mercoledì 30 novembre 2011

Una cosa divertente che rifarei

La sala è piccola e quadrata. I tavolini sono tre: uno da due, uno da sei ma apparecchiato per quattro e uno da dieci ma apparecchiato per otto.
Alle pareti, tra le altre cose, un poster di Glenn Miller, uno spartito di Elvis Costello autografato e i ganci da usare come appendiabiti.
Sulla parete in fondo c’è un notebook bianco aperto su una playlist che manderà Losing My Religion, Voglio vederti danzare, Imitation Of Life, Leaving New York, Lithium, Ticket To Ride, The Man Who Sold The World e un pezzo di Goran Bregovic molto famoso. Il notebook è appoggiato su un tavolo di legno e collegato a due casse da pc nere; accanto sempre sullo stesso tavolo due libri con la costa gialla, uno più spesso dell’altro e poco lontano una sedia vuota e rivolta al mio tavolo.
Sediamo al tavolo da due all’altro capo della sala. Arriviamo per primi e ci sediamo nel punto più lontano dalla sedia vuota.
Mangeremo un antipasto di salumi e qualche formaggio con la mostarda – io mangerò i suoi formaggi, lui mangerà la mia coppa – un risotto ai funghi mantecati con Grana DOP e un pezzo di torta di mele con un cucchiaio di crema.

Milano stasera è meno fredda degli ultimi giorni, il parcheggio in zona Via Cadore è un problema, allora andiamo a parcheggiare sempre nel solito punto, verso Via Bergamo o Via Lecco e poi facciamo un pezzo a piedi. Ci guardiamo entusiasti come se stessimo per fare una cosa nuova, ma stiamo per mangiare e ascoltare un reading.

Entriamo e ci accoglie l’oste, col grembiule bianco sporco di vino e l’espressione incerta.
Per fortuna qualcuno arriva sul serio, dice.
Nella sala apparecchiata si stanno ancora preparando e mi sembra di disturbare. Ci fanno sedere, leggiamo il menu e ordiniamo il vino. C’è un ragazzo con le mani in tasca che indossa una giacca verde e sotto una maglia blu con la bandiera americana, le persone tardano ad arrivare e l’oste è un po’ preoccupato.

La serata si intitola “A cena con David”, i due libri con la costa gialla sono di Giulio Einaudi editore e sono Brevi interviste a uomini schifosi e Il re pallido. L’attrice Monica Parmagnani legge un pezzo da Brevi interviste e due da Il re pallido, che inizia così: «Di là dalle pianure di flanella, i grafici d'asfalto e gli orizzonti di ruggine sbilenca, [...]» e i curatori della serata sono la Libreria Utopia di Milano e BeBookers, assieme al Bistrot Il Sole.
Durante il reading sono angosciata dalla cornice con una delle foto più famose di Wallace messa a mo’ di santino sulla parete dell’appendiabiti e con accanto a questa una stampa di un quadro di Rothko. Sono angosciata anche dalla maglietta con la bandiera americana, in effetti.
Penso all'effetto delle costruzioni concentriche delle frasi e i pensieri si fanno bolle che scoppiano altre bolle, penso al sapore del vino nella mia bocca, guardo le reazioni degli altri: chi china la testa un po' di lato, chi si guarda, chi chiude gli occhi e ascolta. Penso, per un momento, che siamo pochissimi.

Infine, penso che una serata di reading per David Foster Wallace sia un controsenso perché lui se c’è una cosa che non aveva piacere di fare era leggere a voce alta le sue cose:
Prima di cominciare mi sale sempre l’ansia, e l’ansia mi fa stare malissimo: è quella la cosa che non mi piace. E poi le cose che scrivo secondo me non rendono tanto bene lette a voce alta. E mi sembra di avere l’aria di un pazzo maniaco.
(Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta di David Lipsky, Minimum Fax, 2011, pag. 38)
E invece non è vero: speriamo che qualcuno glielo abbia detto, almeno una volta.

Neverending tour: dicembre 2011

Nei venti giorni che precedono il vostro Natale, ci trovate in giro per l'Italia a fare le schegge e le croccantezze. E per la precisione:

Sabato 3 dicembre
simone rossi, Bicio, l'elena e croccantissima saranno a Bagnacavallo (RA), alle 17.30, in un posto che si chiama Bottega Matteotti, a inaugurare una rassegna dall'appropriato titolo narrazioni, musica, letture.

Domenica 4 dicembre
Alle 18.30, quelli di cui sopra rifanno croccantissima alla vineria EhNò, in centro a Fabriano (AN) [inserire battuta sull'odore della carta].

Venerdì 9 dicembre
Alla libreria La Citè di Firenze, in Borgo San Frediano, ci sarà la presentazione del nuovo romanzo di Vanni Santoni, Se fossi fuoco, arderei Firenze, e per l'occasione il collettivo mensa ha pensato di invitare anche simone rossi e dell'altra gente a leggere e suonare e mangiare del lampredotto. Quindi, venerdì 9 dicembre alle 21 si fa (anche) croccantissima a Firenze, alla libreria La Citè, in Borgo San Frediano.

Sabato 10 dicembre
A Roma, al Pigneto, in un locale che si chiama Hula-Hoop (via De Magistris) ci sarà il libretto cosa?, col punto interrogativo. Cinque quarti d'ora di letture a voce alta con Fabrizio Gabrielli, Giulia Blasi, Vanni Santoni e gli Scrittori Precari. E simone rossi. Il tutto orchestrato da Finzioni, che appenderà ai muri del locale le pagine del Libretto Rosa dei lettori. Alle 20 c'è la cena. Il reading inzia alle 21.30. Sarà uno spasso.

Domenica 11 dicembre
Quelli che sono a Roma risalgono veloci come colpi di fucile per ricongiungersi col resto della brigata barabbista a Carpi, a casa nostra, perché alle 20 facciamo le Schegge di Liberazione al Mattatoio Culture Club, quel posto dove tutto era cominciato il 24 aprile del 2010, il nostro Natale. Dopo di noi suonano i Gazebo Penguins, roba che spacca.

Sabato 17 dicembre
Per finire l'anno, andiamo a Milano, al Van-ghè, a fare sempre le Schegge di Liberazione. Quella sera lì ci sarà anche Guido Catalano. Magari gli facciamo leggere qualcosa, tipo Azael, così il mondo può esplodere in un enorme cuoricione rosa. (Orari e dettagli ve li diciamo appena fissiamo tutto per bene.)

Poi basta, poi ci sono i pranzi, le cene, i cenoni, le veglie e tutte quelle cose che si fanno coi parenti. Ormai siamo talmente nomadi che nelle feste comandate le mamme ci guardano mute, con lo sguardo fisso che dice: Mi raccomando, eh... Va bene, mamma, va bene, per Natale ci sono. Poi tanto a Gennaio ricominciamo a zingarare.

martedì 29 novembre 2011

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Il panino di Elvis

Dunque, questa non l'ho inventata io. D'accordo che in cucina non si inventa niente e quindi tante cose che avete letto finora non è che possa dire "L'ho inventata io" con assoluta certezza. La cucina è un po' come il rock'n'roll: non si inventa niente, però se funziona va bene lo stesso, anche se è uguale a qualcosa che avete già sentito. Con assoluta certezza però vi dico che questa ricetta NON l'ho inventata io. E visto che tiriamo in ballo il rock'n'roll adesso vi rendo partecipi di uno dei più grandi segreti del Re. Elvis Presley, naturalmente.

Elvis si faceva preparare spessissimo dalla sua domestica un panino particolare. Ne avrà mangiati centinaia, a sentire lei. E dal 1973 in poi anche a vedere lui, aggiungerei. Bisogna avere del pane americano, del burro di arachidi, delle banane.

Prendete una banana e affettatela per il lungo. Tagliatela in mezzo e poi tagliate le due mezze banane per il lungo, se vogliamo esser precisi. Prendete due fette di pane americano. Su una (e solo su una, ribadisco) spalmate del burro di arachidi in quantità abnorme. Poi posizionate le banane sul panino. Chiudete. Scegliete se riscaldarlo leggermente oppure no.

Mangiate questa roba. Potreste diventare il nuovo re del rock'n'roll oppure morire soffocati vomitando liquidi bluastri, trascinandovi dalla tazza del cesso alla porta della stanza da bagno con i pantaloni calati, a 42 anni.

lunedì 28 novembre 2011

Una cosa che ho capito del jazz

È che il suono classico della batteria, quello della bacchetta sul piatto, quel suono che fa cicci-ci cicci-ci cicci-ci cicci-ci, quello lì, è il rumore del treno.

venerdì 25 novembre 2011

Trucchi della borghesia (45)

Il dire le cose per non dirle (o il non dirle per dirle) pur di venderle. Tipo: "taglie morbide".

giovedì 24 novembre 2011

Hanno ucciso Barbapapà o Io per me vorrei essere una rana (6)

di Sara Parravicini (sesta parte)

Il geco invece è un animalino tipo una lucertola grassottina, solo che sembra di gomma. È un po’ trasparente o un po’ marroncino chiaro tipo colore delle calze collant delle vecchie che si dice beige.
Il geco è un animale che sta sempre in vacanza, infatti lo vedi solo quando vai in vacanza al mare.
Al geco piace stare attaccato ai muri per far vedere a tutti che può stare attaccato a qualsiasi cosa. Infatti, ogni millimetro delle sue zampe è coperto di migliaia di setole speciali che gli permettono di fare l’equilibrista. Con quelle setole speciali potrebbe stare attaccato ovunque, anche nell’acqua o sulla Luna, giuro.

Io penso che deve essere bello avere quelle setole. Quando vai al mercato con la mamma e la tieni per mano, con quelle setole sei sicura di non perderti mai.

***

e non credo che sia solo l’adolescenza
o forse sì
ma che ne so.
io sono scivolata giù
e me ne sto qui
coi miei capelli blu
quattro poeti morti e rinsecchiti a farmi compagnia
manco una sigaretta tra le dita ché non fumo.
ma va bene così, lo dice anche vasco.
io scrivo poesie
e tutti mi dicono che brava che brava
ma a me non frega niente
cioè, non è che scrivo per i loro complimenti
scrivo perché non so fare altro
scrivo perché non riesco a parlare alla gente
a parlarle davvero, intendo.
scrivo perché quei fili di parole
annodate sulla carta
mi legano alla realtà.
sono fili sottili ma resistenti le mie parole,
sono parole partigiane.
sono bava da pesca
che mi àncora nel mare dell’esistenza,
filo di seta
che mi cuce al mondo.
sono tela di ragno le mie parole
che mi attacca al concreto dei miei giorni.
e così riempio quaderni
di parole e di disegni anche
disegni inquietanti a dir la verità
di bambini stilizzati e monchi
soprattutto la bocca gli manca
non lo so perché
ma va bene così, lo dice anche vasco.

io scrivo per non perdermi del tutto
scrivo per non volare via.

io scrivo perché non so che altro fare.

***

Da mia nonna ho ereditato una scatola di vecchie fotografie di famiglia, un neo sulla guancia, il suo ricettario, una collezione di caffettiere, la passione per le piante e alcuni utensili da cucina.
Ma ciò a cui più ambivo è andato perso con la sua morte: la capacità di narrare.
Mia nonna aveva una memoria strepitosa e poteva raccontare fatti avvenuti durante o prima della guerra con la precisione auspicata per una deposizione in tribunale: date di nascita, nomi, cognomi, vie, rapporti di parentela… tutto si ricordava! E riportava racconti di altri in maniera mirabile. Storie di guerra, per lo più, ma non solo. Nei suoi racconti scoprivo la vita dei bambini che non avevano tempo per essere bambini, quella dei contadini che crescevano i figli con un braccio solo “perché l’altro era del padrone”, quella delle donne che valevano meno di un mulo, che partorivano nella vigna e continuavano a lavorare.

Se mia nonna fosse ancora qui, vi racconterebbe la storia di questo tagliere. Perché anche gli oggetti hanno una storia e la loro storia è memoria e la memoria è resistenza.
Ricordare queste storie e raccontarle significa, per me, ritrovare la mia collocazione sulla spirale del tempo.

Questo è il tagliere su cui pelo sempre le patate. Fu di mia nonna e prima ancora fu della mia bisnonna che lo ebbe in dote da sua madre.
È un tagliere in legno di noce. Il legno di noce è un legno pregiato, normalmente non è utilizzato per forgiare oggetti da cucina, sarebbe uno spreco.
I miei trisavoli avevano un podere su una terra dove crescevano noci e castagni. Ovviamente non erano di loro proprietà, era tutto del padrone. Però insomma, ci vivevano, su quella terra piena di alberi.
La casa in cui nacque la mia bisnonna si trovava all’ombra di un noce imponente. Da quel noce prendeva il nome la casa in cui viveva: Casa Nocina. In quella casa, in quel noce, in quel nome, c’era tutta la storia della mia famiglia materna.
Un giorno il padrone decise che, con il legno di quell’albero, ci avrebbe fatto costruire i mobili da dare in dote alla figlia. Il mio bis-bisnonno provò a dissuaderlo, ma se il suo cavallo avesse saputo parlare, sarebbe senz'altro stato preso in maggiore considerazione.
Tutti erano usciti di casa per assistere all’evento, tutti guardavano gli uomini del padrone che segavano il noce.
I bambini erano eccitati, il noce era enorme, per loro era una festa.
Le donne si coprirono la bocca con le mani.
Gli uomini si tolsero il cappello.

Quando il primo ramo cadde a terra tra un crepitare di fronde, la madre della mia bisnonna svenne.

__________
(qui ci sono le altre parti, dalla prima alla quinta)

mercoledì 23 novembre 2011

Nel mio mondo perfetto (6)

Nel mio mondo perfetto, quando sono le sette passate e non vedi l'ora di andare a casa e devi immetterti in una via che qui da noi ha la sua rilevanza e si chiama Via Emilia, proprio non vorresti che accadesse un meccanismo inconscio guidatorio sincronico universale, che vedi da tutte le parti e di cui a volte sei pure tu stesso ingranaggio partecipe, consistente nel decelerare oppure accelerare tra carovane di file opposte, ad esattamente quella velocità precisa, nè molto nè poco, che non concede spazi d'inserimento ai malcapitati che attendono d'inserirsi dalle viuzze laterali. Ci sono sere in cui ho ascoltato quasi due canzoni alla radio da quell'angolazione, in attesa di uno spiraglio di buio tra i fari gialli e rossi, gialli e rossi, gialli e rossi. Ecco, diciamo che in quei momenti lì vorrei proprio essere Mosè.

martedì 22 novembre 2011

Nel nome del padre (6)

Ester: "Papà, per il mio compleanno io vorrei un regalo bianco."
Papà: "Va bene. Ma, tipo, cosa intendi quando dici bianco? Ad esempio?"
Ester: "Ad esempio una lavatrice."
Papà: "Ah. Ok... oppure?"
Ester: "Oppure un muro. O un'oca."

Dialettica (10)

C'è il dottor Bonino che l'altro giorno è venuto a Carpi a fare delle belle cose, e poi, dopo che ha finito di fare le belle cose che doveva fare, siamo andati a bere, a chiacchierare, a caricare delle sedie in una macchina - il dottor Bonino, dovreste vederlo, sembra laureato in caricaggio di sedie in una macchina, ci mette del tempo, ma ce ne fa stare anche otto, di sedie, in un'utilitaria - poi basta, siamo andati a letto.

La mattina dopo, il dottor Bonino si è svegliato ed è andato dritto a casa, dove abita lui, a Cuneo. Solo che si vede che non è abituato alle nebbie che vengon da queste parti, delle nebbie che fai fatica a vedere la targa della macchina davanti, delle nebbie che noi ci abbiamo imparato a guidare attraverso appena presa la patente, e che a dir la verità dieci anni fa eran delle nebbie ancor più nebbie di quelle di adesso, ma comunque, quello che volevo dire è che il dottor Bonino son due giorni che questa storia della nebbia l'ha sconvolto e ne ha scritto ieri e anche oggi. E oggi, tra l'altro, dice:
C’è un libro che si chiama Understanding Comics, Capire il fumetto, di un fumettista americano che si chiama Scott McCloud, dove si spiega che ciò che è disegnato in una vignetta rappresenta sempre solo una parte del mondo, se ricordo bene, e che noi, vedendo una vignetta, ci immaginiamo che ci sia, in qualche modo, il resto del mondo oltre i bordi della vignetta. Ma i disegnatori, il resto del mondo che sta oltre i bordi della vignetta, non lo disegnano mica. Ecco, stare nella nebbia è un po’ come stare in una vignetta. Ci son dei bordi che limitano il visibile e noi ci immaginiamo che ci sia qualcosa anche al di là, ma il disegnatore, in realtà, non l’ha mica disegnato. Ecco, nella nebbia è così.
Allora mi vien da pensare che forse non è mica un caso che qui, la nebbia, da noi, la chiamino fumàna.

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Trote dell'arroganza con crostini

Prendete dei filetti di trota iridea. Ieri sera costavano meno del persico, in pescheria. Sono buoni, cacchio. Ma son buoni se li fate come dico io, naturalmente. Da qui il nome della ricetta.

Prendete dei crostini. Da qui il nome della ricetta. Vale a dire prendete del pane raffermo e tagliatelo a cubetti, poi in forno fino a quando non abbrustoliscono a sufficienza. Con il pane ci risentiamo alla fine.

Quindi prendete del burro e scioglietelo in un tegame, fate cuocere i filetti di trota, partendo dal lato dove la pelle poggia sul tegame. Dopo l'iniziale sfrigolio abbassate il fuoco e state attenti che non attacchi, quindi di tanto in tanto muovete la padella come veri esperti chef, anche se non lo siete. Datevi un tono mentre lo fate. Da qui il nome della ricetta.

Quando è ben cotto da una parte, girate e fatelo dorare dall'altra. Sempre agitando, di tanto in tanto, la padella, come esperti chef, anche se non lo siete. Datevi un tono mentre lo fate, di nuovo. Da qui il nome della ricetta.

Se fate un paio di trotine non troppo grandi andrà bene un mezzo bicchiere di vino, riportando il fuoco alto. Fate sfumare. Salate e pepate da entrambi i lati. Tenete in caldo. Ora mettete dentro alla padella ancora sfrigolante i crostini. Se non c'è abbastanza sugo di cottura aggiungete burro. Mettete anche dello zafferano. Fate saltare i crostini qualche minuto.

Servite il pesce e accanto i crostini, come fossero patatine. Poi mi dite.

domenica 20 novembre 2011

Poi si scordino pure di me

No, io voglio un funerale all'antica, e l'ho scritto nel testamento, un funerale laico, ma d'una certa solennità. Laico, ma tradizionale. Non ci voglio i preti, ma gli ex preti ce li voglio, ci voglio quelli che hanno buttato la tonaca alle ortiche e si sono fatti comunisti, pur restando preti nell'animo. Ne voglio quattro, di questi preti spretati e togliattizzati, e poi voglio due cavalli neri col pennacchio in capo, due critici letterari a cassetta, ai quattro cordoni del carro ci voglio nell'ordine uno storico, un critico d'arte, un funzionario di casa editrice e un redattore di terza pagina.
Deve essere un bel funerale. Dietro venga chi voglia, tranne le segretariette secche. Loro no. Poi si scordino pure di me, ma il funerale lo esigo bello, solenne e, come ho detto sopra, laico. Perché troppi amici ho visto morire malamente, e peggio ancora essere accompagnati al camposanto.
(Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962; Bompiani 2005, pagg. 151-152)
E invece.
Quell'attimo arriva il 14 novembre [del 1971], mattina senza pioggia, molto fredda, dopo diciannove giorni di agonia, dopo quarantanove anni di vita agra.
Due giorni dopo, da Grosseto, arriva il furgone funebre mandato dal Comune. [...] Alla partenza del furgone c'è Maria in un angolo che piange.
La bara scivola dentro, l'autista e il becchino chiudono il portellone. Ci sono quattro persone con i cappotti chiusi, venuti per salutarlo. Uno è Vacchelli. Il secondo è Sergio Pautasso: "Finché campo non dimenticherò lo squallore di quel funerale". Gli altri due non se li ricorda più nessuno.
(Pino Corrias, Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano, Baldini&Castoldi 1993, pag. 190)
Luciano Bianciardi – ci ho fatto la tesi di laurea, su Luciano Bianciardi – è morto quarant'anni fa. E sei giorni. Ma era il mio compleanno, sei giorni fa, portate pazienza. Quarant'anni dopo la vita non è certo meno agra. Ciao Luciano.

venerdì 18 novembre 2011

Trucchi della borghesia (44)

Gli amici d'infanzia, rockettari, mangiapreti, radicali, che poi si sposano in chiesa.

giovedì 17 novembre 2011

Nel nome del padre (5)

Quando avevo vent'anni mai avrei pensato che un pomeriggio sarei stato sdraiato per terra, con qualcuno che strappava a morsi pezzi di un sacchetto di plastica trasparente (quelli da verdura del supermercato, tipo) e me li sputava addosso.
E che mi sarei divertito tantissimo.
Durata del gioco: 27 minuti.
Stato del sacchetto alla fine del gioco: qui.

Hanno ucciso Barbapapà o Io per me vorrei essere una rana (5)

di Sara Parravicini (quinta parte)

Aria. Mi manca l’aria, cazzo.

Io non ci sto più con la testa, è evidente. Vedo cose che non ci sono. Sono sicura, non ci sono.
No, non è vero: non sono più sicura di niente.
Mi sono appisolata un attimo. Mi risveglio e tutto mi si sta sgretolando intorno.

Merda.
Potevo starmene finalmente a casa tranquilla, e invece.

Cazzo.
Aria, aria.
Pensieri di merda.

Ancora quella sensazione, quello scollamento. Quel sentirsi divisa, una parte di carne e una parte di testa. Il mio mignolo che pulsa in fondo al divano e i miei pensieri altrove, un po’ di lato rispetto al mio corpo.
Io che mi guardo da fuori, io che sono fuori da me.
Il mio mignolo che non è più mio, il mio piede che è il piede di qualcun altro. Non sento più dolore. Eppure il dito è nero, un carboncino mozzo.
Mi sono persa di nuovo, di nuovo ho perso il centro.
Mi sono staccata ancora una volta e non so come fare a tornare indietro.

Aria, aria.
Aria, perdio, aria.

Io, io è un po’ che mi sono sdoppiata. Cioè, che la mia testa se n’è volata via. O forse è il contrario, forse è il mio corpo che mi ha abbandonata, non lo so. So solo che l’effetto è indicibilmente fastidioso, come quando provi inutilmente a mettere a fuoco un’immagine da ubriaca, come quando il doppiaggio di un film è in ritardo.

Aria. Aria, cazzo, aria.
Non tengo più niente.
Respira, respira.
Scrivi, perdio, scrivi. Tieniti insieme.

***

Mi piace pelare le patate.
Come sgarbugliare fili intrecciati.
Sgarbugliare fili intrecciati è trovare il capo di una massa informe che sembra non portare da nessuna parte.
Sgarbugliare fili intorcicati è far tornare collanina una collanina, ridare una funzione agli auricolari dell’mp3, è permettere a un grembiule di svolgere il suo lavoro in cucina.
Sgarbugliare fili è trovare un senso.
Mi piace sgarbugliare i fili attorcigliati.
Come pelare le patate.
Mi tranquillizza.

Ma poi quando ho finito
mi sparpaglio di nuovo
come bucce su un tagliere
donna di scaglie sottili
disordinate
sparse.

E a quel punto tutto se ne va a pallino. È come se venissi trafitta da lame di me. Una rivisitazione di San Sebastiano: anziché frecce, a trapassare il mio corpo sono la mia me-bambina e la mia me-adolescente.
Tutto si fa mal di mare e stanza che gira e mancanza di senso.

Non so più chi sono.

__________
(qui ci sono la prima, la seconda, la terza e la quarta parte)

martedì 15 novembre 2011

Nel mio mondo perfetto (5)

Nel mio mondo perfetto, puoi anche andare ai 180 all'ora e superarmi in curva a luci spente, ma se mi stai a un millimetro dal culo la tua macchina esplode all'istante, e se una sera che siamo fuori a cena in compagnia o in un locale, o a casa di qualcuno o dove ti pare, e io mi accorgo che devo andare via, o che mi si son rotti i maroni e allora voglio andare via, e mi alzo, saluto tutti e dico Vado a casa, non c'è nessuno che mi chiede il perché. Questo, vorrei, nel mio mondo perfetto.

lunedì 14 novembre 2011

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Patatata

Prendete delle patate, sbucciatele e tagliatele a pezzetti. Fate bollire dell’acqua salata alla quale avrete aggiunto del Kummel. Dio benedica il Kummel. È buonissimo. È olandese. Non è un caso.

Quando l’acqua bolle buttateci dentro le patate. Fate bollire tra i 5 e i 10 minuti, dipende da quanto sono grossi i pezzetti. E scaldate il forno a 220 gradi.

Scolate le patatazze. Sulla teglia del forno stendete un rotolo di carta forno, oliatelo e mettete una manciata di sale grosso. Distribuite con le mani in modo che sia una cosa abbastanza uniforme. Stendete le patate sulla teglia e mettete ancora un po' di sale grosso, appena appena. Se con la scolatura il kummel è volato via, aggiungete di nuovo un poco di kummel sulle patate.

Infornate e dopo una decina di minuti tirate fuori, girate le patate con un cucchiaio dando una bella rimescolata. Poi di nuovo dentro. (Chiudete la porta del forno SUBITO quando le tirate fuori, naturalmente. E che cacchio.)

Avete comprato della fontina a fette? (Io uso il GALBANINO, ma non volevo fare pubblicità.) Quando le patate sono cotte, a occhio e croce dopo una ventina di minuti, fate le porzioni, sui piatti o in una ciotola di terracotta (consigliato) dove avrete messo uno o due riccioli di burro sul fondo. Ora, sopra ogni ciotolina stendete il formaggio e un po' di pepe nero (sopra al formaggio). Rimettete in forno (spento, ma se lo avevate tenuto chiuso è ancora bello caldone) e tirate fuori quando comincia a filare per bene.

Poi mi dite.

venerdì 11 novembre 2011

Tante belle cose

Sabato 19 novembre, a Carpi, allo spazio Meme, succedono tante belle cose, tutte coordinate da quel bravo guaglione del carlo dulinizo.

Dalle 15 alle 18 ci sarà la prima riunione aperta di una specie di rivista che dovrebbe intitolarsi Tante Belle Cose. Tante Belle Cose (o T.B.C.), dovrebbe essere il seguito dell’esperienza de L’Accalappiacani, settemestrale di letteratura comparata al nulla edito da DeriveApprodi il cui quinto e ultimo numero è uscito un anno fa. Chi vuole, può venire a leggere i propri (brevi) testi letterari.

Dopo, alle 18:30 circa, ci sarà un incontro con Alessandro Bonino e Stefano Andreoli. Con loro si parlerà di Spinoza 2 (ed. Aliberti), come primo appuntamento della rassegna Come se i libri eran motori (e chi li leggeva era un meccanico), organizzata e promossa sempre da Tante Belle Cose. Sul sito del Meme c'è scritto che "si ragionerà su com’è fatto Spinoza 2, su come si poteva fare diversamente, su quelle che ci sembrano, dentro quel libro, le cose che funzionano e quelle che non funzionano, sul genere cui appartiene, ammesso che appartenga a un genere".

Secondo me, se venite, fate una bella cosa.

A rimpiattino con il Risorgimento

[Il vecchio malvissuto ha scritto un lungo articolo su Voce, che è tipo il Time carpigiano.]

A tanto tempo di distanza ancora punge una sensazione provata da bambino mano a mano che si approssimava la fine dell'anno 1948. Si consumavano le celebrazioni del centenario della insurrezione di Milano contro gli Austriaci e la fantasia di noi decenni si ostinava a rimanere legata alle battaglie sulle barricate erette da tutta una città, monelli e 'tusan' compresi, contro lo straniero oppressore, quel "Germano" al quale "Dio non disse giammai: / Va', raccogli ove arato non hai / spiega l'ugne, l'Italia ti do". Come impone l'età tenera eravamo fieramente conservatori, e perfettamente a misura della storia di una Nazione nata, così ci pareva, grazie ad un popolo di giovani intelligenti e coraggiosi che trasformarono in realtà sogni antichi, secolari illusioni.
Con sacra enfasi pari a quella dell'Inno manzoniano citato sopra, ci avevano acceso di orgoglio nazionale misto a tremori, tre anni prima, i giorni estremi della Resistenza quando, al sibilare improvviso di una lugubre "sirena", i grandi ci trascinavano dentro i rifugi antiaerei per lo più scavati nei cortili e protetti dal velo di una cupola di cemento armato (ma uno di quei rifugi, forse il meno assurdo, era costituito dalla torre medievale della chiesa della Sagra). I più avventurosi di noi ragazzetti, tuttavia, ci si attardava nella grande piazza, per "vedere la guerra", gli occhi tesi in alto verso le rombanti formazioni dei bombardieri alleati impegnati anche allora in "missioni mirate" contro le "installazioni nemiche". E pazienza se le "schegge della Liberazione" raggiungevano qualche civile o scavavano fumanti crateri vicino a obiettivi non propriamente militari (fu colpita anche la parrocchia di San Francesco scoperchiando le tombe dell'antico, semidimenticato cimitero dei frati).
Molti racconti letterari o cinematografici del secondo dopoguerra sono popolati da bambini che sciamano, sciolti da ogni controllo, lungo strade dissestate e tra le rovine delle città. Bimbi che entrano curiosi dappertutto per trovare campo ai loro giochi sospinti dal fremito di avventurose scoperte, per inciampare magari nelle tragedie narrate così efficacemente dal cosiddetto Neorealismo: bombe inesplose maneggiate incautamente, pistole ancora cariche puntate per scherzo contro il compagno.

(continua tantissimo, ma ne vale la pena, qui)

giovedì 10 novembre 2011

Hanno ucciso Barbapapà o Io per me vorrei essere una rana (4)

di Sara Parravicini (quarta parte)

Vado con la mia famiglia a trovare i miei nonni ogni domenica, da quando sono nata.
Io odio andare dai miei nonni: mio nonno ha un alito che puzza perennemente di aglio e sigaretta e mi dà il voltastomaco. Ogni volta cerco scuse per non andarci. La più gettonata è stata per anni quella dello studio, ma visto che adesso ho la media del quattro in quasi tutte le materie, non regge più molto.
Oggi avremmo dovuto festeggiare il compleanno di mia nonna. Impensabile salvarsi con la palla del compito in classe. Nemmeno un esame di maturità anticipato per motivi di guerra sarebbe riuscito a farmi ottenere l’ esonero dai festeggiamenti.
Io ho però deciso che non sarei andata dai nonni. Né oggi, né mai più.
E così mi sono lasciata cadere il Devoto-Oli su un piede. Dall’ultimo ripiano della libreria. Mi è finito proprio sul mignolo, ovviamente. Un male bestia.
Poi urla, le mie. Panico generale, mia madre con la borsa del ghiaccio, sguardi apprensivi, ma non se lo sarà mica rotto?

Adesso sono sola in casa, gli altri dai nonni a spegnere le candeline e a mangiare la torta.
Me ne sto spaparanzata sul divano raffreddando amorevolmente il mio mignolo salvatore, probabilmente rotto. Mi chiedo in quanto tempo guarirà. Spero non troppo in fretta perché, finché non potrò camminare bene, scamperò la gita dai vegliardi, visto che abitano al quinto piano senza ascensore.

Ma non sono preoccupata. Mi restano ancora nove dita, nei piedi.

***

Tutti mi dicono che il passato è passato, che il passato non può tornare.
Io penso che in sé, questa frase, abbia un che di vero, ma non quando si riferisce a me, no. Perché, nella mia vita, il passato ritorna, ciclicamente.
Tutto torna. Come una marea tossica, come un fiume inquinato in piena: incontenibile, nauseabondo, inarrestabile. Uguale. Ed è questo essere uguale a sé stesso, questo suo travolgermi con potenza inaudita, come allora, ecco, questo mi uccide.
No, anzi, non mi uccide: mi consuma. E allora grida la carne, mi mordo, mi graffio, per sentire che ancora ci sono, per dirmi che non sono morta, per ricordarmi che non sono tornata indietro, per non dover urlare il mio terrore, per sentire che sono, qui e ora, ancora io, Grazia Maria, Mariagrazia.

***

Un altro animale specialissimo è la salamandra. La salamandra è come una lucertola ma più molliccia perché è senza scaglie. La povera salamandra ha fatto spesso una brutta fine perché una volta si credeva che potesse sopravvivere al fuoco. Nella mitologia celtica le salamandre vengono anche chiamate Fate del Fuoco.

Ma se solo avvicini una salamandra al fuoco, la salamandra muore perché il suo corpo ha bisogno di tanta umidità per sopravvivere. Ché è quasi tutta di acqua bagnata, la salamandra.

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(qui ci sono la prima, la seconda e la terza parte)

mercoledì 9 novembre 2011

Favola d'amore triste per malati di mente

Il filmato di una cosa successa giovedì scorso allo Zammù di Bologna: click.
(Lo Zammù è quel posto dove domani sera si fanno le Schegge di Liberazione, tra l'altro.)

martedì 8 novembre 2011

È l'inizio della fine (5)

Io non lo so com'è nelle vostre città, ma nella mia hanno smesso di toglierle dalle strade, dai marciapiedi, dalle piste ciclabili, e restano lì, le foglie morte, tutte insieme, a far distese, a rubare aderenza agli pneumatici, alle scarpe, a non formare più quei bei mucchi confortevoli, sempre più grandi, ai bordi delle piante, in cui da bambini ci tuffavamo impunemente ridendo come scemi, affondando l'allegria nella morbidezza dell'autunno e nell'immancabile piscia di cane.

lunedì 7 novembre 2011

Trucchi della borghesia (43)

"Quale maggiore simbolo della classe media se non il soffia foglie? In esso sono contenuti tutti quelli che sono gli elementi caratterizzanti di tale popolazione sociale. Così, all'analisi dello strumento, vi ritroviamo la volontà di mantenersi a distanza dai problemi reali, di non entrare in contatto con le questioni terrene, ordinarie, quasi a conservare un'igiene di casta, una separazione che è nel fatto, ma che si proietta nel socio-logico dello iato classista. Distanza dai problemi e insieme distanza dalle altre classi, l'allontanamento come fondante e ribadente uno spazio d'azione e di valori privato, sebbene sociale. In più, l'allontanamento come disinteresse, come distacco indifferente dalla civiltà-inciviltà; un rigetto delle questioni come inutili, prive di fascino intellettuale od estetico od etico, annoianti. Il getto d'aria - in una contrapposizione che è definizione per auto-esclusione - come sbadiglio al mondo, incapacità di trovare stimoli, positivi o negativi, che penetrino la logica conclusa, apodittica, completa e coerente, epperò naturalmente priva di alone vitale, affermata dagli assiomi borghesi". Dal Trattato di logica sociale del secondo ordine con esercitazioni di Friedrich von Arnheim.

(di Cristiano Micucci "Mix")

sabato 5 novembre 2011

Nel nome del padre (4)

Bappo è una bambola che era di mia madre e che adesso è di Ester.
Oramai son passati quasi due anni da quando Bappo gira per casa, ma ancora non avevamo capito per bene se era un maschio o una femmina. Ester ogni tanto la tratta al femminile, ogni tanto al maschile, e si è sempre creata una gran confusione sessuale. Non che la cosa disturbi. Però eravamo curiosi. Così stasera abbiam deciso di mettere un punto a questa faccenda.

Mamma: "Senti Ester... ma Bappo, alla fine, ha il pene o la vagina?"
Ester: "Nooo. Bappo ha solo il culo"
A posto.

venerdì 4 novembre 2011

(Trascrizione più o meno fedele di) E poi secondo me è un bell'uomo

[Quello che segue è il testo della presentazione che ieri mi hanno chiesto di fare per introdurre il reading del poeta Azael, allo Zammù di Bologna.]

Buonasera.
Mi chiamo Elena Marinelli, abito a Milano, stasera sono arrivata proprio da Milano su un’auto di cortesia perché quella solita è dal carrozziere e sono qua perché gli amici della Casa Lettrice Malicuvata mi hanno chiesto di presentare la serata di oggi dell’Alfabeto Letterario di Zammù.
Li ringrazio molto, sono contenta che me l’abbiano chiesto, ci tenevano che io dicessi qualcosa e ringrazio anche lo Zammù che è un bel posto per leggere e dire delle cose, si sta bene e infatti ci vengo spesso.
Ora che ci penso sono ormai due anni che ci vengo spesso.

Questa serata è dedicata ad Azael che è un Poeta.

Azael scrive le sue poesie e poi le pubblica su internet. Oddio: non so esattamente se lo fa immediatamente però in generale diciamo che fa così.
Il suo sito si chiama “Poesie da decubito: una roba” scrive lui testuale in fondo in fondo alla prima pagina “di poesie e cose fini, fatta da Azael per suo diletto”, perché di mestiere lui non fa il Poeta, ha un lavoro normale, di quelli che durano otto ore, non fa nemmeno il Filosofo anche se è laureato in Filosofia; in effetti non so bene che lavoro fa ma ogni tanto si mette la cravatta, quindi deve essere un lavoro serio.

Le poesie di Azael su internet stanno all’indirizzo www.decubito.org. Ha pubblicato tre ebook scaricabili tutti gratis con dentro le cose quotidiane, “scritte in due anni passati ad aspettare il lunedì” dice lui e poi ha pubblicato anche un libro di carta - che è anche un ebook - dal titolo Favola d’amore triste per malati di mente come questa serata, che è poi il titolo di una sua poesia bellissima – spero la legga questa sera - a cui sono molto affezionata.

In realtà ci sarei venuta lo stesso qua allo Zammù stasera da Milano con l’auto di cortesia del carrozziere a sentire Azael leggere, perché mi piace molto, è la prima volta che legge qua allo Zammù, e poi, devo dire, è anche un bell’uomo secondo me, soprattutto quando indossa gli occhiali – stasera non li ha messi è un peccato, ma fidatevi - e dicevo mi piace molto, è bravo, diciamo che sono proprio una sua fan, anche perché è davvero un bell’uomo secondo me.
Probabilmente non sono obiettiva: non sono un critico, non sono un poeta, com’è che hanno chiamato proprio te, direte voi, poi arrivi da Milano e insomma se uno è fan di qualcun altro certe cose, le criticità come si dice, non le vede.
Ecco: non so, forse avete ragione, ma mi hanno chiesto di presentare Azael, gli amici di Malicuvata che son poi persone a modo e io ho detto semplicemente sì, mi sembrava una cosa bellissima da fare e non avevo ancora mai presentato nessuno in vita mia. E ho detto sì. E poi Azael è un bell’uomo.

Ecco ora che ci penso non sono proprio sicura di essere la persona adatta, scusate, è che ho detto sì, non me l’aveva mai chiesto nessuno, capitemi, uno prende gli impegni poi ci pensa due minuti in più e la decisione già vacilla. Ci ho pensato su da quando ho detto sì - sono tre settimane circa - e in effetti non sapevo da dove cominciare - il mio problema è sempre cominciare - né tantomeno come vestirmi, così mi son vestita di blu, che è un colore che mi sta bene di solito e mi sono messa i tacchi che è una cosa che fa sempre il suo effetto.
C’è da dire che io i discorsi non li so fare, ho studiato un po’ prima di venire qua, ci tengo a fare bella figura, dovrebbe essersi capito, quindi se questa presentazione non vi piace abbiate pazienza e non me lo dite.

Ora comincio.

Azael non so bene bene quanti anni ha, è più saggio di me e io ne ho 29 di anni, vive a Perugia ma è abruzzese e i suoi nonni sono di Capracotta che è in Molise e anche io sono molisana, ma non di Capracotta. Lui no, lui è di Penne, un paesino in provincia di Pescara, un paesino bruttissimo, io ci sono stata un giorno con la scuola, alle elementari: ci portarono lì per farci visitare una centrale eolica – mi pare - stavamo studiando le energie rinnovabili in Geografia, eravamo una scuola elementare moderna e molisana che detta così sembra un paradosso, moderno e molisano insieme, ma tant’è.
Prima di arrivare a Penne, siamo passati con l’autobus attraverso un altro paesino che si chiama Collecorvino e ora voi magari vi immaginate un colle pieno di corvi. Pure i miei compagni di classe, io invece mi immaginavo un colle color corvino, tutto nero nerissimo senza niente sopra. Non mi ricordo bene quella giornata a Penne, a parte Collecorvino, ricordo solo che avevo dimenticato il pranzo al sacco sull’autobus, non mangiai quasi nulla e ero molto contrariata.
Azael, però, quel giorno lì non l’ho incontrato.

Azael non so proprio bene da quanti anni sta a Perugia, ci lavora questo lo so, ci cucina, ha una casa in cui cucina spesso, oggi ha mangiato le orecchiette, io la frittata, ce lo siamo detti proprio stamattina e ha una connessione internet perché ogni tanto alla sera ci scriviamo in chat e ci diciamo due o tre cose; non di più ché a me sembra sempre di disturbarlo se sto lì troppo a far domande – io ci vorrei sempre parlare tantissimo e quando cominci non puoi mica smettere subito: questo stesso effetto me lo fanno solo i taralli.
A Perugia la prima volta ci sono stata a trovare la mia amica Valentina che studiava lì, era quasi Natale, io invece studiavo qua a Bologna all’epoca, era il 2002 e a Perugia faceva un freddo ma un freddo che Bologna mi sembrava Palermo – anche se io a Palermo non ci sono mai stata ma dicono che fa sempre caldo a Palermo – e era piena di salite e discese Perugia, aveva una stazione dei treni bruttissima, presi il raffreddore e sul treno del ritorno stetti malissimo perché dimenticai l’aspirina a casa della mia amica Valentina. Mi comprai un cappello verde scuro, ma di Azael nemmeno l’ombra.

Azael la prima volta che l’ho incontrato dal vivo era in mezzo a tantissima gente, beveva una birra e mi disse “l’elena!” col punto esclamativo; sembrava contento di conoscermi, a me tremavano un po’ le gambe anche perché è un bell’uomo e poi mi chiamò per soprannome che è una cosa intima, se ci pensate: a me fa sempre un certo effetto. O forse mi ha fatto effetto perché è un bell’uomo.
La prima volta che l’ho incontrato in assoluto, invece, era su internet. Avevo letto una sua poesia che mi sembrava illuminante. Non me la ricordo tutta, si intitola I vecchi rigati è della primavera 2010 mi pare; a un certo punto diceva così:
i vecchi in ciascuna ruga
delle molte
ci son passati mucchi di vita esistenziale

sofferenze, lutti, amori tragici, amori divertenti, guerre, scudetti del cagliari e della cavese
vietnàm

ma io invece io lo so
i vecchi son solo morti troppo giovani

e i vecchi
se li fanno rigati
solo per fargli meglio

trattenere il sugo.
Ecco: secondo me una persona umana in carne e ossa che porta pure gli occhiali e che è un bell’uomo, che scrive una cosa del genere quanto meno, ho pensato, quanto meno vede il mondo, le cose del mondo, gli oggetti, i bicchieri sul tavolo, i portici per strada, i lampioni, i piatti, le posate, i lobi delle orecchie, vede le cose del mondo – tutte – in un modo speciale. E deve saper cucinare.
Non strano o stravagante o sorprendente, ma speciale, nel senso di qualcosa che tutta insieme forma una specie a sé e anche nel senso di “speziale”, quello che preparava le cose con cura e metteva insieme elementi che in natura stavano ognuno per conto suo e poi li donava, quasi come un regalo, in un modo nuovo.

Dalla volta de I vecchi rigati non ho più smesso di leggere Azael, sono tornata indietro, ho letto tutto, le cose prima e quelle dopo, fino all’ultima che aveva pubblicato in quel periodo lì che era Favola d’amore triste per malati di mente che è poi il titolo di questa serata che devo presentare e quindi torna tutto.

Quello che volevo dire, in sintesi – ho letto che a un certo punto nei discorsi bisogna arrivare alla sintesi finale – è che da quel giorno in avanti ho letto ogni cosa di Azael avidamente perché volevo sapere, mi sono accorta, cosa c’è dietro alle cose. Dentro è facile: basta smontarle, ma per guardare dietro bisogna avere un po’ di coraggio e di forza a spostarle, ché, ho capito poi dopo, le cose piccole, quelle delle poesie di Azael, sono macigni.

Grazie, ho finito.

giovedì 3 novembre 2011

Neverending tour: novembre croccantissimo

Il nostro simone rossi mi ha mandato una mail con un riassunto delle date novembrine di croccantissima, quel libro di carta e d'elettroni che vi piace tanto. Perciò, nei prossimi giorni, a partire da domani, lo trovate qui:

Venerdì 4 novembre
Al Pane e le rose, uno dei pochi posti in cui, dicono, si sta bene a Forlì. La formazione è la solita: Bicio al contrabbasso, l'elena legge, Francesco Farabegoli fa i disegnini live. A seguire c'è del gran ROGHENROA a cura del benty. (Il giorno dopo, se rimanete in zona, ci sono le Schegge di Liberazione.)

Venerdì 11 novembre
Al capolinea, a Faenza. È un centro sociale, coi cani e tutto.

Sabato 12 novembre
A cesena, al Nero su bianco, alle 21, all'interno di Cesena Comics (c'è anche gente di un certo prestigio).

Poi ci sono due date in combutta con Vanni Santoni ("in combutta" vuol dire che simone e Bicio suonano il libro di Vanni e lui quello di simone oppure l'elena legge anche il libro di Vanni o Vanni suona il contrabbasso e Bicio fa i disegnini al posto di Farabegoli, però tutti in squadro, ancora non si sa):

Sabato 19 novembre
A Bologna, alle 21.30, sotto il ponte di via Stalingrado - dove i gemelli diversi hanno realizzato il video di mary - l'indirizzo preciso è via Gandusio 10, sede dell'associazione culturale L'altra Babele.

L'altra data in combutta, come le successive croccantissime soliste, sono a dicembre, quindi ve le raccontiamo a fine novembre. Stasera, invece, non mi stancherò mai di dirlo, c'è Azael allo Zammù, con delle sorprese, tra l'altro.

Hanno ucciso Barbapapà o Io per me vorrei essere una rana (3)

di Sara Parravicini (terza parte)

La rana è bellissima. È il mio animale preferito, la rana! Ci sono rane verdi, rane marroni, rane un po’ verdi e un po’ marroni, rane blu, rane arancioni, rane arancioni e verdi, rane gialle, rane gialle e nere, rane azzurre, rane azzurre con le righe arancioni, rane coi pallini, rane piccole come la punta di un dito, rane velenose, rane che cantano, rane mute... Vabbè, mi fermo, avete capito. La maestra me lo dice sempre che non ci ho la sintesi e infatti, nei temi, vado sempre fuori tema. Ma non nel senso che scrivo cose che non c’entrano col titolo, no. Nel senso che mi finisce sempre il foglio protocollo perché scrivo troppo e secondo me dopo un po’ la maestra si annoia a leggermi. Ma comunque, vi stavo dicendo della rana.
Ci sono tante leggende sulle rane. Una volta si pensava che le rane potessero cadere direttamente dal cielo perché si credeva che fossero i temporali estivi a farle nascere.
Che poi è vero che a volte le rane piovono dal cielo e il bello è che, se proprio non si spiaccicano che gli escono tutti gli occhi e le budella, dopo continuano a vivere come se niente fosse! Ma non è che piovano dal cielo per magia, no. Piovono dal cielo perché qualche tornado le raccatta dai loro stagni, le fa viaggiare per dei chilometri e poi le scarica a casaccio insieme magari a pesci e uccelli. Spatatapapappà! Spatapà! Spatapatapatapatapà!

Io, una pioggia di rane, non l’ho mai vista, però sono ancora giovane e può ancora capitarmi.
Io, se fossi una rana, vorrei almeno una volta nella mia vita di rana piovere dal cielo.

Ma la cosa più WOW della rana lo sapete qual è? È che la rana va in IBERNAZIONE.
Lo sapete che cos’è l’ibernazione? L’ibernazione si chiama anche “stato di quiescenza” e vuol dire che “un organismo vivente può temporaneamente sospendere i suoi processi vitali”. Praticamente succede che stacchi il cervello per un po’ e te la dormi tipo un letargo.
Lo stato di quiescenza secondo me è bello davvero. Non è una cosa triste, di morte, no.
È quando, in Natura, alcuni semi rimangono per anni nel deserto zitti e fermi e poi incendiano di verde e di rosso la sabbia al primo temporale.
Lo stato di quiescenza, per me, è la primavera che ti aspetta, è stare a casa a leggere Topolino in un giorno di scuola per un mal di pancia che hai detto alla mamma che hai ma non è vero che ce l’hai, è il tempo lungo delle giornate di pioggia che ti fa inventare un gioco senza giocattoli. È non avere i pensieri di ragnatela, è respirare tranquilla.

C’è anche un altro animale, un gamberetto chiamato “scimmia di mare”, che può resistere allo stadio di embrione per ANNI fuori dall’acqua e poi… magia! Reimmergendolo in acqua riprende a crescere.
La rana pure fa tipo così. Io non lo so perché lo fa, forse perché arriva un tempo dell’anno che è stanca davvero o forse ci ha troppi pensieri o forse vuole solo ricaricarsi per cantare meglio di prima… non lo so.

Però io, se potessi, vorrei tanto essere quiescente pure io. No sempre. Ogni tanto.

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(qui ci sono la prima e la seconda parte)

mercoledì 2 novembre 2011

Nel nome del padre (3)

Ester: "Anche io quando sarò papà mi farò la barba?"
Papà: "Eh già"

martedì 1 novembre 2011

È l'inizio della fine (4) | Trucchi della borghesia (42)

Halloween.

(Ieri sera, sarà stato verso mezzanotte e mezza, mentre portavo il cane a pisciare, ché erano appena finiti i botti dei marmocchi e la piazza era tornata ad essere quel meraviglioso deserto notturno che amo d'inverno, in una via che incrocia perpendicolarmente i portici carpigiani, mi hanno attraversato la strada due zombie sulla trentina, forse più: il primo, su uno skate, in silenzo, guardava davanti a sé e aveva le spalle ricurve e l'occhio a mezz'asta; il secondo zombie, vestito come il primo, anch'egli rotellante sullo skate, cantava con un megafono "ti ringrazio mio Signore, non ho più paura". Son rimasto fermo a contemplarli, in quell'atmosfera lynchana, e a pensare che se proprio dobbiamo importarlo, Halloween, tanto vale ricoprirlo di follia. Poi il cane ha tirato il guinzaglio, e aveva ragione, doveva pisciare, come tutte le sere.)