venerdì 28 settembre 2012

Noi che ci piace scrivere

Sto cercando di scrivere una cosa per un posto che poi, se finisco di scrivere quella cosa, vi dirò che posto è. Dato che è un posto che pubblica cose particolari, ho chiesto se per caso ci fossero delle linee guida da seguire, per la cosa che sto cercando di scrivere, e la titolare del posto, che poi vi dirò che posto è se finisco di scrivere, mi ha detto così: venire a suggerire a te come scrivere mi sembrerebbe un paradosso. Ecco, a parte il complimento, che mi fa piacere e ringrazio di cuore anche se non credo di esser così bravo da dovermi prendere un complimento del genere senza spendere un euro, ma siamo brave persone e delle volte esageriamo, ma a parte il complimento, dicevo, secondo me dei paletti ci devono sempre essere, per noi che ci piace scrivere. Perché noi che ci piace scrivere, che lo si faccia bene o meno non importa, i paletti li malediciamo, ma in una parte che nascondiamo agli occhi altrui noi che ci piace scrivere i paletti li adoriamo. Quindi, per favore, piazzate dei paletti sul nostro cammino, quando noi che ci piace scrivere vi proponiamo un pezzo o voi che vi piace leggerci ce ne commissionate uno, ché quando ci troviamo davanti a un paletto, noi che ci piace scrivere diventiamo matti, e allora delle volte siamo disonesti e cerchiamo tutti i modi che conosciamo per farci lo slalom, ma delle altre volte, se siamo onesti, davvero onesti, mettiamo il paletto al centro dello sguardo, aumentiamo ben bene la velocità, e ci andiamo a sbattere contro. Nel nostro stato di grazia, quelle due o tre volte nella vita in cui ci capita, sui paletti andiamo a sbatterci davvero forte. Ci sbattiamo di schianto, col sorriso stampato, e nel fragore del legno che si spacca, con un suono gutturale di vittoria, li tiriamo giù.

domenica 23 settembre 2012

Nel nome del padre (11bis) - Mio padre faceva il fabbro II

[Continua da qui]

Mi vergognavo che mio padre fosse un fabbro.
Non che i miei amici avessero genitori scrittori, o politici, o sportivi o che altro potesse far ingelosire un preadolescente. Però quando si doveva tirar fuori il mestiere dei propri genitori dicevo sempre prima quello di mia madre, che era infermiera in sala operatoria, e quindi salvava le vite, aveva una divisa, poi, se proprio si insisteva, anche quello di mio padre.
Durante il liceo ho conosciuto una tipa che frequentava un altro giro rispetto al mio, era in classe con amici che andavano alle magistrali, e ho scoperto che era la figlia del capo di mio padre. Sapevo che si chiamava Narcisi di cognome, come la ditta dove lavorava mio padre, così ho chiesto a papà se il suo capo aveva una figlia. Ce l’aveva ed aveva la mia età. Sapere che questa era la figlia del capo di mio padre mi ha sempre tenuto alla larga da lei. Che poi, anche di starle vicino, non me ne fregava granché. Aveva pure l’apparecchio sia sopra che sotto.  Questa parte della tipa figlia del capo di mio padre magari la togliamo in editing.
Non ho imparato nulla del suo lavoro. Non ho imparato granché in generale da lui, mi verrebbe da dire. O per lo meno non saprei decifrarlo ora. I primi buchi col trapano li ho fatti a 23 anni. Non ho mai saldato nulla, e probabilmente mai lo farò. Non ho neppure una morsa. Se potessi tornare indietro ora. “Se potessi tornare indietro” non andrebbe detto mai.

Ricordo che per un certo periodo fumava di nascosto. Non saprei collocare questo frangente storicamente. Sicuramente prima che si scoprisse del tumore. Magari in seguito ad alcune analisi sballate, che so. Faceva esami regolari perché era un donatore di sangue all’Avis. Ecco, questa cosa mio padre me l’ha lasciata, perché anch’io sono diventato donatore di sangue per un certo periodo. Mia madre comunque lo beccava sempre, o sentendo l’odore di fumo sui vestiti, o trovando pacchetti nascosti. E le scenate in cucina, quelle fatte a bassa voce per non farsi sentire dai figli. In quel periodo facevo questo gioco: di nascondermi in qualche punto della casa e trascrivere cosa dicevano i miei famigliari, poi leggere a tutti, dopo cena, i loro dialoghi. Risate a palate. Quella cosa del fatto che mio padre fumasse di nascosto non la lessi dopo cena. Bruciai il foglio il pomeriggio seguente con la lente d’ingrandimento nel balcone che dà sul retro.
Il tumore fu causato da un melanoma, che è una specie di neo, che aveva sul collo.
Prese il cervello, e poi i polmoni. Ogni due anni faccio una visita dermatologica per controllare i miei nei. Ne avrò più di 200 su tutto il corpo. Quando vado dal dermatologo devo sempre specificare che ho una familiarità con melanoma maligno, e a quel punto il dottore cambia faccia e mi visita con uno zelo diverso. Non ci penso mai che uno dei nei potrebbe essere foriero di sventure. Ci penso solo una volta ogni due anni, mentre sono svestito, sul lettino del dermatologo, e quello indugia su un neo un po’ più del solito. Poi ci fa una foto, scrive due robe al computer, e mi dice che posso tornare tra due anni. In questo biennio però ci ho pensato una volta in più, questa in cui sto scrivendo. Ne avrei anche fatto a meno.

Quando sono venuto a vivere in montagna mia madre mi ha regalato una cassetta degli attrezzi nuova. Dentro c’erano alcuni dei pezzi storici che ricordo in mano sua: il cacciavite a taglio piccolo dal manico giallo; la cagna rossa con tutta la vernice scrostata; la scatolina di latta blu per le candele con due candele unte dentro. E il trapano a filo. Quanto l’ho maledetto. Quando usai per la prima volta quel trapano feci 4 buchi nel muro per appendere una cornice. La punta non entrava per più di 1 centimetro. Pensavo di aver colpito per quattro volte un tondino di ferro, o un tubo, o che so. Poi mi accorsi che il trapano non era sulla selezione giusta: c’era uno switch con il simbolo della vite – per avvitare -, e il simbolo del martello – per forare. Ritentai switchando sul martello ed entrai nel muro per 2 cm scarsi. Altri buchi a caso. Poi mi spiegarono che dovevo usare una punta da muro. Grazie. Quando abbiamo traslocato nella casa da cui scrivo, si ripresentò il medesimo problema. Stavolta serviva una punta da pietra. Grazie.
Mio padre mi avrebbe sputato su un piede se m’avesse visto.
Poi sono migliorato. Ad oggi penso che sarebbe fiero di come ho imparato a fare il cemento, a stuccare le crepe nel muro, ad accendere il fuoco nelle stufe, ad usare il decespugliatore, ad accatastare la legna. Di come vado liscio quando c’è da passare del ferro al flessibile (“sgromellare”) o piallare delle assi. Di come ho installato l’irrigazione a goccia nell’orto o accomodato la serratura del portone d’ingresso. Chissà se sarebbe fiero di vedermi suonare a un concerto dei Penguins o vedermi al mixer durante uno spettacolo. Una volta ad un concerto del gruppo che venne dopo i Mind the Gap, alla Festa de l’Unità di Correggio, vennero a vederci due suoi fratelli. Walter e Romano. Non ricordo cosa dissero quando mi salutarono per andare a casa.
I miei amici Romano lo chiamavano McGayver: aveva un laboratorio in casa, riparava elettrodomestici; il primo organetto me lo regalò lui, preso dalla discarica e rimesso in sesto. Forse non me lo regalò, ma glielo compari. Comunque fu un affare.
Erano i fratelli che all’ospedale venivano a trovarlo quasi tutti i giorni. Entravano nella stanza – che grazie agli agganci di mia madre infermiera fu tipo una singola per tutta la degenza – mi scambiavano un sorriso, si mettevano a sedere, e io ne approfittavo per staccare una mezz’ora. Oppure ci trovavano in giardino. Lo portavo là su una sedia a rotelle. Non riusciva più a camminare. Non riusciva più a fare nulla. Gli davo da mangiare, gli mettevo il pappagallo, lo lavavo. Per il resto preferiva chiamare un’infermiera, o lasciar fare a mia madre. Avevo superato l’esame di teoria per la patente. Un errore. Non mi ha mai visto guidare.
Un paio di volte, verso la fine, penso di aver persino dormito in ospedale, cosa che mi risulta essere pressoché impossibile agli umani, almeno oggi. Cosa che, comunque, non auguro a nessuno.
Negli ultimi giorni gli diedero della morfina.
Quando capimmo che stava per morire c’eravamo io e mia madre. Telefonammo ai miei fratelli. Ecco, sì, avevo un cellulare. Ricordo anche che era un Siemens e aveva lo schermo arancione. Ma non ricordo se eravamo tutti dentro quando morì. Ricordo quel respiro, e l’apnea sempre più lunga tra l’inspirazione e l’espirazione. Ricordo l’ultimo respiro. L’ultimo respiro fu un’inspirazione. Poi gli occhi spalancati. Mia madre che gli dice singhiozzando: “No Italo, non guardarmi così”, o qualcosa del genere.  Qualcuno pose il palmo della mano sugli occhi e fece scendere le palpebre.

Cinque minuti fa non ero cosciente di ricordare queste cose.
Ma scrivendo ricordo, e ora che ricordo, mi rendo conto che difficilmente ricordo altre cose di mio padre perché le immagini più indelebili restano quelle degli ultimi mesi, degli ultimi giorni, e gli ultimi respiri. Per quanto sia difficile se ci si trova in mezzo, credo sia meglio che la morte di qualcuno a cui abbiamo voluto bene sia vista solo da sconosciuti.
Una volta che le si è scritte, ricordate, cancellarle sarebbe inutile, e impossibile.
A dieci anni di distanza posso dire due cose: che ha avuto un decorso abbastanza veloce, e che è stato fortunato a morire prima dei suoi figli.

In questi giorni che ho un po’ di tempo da perdere mi è tornato in mente mio padre.
Era da tantissimo tempo che non avevo del tempo tecnicamente vuoto.
Negli ultimi 5 anni, o forse sono 6 non ricordo (faccia che ride), ho quasi sempre fatto spettacoli per lavoro. Panem et circeneses era la tecnica dei romani per sedare le folle, e far passare il messaggio che nonostante tutto, tutto andava comunque per il meglio.
Ma questi anni sono anni di crisi, giusto, e la crisi ad un certo punto deve cominciare a scalfire anche alcune parti dei circenses. A me, per lo meno, è capitato così, e per l’autunno si preannuncia periodo di magra (o di rana, come dice il mio ex capo). Ho sempre lavorato fin da quando facevo l’università. Negli ultimi anni sono stato un precario con stipendio fisso (anomalia, ne convengo). Ora sono precario tout court. E forse per un po’ vivrò la strana situazione di non avere un lavoro da fare, o avere dei periodi senza un lavoro da fare. Scommetto un pieno di benza che se avessi imparato a saldare ora non sarei qua a scrivere. Ma non si torna indietro, già.
In generale, c'è più tempo di ozio.
Lo sapete il contrario di ozio in latino? Negozio, negotium, ovvero nec otium, niente ozio. L’ozio era la condizione basilare, soggiacente. Se c’era un lavoro da fare, non era altro che un’intermittente interruzione dell’ozio. Cosa voglio dire? Non saprei, al momento non me lo ricordo. Però c’è più ozio per pensare. E ogni tanto non è così male. Aiuta a mettere le cose in ordine. Fine.

“Ciò che smarrisci ha due verità:
da un lato è nulla – e nulla esiste più;
dall’altro c’è la percezione che
rimanga sempre una tua proprietà”

mercoledì 19 settembre 2012

L'ennesimo libro della fantascienza: un ebook

[...] Urania, negli anni '80, aveva un famoso direttore coi controcoglioni, uno abbastanza pazzo per capire che la vita è un viaggio spaziale [...] Quel famoso direttore di Urania è morto lunedì 16 gennaio 2012, aveva 85 anni. Oggi, che è il 19 settembre 2012, [...] quel famoso direttore di Urania coi controcoglioni avrebbe compiuto 86 anni.
L'ennesimo libro della fantascienza è un ebook collettivo. Le genti del cyberspazio sono state brave, ci hanno mandato un bel po' di racconti, due disegni e un fumetto; Isola Virtuale, che ha fatto la copertina, dire che è stato bravo è un po' riduttivo; e siamo stati bravi anche noi, che ce l'abbiam fatta a pubblicarlo in tempo, ché oggi ha un senso tutto particolare. È decisamente il libro elettrico più corposo di tutto il nostro catalogo, e la prima pubblicazione di genere in assoluto per noi barabbisti, anche presi singolarmente. Ma era una cosa che dovevamo fare.

L'ennesimo libro della fantascienza si scarica gratis, come al solito, nei tre formati elettronici classici: per gli amanti della carta e delle cose passate, in pdf (in A5, ma vi sconsigliamo di stamparlo); per tutti gli altri, uomini ben piantati nel presente e con la testa nel futuro, in epub e in mobi.
Questo libro di elettroni, che forse state leggendo da uno schermo e che magari stringete tra le mani aiutandovi con un apparecchio che fino a pochi anni fa stava solo nei libri di carta di cui eravate innamorati, questo libro elettronico intitolato L’ennesimo libro della fantascienza, è dedicato a Carlo Fruttero.
Ciao, Carlo, fai buon viaggio.
(dalla prefazione a L’ennesimo libro della fantascienza)

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Update delle 19:00: è online la versione 1.1, con qualche refuso in meno. Prendetela pure dai link lì sopra e sostituite i file che avete già scaricato, se li avete già scaricati.

Note:
1. Se trovate dei refusi, ditecelo al solito indirizzo, ché li mettiamo a posto il prima possibile: coi libri elettrici si può fare senza rovinare l'ecosistema.
2. Appena abbiamo un po' di tempo, un racconto alla volta lo mettiamo ne l'ennesimo blog della fantascienza, forse già a partire da domani.

martedì 18 settembre 2012

In Russia c'è da morir dal ridere (4)

Io, una cosa che forse non sapete, o forse la sapete, ma la ridico lo stesso, una passione che ho da quando ero bimbetto è quella di fotografare le targhe, le tombe e le statue. Avevo iniziato con la pellicola, poi sono arrivate le macchinette digitali e mi ero aperto un flickr, poi flickr voleva dei soldi e allora, adesso, dopo una pausa, continuo e coltivo questa mia bella passione su pinterest. Chiamiamola plate-watching. Ché, davvero, fotografando una lapide su un muro o una tomba in un cimitero o una statua dov'è la statua, quel che sento è di entrare in contatto col flusso della Storia, e le morte stagioni, e la perduta gente. Ma è un problema mio.

Comunque, ci sono alcune lapidi di cui vado particolarmente fiero, che poi son quelle che magari la gente che ci vive di fianco non si è mai neanche fermata per leggerle, come il monumento ai caduti della Grande Guerra a Recanati, o la targa che dice che l'inno polacco l'hanno inventato in piazza a Reggio Emilia, o quella di Ravenna dove si legge che Leopardi è stato lì un paio di settimane, penso in vacanza, a trovare un suo amico. Di solito, quando sono in giro, non me ne scappa neanche una. Finché non siamo andati in Russia. Ché là...
...l'amore russo per le targhe e i monumenti è così esagerato che pare che l'amministrazione di Mosca in passato abbia emesso un'ordinanza che vieta di piazzarle arbitrariamente come viene viene; e infatti tendono a metterle anche nelle città italiane, con grande lavorìo burocratico e raccolta di soldi. Credo che la comunità russa di Bologna volesse mettere una bella targa a Venezia per Brodskij, ma pare che la vedova abbia detto di non essere affatto certa che lui l'avrebbe gradita...
... mi ha detto un giorno la dottoressa mirumir – che tra l'altro ringrazio molto perché mi ha aiutato con le traduzioni delle lapidi, oltre che con i biglietti del treno Mosca-Volgograd che avevo comprato prima di partire e quindi, insomma, se ci dovessimo incontrare, io e la dottoressa mirumir, che non ci siamo mai visti in vita nostra, ma se ci dovessimo incontrare, la prima cosa che faccio sarà di offrirle delle gran vodke. Ed è proprio vero: i russi sono degli esagerati quando si tratta di posare delle targhe, delle lapidi e delle statue appena si libera un buco in una parete o in uno spartitraffico o in un parco pubblico – ma ce ne sono anche nei giardini privati, giuro.

Non han mica tanto timore di passare per ridicoli, i russi, a mettere, per esempio, su un muro, il naso del maggiore Kovalev, e a metterlo a un'altezza tale che per vederlo devi stare, come dire, col naso all'insù. Oppure sulla prospettiva Nevskij, in una casa che ha una stanza in cui il 13 aprile 1917 Lenin era a una riunione dell'organizzazione militare del comitato di Petrogrado e dei membri del Comitato Centrale del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, e teneva un discorso sui metodi di propaganda tra i soldati? Bon, i russi ci mettono una targa. Durante il bombardamento di Leningrado, sempre sulla Prospettiva Nevskij, uno che abitava lì ha scritto con la vernice, su una colonna, "Cittadini! Durante i tiri di artiglieria questo lato della strada è il più pericoloso"? Bon, i russi ci mettono una targa e dei fiori. A Stalingrado non c'era rimasto più niente, a parte delle macerie e delle torrette di carro armato buttate lì? Bon, i russi tirano su le torrette e ci mettono sotto dei piedistallo di granito – ce ne sono un bel po', girando per Volgograd. Dostoevskij ha cambiato venti appartamenti in ventisei anni di residenza a Pietroburgo, giocandoseli d'azzardo? Bon, i russi han già venti targhe pronte da piazzare e, anzi, ventuno, ché una l'han messa anche sulla casa di Raskolnikov, e adesso van tutti a visitarla da fuori, e si vede che qualcuno prova anche a entrare dal portone, tanto che quelli che vivono lì ci han messo un cartello, "KEEP OUT", che è uno dei due o tre cartelli in inglese che ho visto in Russia. E un giorno anche quel cartello lì potrebbero rifarlo di marmo, secondo me son capaci, i russi.

Ma la lapide più bella, bellissima, meravigliosa, che ho portato a casa nella macchina fotografica è una scritta gigantesca che si trova a Mamaev Kurgan, il monumento gigantesco che c'è a Volgograd, quello con la statua umanoide più alta del mondo (al netto del piedistallo e buddah cinesi esclusi, che quelli, è comodo, son solo dei parallelepipedi con la testa), e la scritta gigantesca dice: "Un vento di ferro li colpiva in pieno viso ma continuarono ad avanzare, e ancora una volta il nemico fu assalito da una paura superstiziosa: erano umani coloro che li attaccavano? Erano mortali?". Che non sai bene se commuoverti o grattarti la testa, quando ci sei davanti. Sta in mezzo a delle statue che subito ti verrebbe da pensare che siano davvero incredibilmente brutte, e invece è ancora come dice la dottoressa mirumir:
È un po' l'Est socialista, già a due passi da casa mia comincia la folle terra delle targhe e dei monumenti, per esempio la strada di ingresso a Nova Gorica è un vialone pensato per una megalopoli e fiancheggiato da busti di sconosciuti di volta in volta celebrati come "scrittore, poeta, alpinista", "glottologo, biologo, eroe del socialismo", "poeta, alpinista, pubblicista" e così via, da cui si ricava che questi scalavano e componevano come pazzi. È molto bello, cioè esteticamente molto brutto come tutti questi posti, ma molto bello.

lunedì 17 settembre 2012

L'ennesimo libro della fantascienza: esce dopodomani

Ci siamo quasi. In questo weekend ho finito di impaginarlo, almeno in pdf, e viste le dimensioni – 688 pagine in A5, con un bel po' di racconti (non li ho contati), due disegnini e un fumetto – ho seriamente rischiato che il file innescasse il processo di fusione nucleare che l'avrebbe trasformato in una piccola stella gravitante, insieme al nostro Sole, nei secoli dei secoli. Invece è andata bene, e L'ennesimo libro della fantascienza è una piccola nana bruna, e, se siamo bravi, appena finita la conversione in epub e mobi e dati gli ultimi ritocchi al tutto, dovrebbe uscire dopodomani, mercoledì 19 settembre, giorno dell'ottantaseiesimo compleanno di Carlo Fruttero.

La copertina è molto bella e ricca di significati, alcuni espliciti, altri difficili, molti casuali, forse un giorno ve li spiegheremo per bene. Intanto, mangiatela con gli occhi: l'ha fatta il maggiore esperto pangalattico di fotoritocco, Isola Virtuale. Click.

venerdì 14 settembre 2012

In Russia c'è da morir dal ridere (3)

Mi sembra di aver letto da qualche parte che, come gli esquimesi han tante parole per dire “bianco” o “neve”, e gli aborigeni per dire “verde”, e gli italiani per nominare il nome di Dio invano, ecco, i russi devono avere una trentina di termini per dire “ubriaco”. Sarà per quello, penso, che uomini anziani, anziani per davvero, in Russia non ne abbiamo mica incontrati.

Le donne, invece, le donne anziane, anche anziane per davvero, ce ne sono dappertutto. Babushke, le chiamano. Vuol dire “donna anziana”, babushka, una parola che nei romanzi in italiano, spesso, traducono con “nonnina”. Spuntan fuori da tutte le parti, le babushke, e l'idea che ci siam fatti là è che le donne sopra i cinquant’anni siano tutte impiegate dello Stato. In ogni sala di ogni museo, in ogni stanza degli appartamenti dei vecchi scrittori, in ogni ufficio pubblico, c’è almeno una babushka seduta sulla sua seggiolina che controlla che tutti si comportino come si devono comportare; stan sedute lì, serie, con le loro parole crociate – che le parole crociate, in cirillico, sembran delle opere d’arte, proprio belle da vedere – o a sferruzzare qualche vestito per l’inverno, qualche sciarpa, un paio di calzini di lana, cose così. E sotto ogni scala mobile di ogni fermata della metropolitana – a San Pietroburgo, che i treni devono passare sotto la Neva, ci son delle scale mobili che non vedi mica il fondo – c’è una gabbietta di vetro con dentro una babushka che controlla da capo a piedi, senza disturbare, senza essere invadente, tutti quelli che scendono. E sulle vie principali, c’è pieno di baracchini dove vendono da mangiare, come in tutte le città, ma in Russia chi ti vende da mangiare nei baracchini sulle vie principali sono le babushke, che ti fanno gli hot-dog, i gelati, i blini, che son tipo crespelle ma diverse, le kroska kartoshka, che son delle patate ripiene di salse molto pesanti e molto buone. E a lato di ogni cantiere, per la strada, dove gli uomini giovani o di mezza età lavorano arrampicati sulle impalcature, ci son sempre due o tre babushke con la pettorina arancione catarifrangente a far da cordone umano e a dirti di passare a una certa distanza, per la tua sicurezza.

Non sanno una parola d’inglese, le babushke, ché son nate in un periodo sovietico che l’inglese a scuola non si studiava, e anche se hanno a che fare con migliaia di turisti tutti i giorni, tutte le ore, dal lunedì alla domenica, se c’è una cosa che ti voglion far capire, non so come mai, forse ti parlano direttamente al cuore, non lo so, ma le capisci subito, senza difficoltà; allora le ringrazi e loro ti sorridono sempre, con quel sorriso che san fare solo le signore anziane, grate a loro volta, non solo perché le hai trattate bene, ma perché sono contente di quello che fanno, del quadro che son lì a controllare, della stanza dello scrittore morto che son lì a preservare, dell'impalcatura che son lì a presidiare.

E sembra strano, camminando per la strada, ché non capisci come facciano le giovani russe quasi tutte alte, slanciate, sui tacchi vertiginosi, con delle forme da farti girar la testa, alcune bellissime, altre meno, ma in media sono molto belle, e sembra strano davvero, ma non capisci proprio come facciano queste giovani russe alte, slanciate e belle, sui tacchi a spillo, a diventar poi tutte delle piccole babushke quadrate. Sarà forse questo il segreto della matrioska. E comunque, quando le guardi, le giovani russe, forse è solo un’impressione mia, non lo so, ma hanno delle facce che o sono incazzate e punk come le Pussy Riot, oppure sembra che non sappiano mica dove andare a sbattere la testa.

Poi guardi le babushke, le signore anziane, le nonnine, con quel portamento, quella sicurezza, quei gesti decisi che non c’è dubbio, quando le guardi, lo capisci subito, ce l’hanno scritto nello sguardo che son loro, e nessun altro, da quelle parti là, a portare il peso della Russia sulle spalle.

mercoledì 12 settembre 2012

Nel nome del padre (11) - Mio padre faceva il fabbro

Mio padre faceva il fabbro.
In questi giorni ho parecchio tempo libero. E il pensiero mi cade su mio padre.
Era il 2000 quando è morto. Più o meno in questo periodo. Faccio molta fatica a ricordare le date legate alle persone che mi sono care. Ho chiesto a mia madre. Era il 14 agosto. Per ricordarmi alcuni passaggi importanti della mia vita, li ho annodato ad eventi importanti e che si ricordano per forza. Tipo l’11 settembre 2001. Ecco: il settembre 2001, il mese e l’anno del crollo delle due torri, sono anche il mese e l’anno in cui morì mio fratello. Uno degli ultimi ricordi che ho di lui è proprio dell’11 settembre, il suo ingresso in cantina, mentre mi toglievo i vestiti della vendemmia, mentre dice: “Scoppia la terza guerra mondiale”. Quello è anche l’anno in cui mi sono messo con Agnese, che ora è mia moglie. L’anno dopo invece fu l’anno in cui morì mio nonno. Sempre tra Agosto e Settembre; la data precisa non la ricordo. E non mi va di chiederla a mia madre. Di conseguenza l’anno prima del 2001 fu l’anno in cui morì mio padre. Una roba così, più o meno. Tre anni di allegria a palate, comunque. Del tipo che se io fossi stato il mio vicino di casa avrei traslocato all’istante.
(Ho scritto quest’ultima riga e mi sono venute in mente altre robe pazzesche: nel condominio dove ora vive mia madre, e dove vivevamo tutti, qualche anno dopo che me n’ero andato di casa, un tizio nell’appartamento di fianco si è buttato dal balcone ed è morto; la moglie del tizio dell’appartamento di sotto è morta pure lei e suo marito, il vedovo, è morto tempo dopo per un infarto mentre era in auto in compagnia a fare le galanterie. Chiamala come vuoi…)

Ho capito che mio padre aveva qualcosa di serio quando trovai le pagine dell’enciclopedia medica di mia madre, infermiera da sempre, aperte sul tavolo della sala al lessema CERVELLO.
Ricordo che in ospedale facevo i quiz per la patente mentre lui era sul lettino. E che dopo una degenza abbastanza breve lo rimandarono a casa. Quell’estate non lavorai, avevo il compito di badare a lui. Era anche la stessa estate del mio primo concerto. Il gruppo si chiamava Mind the gap. Il primo concerto era in una festa parrocchiale. Alcuni pezzi nostri e delle cover (una era sicuramente dei Fun Love’n Criminal). Arriva il giorno, saluto papà, esco e vado a San Martino per il sound check. Dopo qualche ora mi telefona qualcuno. Ora non ricordo se era mia madre o la vicina di casa. Non ricordo neppure come fece a telefonarmi, forse avevo già un cellulare. Mio padre aveva avuto un altro ictus, era crollato a terra, e batteva coi pugni sul pavimento, la vicina ci aveva messo un po’ a capire che c’era qualcuno che chiedeva aiuto, io non c’ero, ero a suonare, al mio primo concerto, poi sono in ospedale, e c’è mia madre che mi dice una cosa decisamente americana del tipo: “Va a suonare, sono sicuro che lui vorrebbe così”, e io vado, con l’animo più o meno in pace, ma molto convinto che a mio padre gliene sarebbe fregato il giusto.

Ecco, ho cominciato a suonare così. E va avanti da una dozzina d’anni. Ancora non so se vantarmene o vergognarmene. Probabilmente nessuno dei due. È andata così, punto.

Agnese ogni tanto mi chiede com’era mio padre, dice che le spiace non averlo conosciuto. Io non so mai bene cosa dire. Mio padre faceva il fabbro. Per un certo aspetto dell’arte fabbrile mio padre era uno specialista, quasi unico. Continuò a lavorare anche dopo la pensione. Anzi, ricordo che per un certo periodo non lavorò una volta ottenuta la pensione. Poi la cosa lo prendeva malissimo e riprese a fare il fabbro. Era uno di quei tizi manuali, con il piano di lavoro in garage con la morsa stabile, le cassettiere piene, che con un trapano in mano ti appendeva di tutto. Non usciva spesso. Credo che uscisse solo una sera alla settimana. Andava alla bocciofila, in centro, a Correggio. Andava quasi sempre in bici. Non amava i guanti. Ho quest’immagine di mio padre in bici che pedala senza tenere il manubrio e si soffia sulle mani, lo sbruffo di fiato che prende forma nel gelo, e in testa quel cappello à la russa, con i due copriorecchie che si abbottonano sopra. Quel cappello è l’unica cosa che mi resta di mio padre. Si chiamava Italo. Il cappello invece si chiamava Slobodan. Ogni tanto d’inverno lo metto anche se mi va stretto.

Si può essere lanciati quanto si vuole, ma se vedi morire un padre o se vedi nascere un figlio, difficilmente vivrai cose più forti, ne sono quasi sicuro.

C’era questo odore di mio padre, che mi viene in mente ogni volta che chiacchiero con dei fumatori seri. E quel ruvido delle guance, quando ancora gliele accarezzavo, quando ancora gli stavo in braccio. Si faceva la barba tutti i giorni. Con un rasoio elettrico. Sempre lo stesso. L’affidabilità degli elettrodomestici di un tempo. Il momento in cui veniva a prendermi a scuola era la summa di queste due cose. Ero quasi sempre uno degli ultimi 3 a restare all’Istituto Contarelli fin verso le 18.00. L’Istituto Contarelli era una scuola di suore. Mio padre staccava attorno alle 17.30, prendeva l’auto e veniva a prendermi. Una fiat 500. Quando facevamo delle curve senza frenare le chiamava “curve a rapanello”.
Ecco una cosa che mi è rimasta di mio padre: le “curve a rapanello”; le faccio anch’io, con mia figlia, anche se le chiamo “curve gatto” e miagolo fortissimo per tutta la sterzata.
Arrivava tra le 17.30 e le 18.00 a prendermi al doposcuola, e immagino che si accendesse una sigaretta appena parcheggiato nel piazzale della scuola, e la gettasse di fianco al portone, prima di suonare il campanello. Noi sentivamo il campanello: o era mio padre, o era il padre di Gerardo, o era un genitore del terzo che restava oltre le 17.30 e che ora non ricordo. Italo entrava, io gli andavo incontro, quelle guance, e quell’odore, resteranno la sinestesia imperitura che sanciva la fine delle mie giornate di scuola a tempo pieno.
Credo di essere passato al lavoro da mio padre giusto un paio di volte, e non saprei dire perché. Era un posto sconveniente per dei bambini: scintille, fluorescenza delle saldature, polvere di ferro, calendari di donne nude. Se Agnese mi chiederà ancora di raccontarle qualcosa di mio padre potrei dire queste robe qui. Se mi chiede che tipo era le direi che era tranquillo, che amava cucinare il sabato mattina degli spaghetti al pomodoro e panna, che amava guarda il Gran Premio ogni domenica pomeriggio, con tanto di prove e qualificazioni nei giorni prima, e la moviola, il campionato, ma senza eccessivo zelo. Amava venirmi a vedere quando giocavo a calcio, e magari portarci in trasferta di tanto in tanto.

A pensarci, mi sale un po’ di dispiacere a pensare alle cose della mia vita che mio padre non ha fatto in tempo a vedere. L’idea che mi sto facendo è che tutte le cose più belle che ho vissuto, o almeno la maggior parte di esse, siano accadute dopo che lui è morto. Sono in grado di parlare e scrivere di mio padre senza piangere. Non so cosa significhi di preciso. Non significa un’assenza di affetto o di amore. Non ricordo nessun episodio in cui l’ho odiato. Ma neppure alcun episodio in cui sono stato estasiato dall’essere suo figlio.
Ricordo però che in certi casi mi sono vergognato, ad esempio del lavoro che faceva.

Perché tutto ciò? Dovrebbe saltare fuori nella seconda parte, se trovo ancora del tempo da perdere.

L'ennesimo blog della fantascienza

L'ennesimo libro della fantascienza, se siamo bravi, dovrebbe uscire mercoledì 19 settembre 2012, nel giorno del primo compleanno non festeggiato dal buon Fruttero, cui è dedicato tutto l'ennesimo libro.
Adesso, con un colpo di testa, abbiamo aperto questo:

lennesimoblogdellafantascienza.wordpress.com

Intanto, sbattetelo nel feed reader.
Poi forse lo aggiorniamo, in futuro.

lunedì 10 settembre 2012

Spudorate indicazioni di voto

Il meccanismo di votazione dei Macchianera Italian Awards è sempre stato una roba da matti. Quest'anno, poi, che c'eran 40 categorie obbligatorie, era anche una roba impossibile, pensare di votarle tutte. Per fortuna, i signori organizzatori delle Blogfest hanno deciso, la scorsa settimana, di togliere la regola che imponeva al votante di segnare la preferenza in tutte le categorie, riducendo la soglia minima del cinquanta percento.
Bene, adesso, visto che ieri sera addirittura una ragazza del Coro delle Mondine di Novi di Modena mi ha detto che lei voterebbe anche, ma non sa per chi altri esprimere la preferenza nei posti in cui non c'è Barabba (che, vi ricordo, sono le categorie: "Miglior sito letterario" e "Miglior articolo o post dell'anno", non sbagliatevi), ho pensato che fosse il caso di scrivere un post di servizio con i miei consigli (personalissimi) su dove, come e perché riempire le caselline di voto (almeno venti su quaranta, è un lavoraccio).
Se poi avete delle altre idee sensate o delle obiezioni ragionevoli, mettetele pure nei commenti.
Intanto, io farei così:
  • 1. Miglior sito 2012: Leonardo. Che è pure un barabbista e, comunque, non ci son santi. Anzi, valà, ci sono anche quelli.
  • 2. Miglior Tweeter italiano: @azael. In linea di massima, la regola da seguire è questa: dove c'è Azael, votate Azael.
  • 6. Sito rivelazione dell'anno: non che si tratti davvero di una rivelazione, nel 2012, ma se lo è stata per voi o per qualcuno, in generale, allora è indubbiamente la miglior rivelazione dell'anno. Sto parlando del sommo poeta torinese, Guido Catalano.
  • 8. Tweeter più utile: @INGVterremoti, ça va sans dire, nostro malgrado, anche se spero di disintossicarmi, prima o poi.


  • 11. Migliore Community - Sito collettivo: mah, direi Altervista, ché mi ha ospitato, aiutato e intervistato.
  • 12. Miglior Tweet dell'anno: Alessandro Clemente (@serena_gandhi): "Bere birra analcolica è come avere una selvaggia notte di sesso con l'accappatoio di Charlize Theron". Tra le altre cose, il signor Clemente è davvero un bell'uomo, e poi s'è sposato una gran signora.
  • 14. Miglior sito di satira: cosa c'entrano le Poesie da Decubito con la satira? Niente. Ma voi, in linea di massima, dove c'è Azael, votate Azael.
  • 15. Miglior battuta su Twitter: Azael (@azael): "Berlusconi dava a Ruby 47.000€ a settimana. Non 45.000 e non 50.000, ma 47.000€. Questo vuol dire essere depravati." Tutte le volte che la rileggo mi piscio addosso. E poi dovreste ormai saperlo che in linea di massima, dove c'è Azael, votate Azael.
  • 16. Miglior sito Tecnico - Divulgativo: come ho detto l'anno scorso, io voterei Keplero, di Amedeo Balbi, ché parlar di fisica, astrofisica, cosmologia e cosmogonia così chiaramente a noi profani e ignorantoni è mestiere di pochi, tipo Stephen Hawking, per dire.
  • 18. Miglior sito Cinematografico: io, la mattina, dopo il cappuccino, ché senza non sono identificabile come essere umano, ma dopo il cappuccino sì, allora la prima cosa che faccio è andare a leggere I 400 calci. Quest'anno, poi, han fatto pure le magliette per raccogliere due lire da dare ai terremotati. Se non li votate, son calci rotanti in faccia.
  • 20. Miss Twitter 2012: @lapaolina. Perché sì, dai.
  • 21. Mister Twitter 2012: @azael. Ormai siete esperti e in linea di massima, dove c'è Azael, votate Azael.
  • 24. Miglior sito Musicale: ora non ricordo chi una volta disse «Fino al 1986 ci sono stati, ogni anno, due premi Nobel per la letteratura. Uno era quello assegnato dall'Accademia Svedese e consegnato all'"autore dell'opera letteraria più considerevole d'ispirazione idealista". L'altro era quello che non veniva consegnato a Borges.» Ecco, Polaroid è decisamente il Borges dei Blog Awards musicali.

  • 25. Miglior sito Letterario: Barabba.

  • 27. Miglior sito Politico - d'Opinione: anche dove c'è Leonardo, in linea di massima, votate Leonardo.
  • 28. Tweeter più simpatico: in linea di massima, dove c'è Azael, votate Azael. Potete però fare un'eccezione, stavolta, @purtroppo.
  • 29. Miglior Disegnatore - Vignettista: giunti sono il momento, lo spazio e l'èra d'incoronare il discendente e successore di Makkox. Zerocalcare.
  • 30. Miglior sito di Viaggi e Turismo: NoBordersMagazine, ch'è davvero bello e interessante e fatto bene. E poi sono stati così sconsiderati, all'inizio dell'anno, da lasciare spazio anche al prode carlo dulinizo e al sottoscritto.
  • 31. Tweeter più poetico: dove c'è Azael, in linea di massima, votate Azael. O @catalanoguido, in questo caso, se volete.
  • 37. Miglior sito andato a puttane: Bravuomo, ché ci tiene davvero.
  • 38. Miglior Podcast - Trasmissione online: dice la mia amica e scudiera Osvaldo che Feeder è il meglio del meglio, e io della mia amica e scudiera Osvaldo, di solito, mi fido.
Che fatica. Spero di averne indicate abbastanza.
Allora votate, votate bene, votate il Many, votate Barabba. Si vota qui.

sabato 8 settembre 2012

Trucchi della borghesia (70)

La notte bianca.

(Sotto la mia finestra, per dire, nella piazzetta, in questo preciso istante, stanno montando dei campi da tennis.)

giovedì 6 settembre 2012

L'ennesimo libro della fantascienza: deadline!

Avete tempo fino alle 23.59 del giorno 6 settembre (toh, guarda, è oggi) per la consegna delle vostre speculazioni fantascientifiche. L'indirizzo è sempre lo stesso: marcomncrd chiocciola gmail punto com. Orsù, fate lo sforzo, pensate al futuro.

mercoledì 5 settembre 2012

Le gazzelle, per esempio

È un periodo, questo qui, in fabbrica, in questo capannone nuovo, che ci han detto essere antisismico, coi nostri bei camici blu, tutti uguali, fuori piove che dio la manda, governo ladro, eccetera, che se hai presente quei documentari nella savana dove gli animali, le gazzelle, per esempio, si abbeverano insieme, alla pozza, e da lontano arriva un ruggito o lo schioppo d'un cacciatore, ci son le teste d'animale che s'alzano all'unisono e guardan tutte nella stessa direzione, serissime, coi cinque sensi svegliati di soprassalto a scandagliare il presente e lo spazio intorno, e il futuro molto prossimo, ecco, è un periodo, questo qui, che quando tira un tuono, anche noi facciam così.

martedì 4 settembre 2012

Miglior sito letterario? Miglior articolo o post dell'anno?

E insomma, anche quest'anno siete ammattiti e ci avete candidati ai Macchianera Italian Awards 2012 – quella cosa che fino all'anno scorso si chiamava Macchianera Blog Awards e che viene spesso definita come la notte degli Oscar della blogsfera italiana – nella categoria "Miglior sito letterario" (l'ho già detto che siete ammattiti?) e con il post Generi di prima necessità nella categoria "Miglior articolo o post dell'anno" (diobono, mi fate tremar le gambe).


Potete esprimere il vostro voto per Barabba e per il post del Many (cioè io) a questo indirizzo fino a mercoledì 26 settembre. E nel rendere grazie a tutti quelli che hanno candidato il nostro garrulo blogghetto, vi chiediamo ancora uno sforzo: o popolo, fai come un paio di migliaia d'anni fa, VOTA BARABBA.

lunedì 3 settembre 2012

Botta e... risposta

«La fine dell'estate non ci colse di sorpresa», come dice un noto cantautore emiliano in una canzone molto bella intitolata Controesodo, e allora Domenica 9 settembre, quella che viene, dalle 16 alle 23, ché tanto è domenica, nel Piazzale Francesco Torti di Modena, l'associazione Fusorari e la Proloco "Adriano Boccaletti" di Novi di Modena organizzano un festivalino di raccolta fondi per la ricostruzione delle scuole del comprensorio Novi di Modena-Rovereto-Sant'Antonio.

Il festivalino (scusate, ma ormai qui siamo un po' in panne col cervello, ed è un periodo che i nomi degli eventi son sempre dei discutibili giochi di parole intorno allo stesso tema; ci passerà, speriamo) si chiama Botta e risposta, e ci siamo anche noi insieme alle nostre amiche del Coro delle Mondine di Novi di Modena e (udite!) al ritorno sulle scene barabbiste dei nostri prodi musicarelli Gianluca e le cose. Leggeremo, canteremo, strimpelleremo per un'ora circa, dalle 16.

Dopo di noi, ci saranno degli altri spettacoli molto belli (con gente della stazza di Ugo Cornia, per dire). E ancora: le Mondine faranno il risotto, si berrà un lambrusco speciale che si chiama Cinquepuntonovi, si gusterà a mani basse il parmigiano del Caseificio Razionale Novese, saranno in vendita le T-shirt “Aiom balè a basta” (abbiam ballato abbastanza) e le felpe e i portachiavi Ricostruiamonovi, e altro ancora.

Il programma completo è qui. Se venite, fate un bel lavoro.