potrebbe tranquillamente essere che le coincidenze che vediamo coincidere siano solo una piccolissima parte delle coincidenze che invece accadono, e non siamo stati capaci di percepire. Potrebbe essere che le cose coincidano ininterrottamente, e non lo sappiamo. E la coincidenza che chiamiamo tale in realtà sia solo una delle tante. Il senso potrebbe essere che le coincidenze a quel punto non esistono più. Parole sante.
Io e Andreas - che è tedesco, ma la cosa non influisce sull’intreccio - ci sistemiamo sotto la luce della mia cucina (eravamo a casa nostra), lui si abbassa i pantaloni e la individuo subito. Una classica Ixodes Ricinus. Gli faccio una domanda per distrarlo, del tipo “Ma da quanto te la senti?” oppure “Ma te da che zona della Germania provieni?” e nel mentre la afferro premendo leggermente le due dita nella natica. In quel frangente entra sua moglie, dice una cosa tipo “Ah, ok”, lui la guarda, si fanno un sorriso anomalo, io estraggo. È viva. Capra wins. Loro poi hanno divorziato e non li ho più rivisti.

Il rumore che fa una zecca quando la estrai con tutti i crismi è splendido.
È come uno stack!, uno schiocco secco di lingua sul palato, una bolla di pluriball che premi tra le dita, un legnetto di betulla che si frange, lo scoppiettio di un lapillo che prende il volo, un incanto, una droga.

Io abito a Zocca. C’è un paese in provincia di Catanzaro che si chiama Zecca.

Una volta che ero stato via una settimana da casa, sono tornato di notte e ho tolto 35 zecche a Gisella. Era tardi, ero stanco, e fallii in 3 casi. Ma fu bellissimo ugualmente.
Fu sempre Gisella a regalarmi uno dei momenti più memorabili del settore: la zecca gigante.
Agevolo un contributo fotografico:


So che su Barabba è vietato postare fotografie. Ma ho avuto il via libera dall'ingegner Manicardi con le seguenti parole: "Violare le regole è punk". Al di là del fatto che questa foto sia ENORME.

Una zecca gigante difficilmente prolifera fino a quel punto su uno dei miei animali, che controllo quasi quotidianamente (sì, l’ho detto: perversione). Più probabilmente gli finisce addosso già ad uno stadio avanzato, e sceglie Gisella o uno dei felini per portare a termine la propria conquista di spazio. Le zecche giganti, diversamente da quanto si potrebbe pensare, sono le più facili a staccarsi. È come se fossero consce del proprio stadio terminale. Stanno lì, goffamente nascoste tra i peli come quando ci si nasconde per scherzo dietro ad un rametto, non si capisce nemmeno se – microcefale come sono diventate - siano ancora confitte nella pelle, basta sfiorarle e si spanciano. Il momento topico della libido del rumore in questi casi arriva quando devi schiacciarle, scegliendo accuratamente due pietre sottili, e rimirando la chiazza di sangue di cane di cui si sono imbibite allargarsi sulla selce.

Le teorie su come sbarazzarsi delle zecche una volta staccate è varia: se le schiacci e basta potresti non sterminare le uova che stanno ‘covando’. Una zecca può farne fino a 500. (Sticazzi). Andrebbero bruciate. Io non sempre ne ho voglia. Specialmente d’estate.
Fine paragrafo.

Le più famose epidemie di peste nella storia dell’umanità non furono colpa delle zecche. Tutt’al più le zecche possono trasmettere qualche tipo di peste prettamente animale (peste equina o peste suina). La peste nera e le sue sorelle furono trasmesse dai topi o dai ratti alla specie umana per mezzo delle pulci. La peste sterminava i ratti e, in mancanza di un pasto caldo, le pulci passavano agli esseri umani, che coi ratti e i topi condividevano una buona percentuale dell’habitat quotidiano
La prima pestilenza nella storia della letteratura è quella dell’Edipo Re di Sofocle.
E non c’è traccia pulci.
Stanare le pulci è tutta un’altra storia rispetto alle zecche.
Se con le zecche si tratta di un thriller psicologico, con le pulci è un inseguimento à la Justin Lin.
La vedi per un attimo, poi si infossa nel pelo, tenti di precederne la traiettoria, scosti un ciuffo sperando di scovarla, quella è già su un orecchio, afferri l’orecchio, ne isoli una porzione, speri sia rimasta nella zona delimitata dai tuoi polpastrelli, ecco che spunta, le prendi, ce l’hai, apri le dita, avvicini due unghie rapidissimo prima che ti salti sui vestiti, la schiacci, prendi fiato, ti accasci. Una roba.
A tal pro hanno inventato dei pettini con i denti di metallo, nei cui interstizi le pulci si incastrano, e che puoi comodamente schiacciare una volta finita la pettinata. Ma insomma. Il gusto perde mordente. Delle pulci mi frega il giusto. I focolai di peste endemici sono sempre più rari. Zocca per ora non è segnalata. Chiamami se hai bisogno.

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Bibliografia essenziale:

AAVV(1951), Miscellanea di studi muratoriani : atti e memorie del "Convegno di studi storici in onore di L. A. Muratori" tenuto in Modena, 14-16 aprile 1950 / Comitato per le onoranze a L. A. Muratori nel bicentenario dalla morte, Modena, Aedes muratoriana; AAVV (1980), Venezia e la peste 1348/1797, Venezia, Marsilio Editori;
AAVV (1981), La canzone dell’Apocalisse. Per una lettura della Peste, Milano, Spirali/Vel;
AAVV (1990), Il buon uso della paura : per una introduzione allo studio del trattato muratoriano Del governo della peste, Firenze, L. S. Olschki;
Abbate, F. (1997), La peste bis, Milano, Bompiani;
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