mercoledì 22 agosto 2012

In Russia c'è da morir dal ridere

Guardando la statua di Turgenev, mentre passeggiavo per San Pietroburgo, un paio di settimane fa, mi sono accorto che l'autoritratto che si trova sulla copertina dell'edizione italiana di Padri e figli, quella tradotta da Paolo Nori – che tra l'altro è un libro, Padri e figli, anche a prescindere dal traduttore, di una bellezza tale da far gridare al soccorso, come ha detto una volta il giovane Čechov dopo averlo letto – non è mica tanto realistico; ma poi sono passato di fianco a diverse altre statue, e ho capito che quel naso lì, quello che Turgenev si è disegnato, era un omaggio al naso di Gogol'. Non quello del racconto, Il naso, di Gogol', ma proprio il naso di Gogol'.

Un altro che si faceva sempre degli autoritratti era Puškin, che a margine dei suoi manoscritti disegnava quasi sempre degli scarabocchi, un po' come facevamo noi quando usavamo il telefono fisso. E a proposito di Puškin, ho scoperto che per festeggiarne il centenario della morte, o il centocinquantenario della nascita, adesso non mi ricordo bene, il buon Giuseppe Stalin aveva chiesto a degli artisti di presentargli dei progetti per una statua del poeta da mettere in un parco, o lungo una tangenziale, e loro, gli artisti, diligentemente, glieli hanno fatti vedere: c'era Puškin in posa, Puškin seduto, Puškin che legge, Puškin che declama, Puškin che scrive, Puškin che pensa, Puškin che si riposa, eccetera; solo che a Stalin non piacevano mica tanto, anche se dopo averci riflettuto un po', com'era suo solito, gli è venuta un'idea, ed era un'idea talmente eccezionale e incontrovertibile che, anche se adesso non si sa più che fine abbia fatto, l'han poi costruita davvero, la statua. Una bellissima statua di Stalin che legge Puškin.

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In Russia c'è da morir dal ridere (e quando era Unione Sovietica, ancora di più) è una frase che dice sempre mio suocero. Forse diventa una rubrichetta, o un mini report di viaggio, se ne vale la pena. E se mi vengono in mente delle altre cose, ovviamente.

2 commenti:

  1. l'edizione italiana di Padri e figli, quella tradotta da Paolo Nori

    Paolo Nori, nel tradurre dal russo, adopera lo stesso italiano finto-decerebrato che adopera nei suoi libri, romanzi, articoli? La coordinazione continua mediante «che poi»?

    Grazie

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    1. sono sempre più dell'idea che siano stati il russo e la sua traduzione ad aver influenzato la scrittura di nori, e meno viceversa.

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