lunedì 31 ottobre 2011

Neverending tour: Schegge di novembre

Ecco, questo mese torniamo prepotentemente a leggere le Schegge di Liberazione, che tra un motivo e l'altro mancano da un po' nella lista dei nostri reading. E proviamo a finire le copie cartacee rimaste, che tutto sommato non sono poi tante. Quindi:

Sabato 5 novembre
Ci trovate in romagna, a Sogliano al Rubicone (FC), dalle 21 circa, sul palco del Teatro Comunale Elisabetta Turroni (glom). Inutile dirvi che è una data perfetta, il 5 novembre, per parlare di Resistenza (remember, remember the 5th of November).

Giovedì 10 novembre
Torniamo a Bologna, e ci torniamo sempre volentieri. Stavolta siamo allo Zammù, in via Saragozza, alle 21:30, nella rassegna curata da quei bravi ragazzuoli di Malicuvata e Scritti Erranti. Se volete venire a leggere qualcosa, sapete come contattarci. (E se giovedì 3 siete in zona, sempre allo Zammù c'è IL poeta, Azael, che declama di pesci, madonne e albicocche. Una roba che se ve la perdete per futili motivi, siete matti.)

Domenica 20 novembre
Dopo un naufragio per maltempo alla festa del PD di Modena, ci riproviamo, con le gambe che un po' tremano: leggiamo le Schegge di Liberazione accompagnati dal Coro delle Mondine di Novi di Modena. Lo facciamo a Limidi di Soliera, in serata (l'orario preciso ve lo comunichiamo appena possibile). Preparate le lacrime.

Poi c'è il tour novembrino di croccantissima, ma ve lo diciamo in un altro post.

domenica 30 ottobre 2011

Alessandrini dell'occupazione

[La nostra amica AlessandraC spesso si diletta nella composizione di alessandrini, che potremmo chiamare alessandriniC, con le cose che trova sull'internet. L'aveva già fatto, anche se ci eravamo dimenticati di dirvelo, con le Schegge di Liberazione e con le Cicatrici (due volte). Ora ha composto dei versi alessandrini spulciando dalla settimana occupata barabbista, e sono molto belli.]

Ci ho pensato un momento, | poi mi è tornata in mente:
quello che mi ricordo | è uno che urlava,
un ragazzo un po’ brillo | che è arrivato correndo.
Ci credo solo un po’ | che sia una guerra vera.
Fuori inizia la sera, | riempio due bicchieri.
Se avessi detto piano, | al tuo orecchio “io t’aspetto”,
Avrei, con un respiro, | parlato al mondo intero.

Le fonti, dal primo verso all’ultimo:
(1) Matteo Castellani Tarabini “Paz 83″, Draghetti colorati
(2), (3) Benedetta Torchia “Sonqua”, Suora!
(4) “nandina”, Pane, salame e rivoluzione
(5) Silvia Salvagno “nastja”, Occupy Sunday
(6) (7) Laura “availableinblue”, Quel che so bene

sabato 29 ottobre 2011

Hanno ucciso Barbapapà o Io per me vorrei essere una rana (2)

di Sara Parravicini (seconda parte)

Mi piace pelare le patate, starei a sbucciarne dei chili. Pelare le patate è una di quelle cose che mi danno serenità. Mi rilasso.
È un gioco leggero tra le mani e la testa, un’attenzione costante, silenziosa e piana, accompagnata da movimenti misurati e tondi. Nel fruscìo della buccia che si stacca dal frutto, nel contatto con la sua frescura acquosa, nel suono metallico del pelapatate, io mi ritrovo.
L’odore di terra tra le mani, il nero sotto le unghie, le dita attente a non tagliarsi con la lama, l’occhio vigile ma non teso. Nel pelare le patate io, incredibilmente, mi sento una, il mio io si ricompone, la testa e il corpo di nuovo insieme, come forse sono stati un tempo, non ricordo più.
Pelare le patate congela il tempo e mi dà l’illusione di liberarmi, anche se solo momentaneamente, dal suo ripetersi ciclico, dall’eterno ritorno di un passato di rovi.

Perché quello che mi frega, ancora oggi, è il passato.
Grammaticalmente parlando, dovrei dire il “passato remoto”, ovvero quel tempo verbale che a Milano non esiste, che a Napoli indica un fatto accaduto ieri mattina, a Bari stamattina e due ore fa a Palermo: è il tempo delle cose concluse, delle porte che si chiudono. Il mio passato è passato ma non rimane tale, non vuole sentirne parlare di allontanarsi definitivamente, di diventare davvero remoto.
Non è nemmeno identificabile col “passato prossimo” perché il termine “prossimo” porta in sé la vicinanza, la condivisione, il desiderio di stare insieme e questi non sono i sentimenti che mi legano al mio ieri. E in ogni caso, pur nella vicinanza, il passato prossimo è passato, è chiuso, è di là, è finito.

Il mio passato invece è qui, nel presente.
Non sempre.
Ma quando ci arriva, il mio passato avvelena e devasta ogni cosa e si salvi chi può.

***

No, non mi chiamo veramente Selvaggia. È solo che Selvaggia mi sembrava meno peggio del mio vero nome, per questo mi faccio chiamare così.
Come mi chiamo veramente? Non lo dite a nessuno? Grazia Maria mi chiamo. No, dico:
Grazia
Maria.
E non sono nata nel ’32! Che poi a me, se c’è un nome che mi fa cacare, ecco, quello è Maria. E che non mi vengano a dire che quella Maria era piena di grazia e che il suo nome era benedetto! È un nome portatore della più grande sfiga del mondo: un figlio che non volevi, da qualcuno che non hai nemmeno visto in faccia. E poi Grazia: Grazia-Graziella-e-Grazie-al-…. Eh. Tutte le medie così mi sono fatta. Beh, io dico no al masochismo. Per questo mi faccio chiamare Selvaggia.
Selvaggia è nome di foresta, di Natura che vince sempre, anche sulla morte.
Selvaggia è nome che può tutto.

***

Vi è mai capitato che, in certe occasioni, quando alcune situazioni difficili sembrano riproporsi nella vostra vita, qualcuno vi rassicurasse con un “tranquilla: il passato è passato e non può ritornare”? Ecco, a me è capitato spesso e, quando me la dicevano, questa frase, la trovavo davvero affascinante: “il passato non può tornare” suona bene, sembra una frase teatrale, la battuta finale di un ultimo atto. Oppure potrebbe essere il titolo di un vecchio film: Torna a casa Lassie; A volte ritornano; Tornando a casa e Il passato non può tornare.
Per me questa frase è molto a effetto. Però non è vera. No. E vi spiego il perché con una metafora. Se io mi scofano a mezzanotte un bel piatto di bagna cauda in compagnia, potete star certi che la prima cosa che penserò bevendo il caffè la mattina seguente sarà: “Mi torna ancora su la bagna cauda di ieri”.

Ergo: il passato ritorna, soprattutto se è pieno d’aglio.

__________
(qui c'è la prima parte)

venerdì 28 ottobre 2011

Fine dell'occupazione

Come s'era detto all'inizio, venerdì scorso, le cinque e qualche minuto di questo pomeriggio decretano la fine dell'occupazione di Barabba. Tutto quello che ci mandate da adesso in poi, ci spiace, ma lo cestiniamo.

Rispondiamo alla vostra prossima domanda: no, non ci facciamo un ebook, stavolta, ma tutti i post della settimana barabbista occupata si possono leggere, a ritroso, cliccando sul nostro tag occupy barabba.

Bene, l'occupazione termina qui, da domani Barabba torna alla normalità con la seconda parte del racconto di Sara Parravicini. Ci scusiamo con gli iscritti, i followers, gli affezionati lettori che possiamo aver perso durante questa settimana di postaggio sfrenato, sgrammaticato e sregolato, ma le occupazioni funzionano così: qualcuno si rompe i coglioni. Noi ci siamo divertiti più o meno come ci divertivamo alle superiori.

Grazie a tutti quelli che hanno partecipato e anche a quelli che non l'hanno fatto. È stato un esperimento... uhm... interessante.

[Occupy Barabba] Bi-Sogni di Luoghi Comuni (estratto)

di Paolo Ticozzi

Siamo consapevoli che le nostre esperienze siano parziali, nonostante ciò da queste nel corso degli anni abbiamo potuto appurare come l'esigenza di Luoghi e occasioni di aggregazione non strutturata e non formale, che allo stesso tempo forniscano anche stimoli di tipo culturale, sociale e civico, sia un'esigenza forte e reale da parte dei cittadini.
Le problematiche dalle quali siamo partiti ovvero l'atomizzazione delle persone, il bisogno di luoghi di ritrovo e di crescita, sono ancora presenti e potenti nel panorama cittadino.
Visto anche il declino alla crisi in quest'ottica di: patronati, centri sociali e centri civici, questi ultimi ridotti sempre più a nulla più che un insieme di uffici.
Abbiamo potuto appurare come negli ultimi tempi Forte Marghera si stia configurando come un luogo che risponde a queste esigenze con la sua pluralità di offerte e proposte culturali, sociali e artistiche.
Stiamo sviluppando quindi un ragionamento, che prende spunto dalle esperienze passate e anche da quanto sta spontaneamente avvenendo presso il forte, ragionamento che delinei un'idea e un modello di spazi pubblici-luoghi comuni. Luoghi di comunità e cittadinanza.
Il ragionamento parte e si inserisce in un contesto di critica dell'attuale sistema di vita occidentale, soprattutto per quanto riguarda la non sostenibilità delle tempistiche delle modalità, in qualche modo quindi nel filone della decrescita.
E' un ragionamento che va ad abbracciare la città e i suoi luoghi; possiamo provare a pensare alla città come a una sorta di iper-casa formata da iper-stanze: in quest'ottica possiamo definire le case dei singoli come una sorta di iper-camere da letto della città, luoghi privati deputati soprattutto ad attività di riposo; analogamente possiamo definire gli uffici, i luoghi di lavoro nella logica delle iper-stanze come degli iper-studi; i ristoranti si possono vedere come iper-cucine, i parchi come iper-giardini.
Me nelle case vi è una stanza che a differenza delle altre non assolve per sua natura a un ruolo specifico ovvero il soggiorno, che diventano luoghi di accoglienza, incontro, ma anche di ozio, lettura e creatività; la nostra idea portando avanti il parallelismo è di pensare a degli spazi pubblici come luoghi comuni come iper-soggiorni.
Degli spazi in cui la cittadinanza possa trovare casa, dove possa esprimersi, formarsi e crescere, dei luoghi in cui si sviluppi un senso di comunità basata sul senso civico e sulla cultura.
Questa è l'idea su cui stiamo iniziando a lavorare.
Crediamo a quest'idea di “iper-soggiorno urbano” e la stiamo sviluppando pensiamo che potrebbe fare il caso anche del nostro Forte Marghera (e non solo...).

nota:
Questo è un estratto dell'intervento chiamato appunto Bi-Sogni di Luoghi Comuni che alle 17.30 di oggi pomeriggio farò (come presidente dell'associazione Luoghi Comuni) assieme a Claudio Bergamo a Forte Marghera nell'ambito della manifestazione Parco del Contemporaneo nell'iniziativa "Public, green, eco-economics. Un altro approccio intorno alla questione del bene comune".
A Forte Marghera, grazie a Luoghi Comuni, Barabba ha fatto già Fischiare il Veneto con Schegge di Liberazione nell'inizativa MestREsiste e sempre grazie all'intervento di Luoghi Comuni era approdato a Venezia al circolo Metri Cubi.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Marcia, compra, Roma

di Federico Pucci Cratete

Quando si pensa al ponte Milvio, ognuno immagina una cosa diversa.

Io ricordo la battaglia fra Costantino e Massenzio: una cosa enorme, duecentomila soldati in campo, metà dei quali, per la prima volta nella storia, uccisero e morirono nel nome della fede cristiana.

I miei studenti, se gli citassi il ponte, forse mi racconterebbero la storia di Babi e Step e l'origine dell'ineffabile arte del lucchetto d'amore.

Chi ieri in quel quartiere è rimasto bloccato nel traffico penserà, invece, a ottomila accampati, in fila per comprare cento iPhone a sconto. Ma i romani sanno anche che poco lontano dal ponte Milvio sorge il Foro Italico "che portava e porta ancora il nome di Mussolini".

Oggi fanno milleseicentonovantanove anni dalla battaglia del ponte Milvio e ottantanove da quel tranquillo week-end di paura che ha dato il nostro paese in mano a un pazzo idiota.

Per questo l'anno prossimo, il ventotto ottobre, propongo di celebrare la festa degli idioti: marciamo sul ponte Milvio e ci lucchettiamo a un LCD. Sentite come suona idiota, ventottottó. Subito dopo gli idioti, i morti - potremmo addirittura allungare il ponte. Che ne dite? Ho già pronto il nome: "in hoc signo perdes".

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Senza titolo

di Innocenzo Galante

Ho sempre pensato che non è tanto triste il fatto che qualcuno se ne vada ma è il modo in cui se ne va che affrange chi resta e non sa spiegarsi il perchè; e poi penso che forse non bisogna mica esser tristi -toh, proprio in questo momento si è spenta la lampadina che c'è qua sopra la mia testa, va che son ben strane coincidenze, e mentre scrivevo coincidenze si è anche riaccesa- non bisogna esser tristi, dicevo, ma non si può mica neanche pretendere che quando uno va via così -adesso la lampadina si è messa a tremolare, oh, quasi quasi ci tiro una scarpa così la finisce ma magari non è il modo, la svito e basta, domani devo ricordarmi di comprare una lampadina nuova- va via così, dicevo -è un attimo perdere il filo, basta una lampadina- non si può mica pretendere che chi resta faccia festa, però mi ha sempre fatto una bella impressione quelle volte che capita che nei film si vedono i funerali e sono a New Orleans e c'è il carro con i cavalll (ma questa roba qua del carro si può anche fare a meno) e la banda e la gente che fa il corteo che si muove quasi come se stesse ballando;
invece non capisco mica quando batton le mani ai funerali.
note a margine di un'altra partenza improvvisa (avevo in mente di scrivere una cosa sui post dalla tazza, non una roba scatologica, ma nel senso che le cose da scrivere si organizzano nella mente mentre si sta seduti sul water, non so voi, ma a me è una roba che mi capita spesso, dovrei imparare a segnarmele, le cose che mi vengono in mente, che spesso finisco per dimenticarmele, ma poi ho pensato che forse era una cagata)

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Senza titolo

di Bananafish at the gates of dawn

Mi manchi, mi manchi sempre, ma credo sia soltanto un problema di mira.
L’altra sera avevo gli occhi tristi e nessuno mi voleva bene. Sì insomma, alla Bukowski. Hai capito. Perciò ho indossato il mio vecchio sarape, quella roba consunta, magari un po’ sdrucita, magari un po’ polverosa, quella roba che insomma indossava anche Eastwood nella Trilogia del dollaro, e cammina cammina mi sono ritrovato in centro.
Cose che capitano, durante le derive psicogeografiche del mercoledì sera, quando indossi pantaloni skinny e hai i capelli tutti boccoli che ti ciondolano sulla fronte spensierati.
Sta di fatto che in Piazza Nettuno, proprio sotto la statua, chi mi chiede una sigaretta se non Luca il Busone?
E una cosa tira l’altra, e offrimi da bere, e che bel poncho che indossi, ma no guarda che in realtà è un sarape, è una cosa diversa, e offrimi da bere, insomma, finisce che faccio serata con Luca il Busone in persona. Continui a mancarmi, ma stavolta la mira non c’entra.
Il Busone ingolla vodka neanche fossimo nella tundra, e io pago. In compenso ascolta i miei discorsi. Avevo lo sguardo triste, nessuno mi voleva bene, e avevo in tasca una storia da alcolizzato, tutta accartocciata, scritta di mio pugno. Una roba terribile.
Luca fa finta di leggere, mentre prova a stare in piedi, puzza d'alcol e bofonchia, e quanto è bella la storia e quanto sei brillante, perché non andiamo da me, ‘ché se mi chiamano “Il Busone” un motivo ci sarà di certo?
E allora lo mando a cagare.
Prima, però, lo invito a rifarsi una vita. Sei patetico, Luca, a cercare di scoparti chiunque. Guardami, diobono, sono un cane pulcioso. Trovati un lavoro.
E lui, Ragazzo, io nella vita facevo le lastre, ero tecnico di laboratorio, oggi c’è la crisi, e sono felice solo quando il bicchiere è pieno e il letto è caldo d’amore.
Mi accarezza la barba, gli sputo in un occhio.
Più tardi vomito tutto.
C’è la crisi, dice. Non ha tutti i torti.
Ma la crisi è cambiamento. Non si scherza col greco.

Amico, dico, lo vuoi il mio sarape? Questo, esatto, no, non è un poncho. Va bene, sì, chiamalo pure poncho, ‘ché la crisi è cambiamento. Tieni, signor barbone, prendilo pure, e stanotte dormi al caldo. Perché magari il bicchiere pieno non ce l’hai, perché non c’hai neanche il bicchiere, e neanche il letto caldo d’amore, come dice Il Busone, però un poncho tutto nuovo non è mica una cosa da nulla.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Ma Superman

di Stefano Amato

Ma Superman, no?
-- seguitemi! --
come fa a essere
così muscoloso
se è cresciuto in un pianeta
dove tutto per lui
pesa come una piuma?
Non dovrebbe invece
essere rachitico,
con la gabbia toracica
di un bambino,
le gambe secche,
le spalle curve?
A chi vogliono
prendere in giro?
Sperano crediamo
alla storia
che di notte
Superman ragazzo
scappava dalla sua stanza
per fare sollevamento pesi
con i treni parcheggiati
in stazione?

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Io qui

di corobi

Solitudini, tempeste di follia
La mia mente che insegue magie inalienabili
cadendo in fiumi di parole inutili.
Chi mi ha fatto credere in quest’ apatia?
Chi scolpisce piaghe dentro me
che non so dare tempo al tempo
e lune a notti insonni e ciniche,
ma solo linee immobili
Su fogli di una finta libertà?

Solo sono qui ad aspettare immagini
Qui, disegni rarefatti ormai.
E dove il cielo è già sereno
non ci sono io.
Da qui rimuoverei tutto il vuoto che
qui spacca le idee coi suoi perché
e fa di me un uomo diverso
chiuso dentro sé
Io qui, rinchiuso in me,
vigliacco e inutile.

Padre mio, vorrei che fossi accanto a me
tu che mi volevi come te
io disegnavo il mio destino
ma i colori giusti più non so
E l’aria dei ricordi è lieve
e muove solo un timido falò.

Solo sono qui ad aspettare,
ricordare qui nei corridoi del cuore
un’emozione più sincera senza ipocrisia
ma qui non è tempo di eroi
e qui raccoglierò
i resti di una luce ormai sbiadita
come sono io, io qui.

Oh sì, ho ancora un sogno
figlio di questi guai
forse non è ancora perso ma
da solo, dimmi, dove andrei?

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] L'inizio della fine

di Ciccio Rigoli cicciorigoli

Nessuno mi toglie dalla testa che il vero momento in cui è cominciata la crisi ed è finita la festa per l'impero occidentale è stato quando hanno smesso di trasmettere il cartone animato "Siamo quelli di Beverly Hills" su Italia 1. Bambini cresciuti nel più sfrenato edonismo hanno capito in quel momento che per loro era finita l'infanzia ed era ora di entrare nell'età adulta. [VIDEO]

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

giovedì 27 ottobre 2011

[Occupy Barabba] Draghetti colorati

di Matteo Castellani Tarabini Paz83

Non sapevo bene cosa, ma qualcosa volevo scriverlo. Ci ho pensato un momento, poi mi è tornata in mente una scena a cui ho assistito nemmeno due settimane fa, davanti alla Feltrinelli di Modena. Ero davanti alla vetrina a curiosare indeciso se entrare o meno quando ho visto una mamma col suo bambino. Tra i volumi esposti, nella fila più in basso, c'era una serie appositamente dedicata ai più piccoli e, ovviamente, il bambino aveva subito notato quelle copertine tutte piene di colori. Ne ha indicato uno, un libricino con sopra disegnati dei draghetti, mentre con l'altra mano tirava la manica della mamma per attirare la sua attenzione. Poi ha domandato: “Mamma, mi comperi quello, quello con i draghetti?”. Non costava nemmeno 10 euro. La madre lo ha guardato con uno sguardo pieno di vergogna ma sincero prima di dire: “non possiamo permettercelo adesso, scusami”. Io sono entrato, più per riflesso che per necessità, e loro hanno tirato diritto nell'umido tardo pomeriggio modenese.
Ecco, per me la crisi è una mamma che non può comperare un libro al figlio.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Maestri di crisi senza dimissioni

di Massimo Chiriatti massimochi e Simone Magnani purtroppo

In tempo di crisi l'imprenditore è affannato. Un fiato corto che non gli permette di guardare lontano; che lo porta a tagliare tutto il possibile. Purtroppo vicino ha la forza lavoro. Se taglia l’unica fonte di creatività vuol dire che ha perso la visione, e ha smesso di fare l'imprenditore.

Lo stesso discorso vale a livello politico. I media italiani facevano risuonare i “Nessuno ci può dare lezioni”. Lo hanno fatto indossando una fierezza improvvisata, lo hanno fatto fino a qualche giorno fa. È vero però che imparare dagli altri non ci fa crescere, ma ci cambia.
Altrimenti si è smesso di fare politica. Nel senso pieno del termine.

È l’ennesima conferma che gli italiani non imparano: si piacciono così come sono, non vogliono mica cambiare. E di certo non è questo il modo per rendere una nazione resistente e reattiva alle crisi.
Le cause della crisi sono rimaste qui tra noi. Intatte. Ancora incellophanate come il sedile di una vecchia Fiat. E non abbiamo il coraggio di andare oltre. Di liberarci dalle vere cause della crisi.
Poiché, come abbiamo imparato dagli adagi delle nostre nonne "tutto si tiene, tutto può tornare buono". Per l’ineluttabile prossima crisi.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Stiamo bene così

di mumucs

“Guarda, davvero, non ti preoccupare stiamo bene così.”

Mentre spostavo le coperte sul letto si lamentava del fatto che a) non avessi nemmeno stavolta preparato la colazione e b) era iniziata la stagione delle piogge.
Per quanto riguardava il punto a) avrei potuto provare con la solita strategia: “scusa, scusa tantissimo” e l'indomani prepararle una colazione di quelle che fai lo sforzo di scendere giù dalle scale, andare incontro al primo bar sulla strada senza nemmeno esserti ancora lavato i denti e la faccia, scegliere il croissant più grosso e dorato (alla marmellata, chiaro) ritornare a casa, mettere la moca, il latte e svegliarla con un bacio, ma solo dopo esserti lavato i denti, “ehi, ti ho preparato la colazione”.
Per il punto b) non avrei potuto fare comunque niente, salvo regalarle l'ennesimo ombrello nuovo, o un paio di stivali, e non capivo dunque quale correlazione ci fosse tra la stagione delle piogge e il suo protestare “guarda, davvero, non ti preoccupare, stiamo bene così”.

Il giorno dopo mi sveglio alle sette e corro giù per le scale, veloce, mi fermo al primo bar che incontro sulla strada, e non è nemmeno vicino casa, le paste ci sono già, prendo per lei il croissant più grosso e dorato (alla marmellata, chiaro) e di nuovo corro, verso casa, risalgo le scale, metto sul fuoco il latte, metto sul fuoco la moca, mi infilo in bagno e sfrego lo spazzolino sui denti. Non so nemmeno perché lo faccio, lo faccio ogni volta che lamenta qualche mancanza, come se bastasse, come se la mancanza fosse solo mia.
Mi avvicino col vassoio in mano “ehi, ti ho preparato la colazione”. Lei mi guarda e mi chiede se piove ancora, se piove anche oggi, le dico “sì, non troppo, ma piove”. Mi fa cenno di spostarmi, scende dal letto e va verso lo specchio e con la faccia ancora gonfia mi dice “guarda che schifo i miei capelli, con tutto questo umido”.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Il bianco

di Mario Liuzzo MarioMiX

E fu così, quando le parole che vuoi scrivere non vogliono essere scritte, che mi ritrovai a guardare il bianco.
La crisi! - pensai.
Poi risi.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Quindi rimarrò altrettanto distante

di Ginevra Lamberti inbassoadestra

L’altro giorno avevo un appuntamento telefonico con Federico. Federico vende i telefoni cellulari a Trento e io dovevo fargli un contratto, e con Federico si è riso abbastanza e mi aveva detto dammi del tu che avremo la stessa età, e poi chiamami domani, e mi raccomando che voglio parlare solo con te. Poi è successo che quel giorno là sono finiti i contatti. Cioè è finita la lista e bisognava ricaricarla e ricominciare daccapo, e nel corso di questo processo l’appuntamento con Federico si è perso tra gli appuntamenti. Non sapevo neanche la sua ragione sociale.
Allora Federico, lo so che volevi parlare con me, anche io volevo parlare con te, ma credimi che è stato meglio così. Che Federico, ora qua te lo posso dire, nel corso della nostra telefonata ti avevo detto un sacco di cazzate non vere e di cui non avevo lumi. Che se facevi il contratto poi mi toccava venire fino a Trento a comperare delle cose di telefonia cellulare per mondare i miei peccati. Ed io al momento, duecentottantanove euro più iva per mondare i miei peccati, non li possiedo.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

mercoledì 26 ottobre 2011

[Occupy Barabba] La grande fuga

di Chiara Pustianaz Cheppalleee

E se ti dicessi che da grande vorrei essere come te?
E se ti dicessi che i tuoi racconti della terra estera sono una boccata d'aria fresca e di speranza in questo paese del cazzo?
E se mi nascondessi nella tua valigia e mi imbarcassi con te?
E se ti dicessi che vorrei tanto specchiarmi un altro po' nei tuoi profondi occhi inespressivi? Solo un pochino, un altro pochino.
E se ti dicessi che “non voglio addormentarmi 'che poi viene il mattino" ?

Ma il mattino arriva lo stesso. Al posto dei tuoi occhi lo specchio. Prima la laurea non posso ancora partire. La speranza deve nascere da dentro. E... sì, nonostante tutto, continuo a voler essere come te da grande.

E poi tu voli via.
E io fingo che “a me tutto questo schifo non interessa. Tanto me ne andrò da questo paese del cazzo ". Invece resto qui ancora un giorno, un altro, un altro ancora. Ma io preparo la grande fuga, che vi credete voi?
E' solo che c'è sempre qualcos'altro da mettere in valigia, qualcosa di importante da imparare prima, qualcosa senza la quale non sarò mai pronta per partire.
E' solo che sono di quei preparativi che non finiranno mai.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Occupy Torino

di Mariachiara Tarantello Chiaralice

Il rumore della felicità è quello dei miei passi dal mio lettino in soggiorno al tuo nella tua stanza, è quello delle lenzuola che alzi per farmi entrare, è quello della tua gamba destra che mi circonda per dirmi che sono tua, è quello dei nostri corpi vicini che trovano l’incastro perfetto.
Il rumore della felicità è quello della tastiera che cerca il volo che mi porterà da te, è quello della stampante che mi consegna i biglietti aerei.
Il conto in banca diventa sempre più magro, è il conto di una volontaria del servizio civile che tra tre mesi forse non saprà neanche come comprarsi da mangiare ma un modo lo troverà in quella città del Piemonte, così vicina ai miei sogni di studentessa, così vicina ai miei sogni di donna, così vicina a te.
Le mie preoccupazioni maggiori riguardano gli affitti. Il mercato immobiliare è sempre più impietoso e certo non sono solo gli studenti a farne le spese. Per non parlare della disoccupazione.
Una laureata in Lettere moderne che ha lavorato solo in libreria riuscirà a trovare un impiego anche fosse nell’ultimo bar di Torino?
Cerco e intanto sogno e rincorro il sogno.
Sogno di diventare docente universitaria o di entrare in una grossa casa editrice ma anche di fare la commessa in una libreria, non solo come lavoro estivo però.
Sogno una casetta di 60 mq con tende colorate, scaffali di legno, cucina in muratura, futon come letto, tappeti rossi su pavimenti color sabbia chiaro. Il mio cane steso al sole, quando c’è sole, sull’unico balcone che abbiamo aspetta che io torni da lavoro.
E la sera andare a dormire con un libro, pensare che forse sarebbe meglio comprare dei tappi per le orecchie appena la mia montagna, il mio cuore da novanta chili con gli occhi azzurri, inizia a russare. “In fondo è un rumore ormai familiare, mi fa da ninna nanna. Ma domani i tappi li compro, per ogni evenienza”.
Lo so, sembro un’inguaribile ottimista.
In realtà tutto questo mio racconto è basato su due certezze fondamentali.
La prima (scusate la retorica) è che la fabbrica dei sogni è l’unica che nessuno potrà mai chiudere.
La seconda è che anche solo a sognare e progettare tutto ciò io non sono mai stata così felice.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] La generazion​e degli anti-eroi

di Valerio Massacci

Siamo la generazione finale di questa storia.

Siamo senza presente, spesso senza lavoro, senza contratti, senza diritti, senza garanzie, siamo quelli che non avranno una casa di proprietà, che non avranno dei figli e una famiglia, speriamo di poter abbandonare la barca un minuto prima che affondi: gli aspiranti migranti senza risparmi, i camerieri laureati di questa società. Siamo quelli che non decidono e mai decideranno, eterni stagisti che vivono immersi fino al collo nel fango della crisi, quelli che producono “a gratis” e dovrebbero “pagare per l’opportunità che ci è stata data”. La generazione che ha imparato a riconoscere ogni singolo muscolo che si attiva durante le alzate di spalle e dei conseguenti ipocriti “ci dispiace”.

Quotidianamente avvelenati dai pesticidi e dall’inquinamento delle fabbriche dei nostri padri e dei nostri nonni, viviamo nelle case da loro costruite che crollano sotto il nostro culo mentre dormiamo. Un mucchio di senza Dio che non crede nella politica e che non ha una politica in cui si riconosce, i non rivoluzionari, eternamente costretti alla fuga per sopravvivere. Quelli delle prestazioni occasionali, delle rate e dei finanziamenti da strozzinaggio.

Nati per pagare il conto dopo la frutta, quando tutti sono già andati via con la pancia piena. Siamo gli anti eroi che hanno messo una bella pietra sopra i sogni e riescono, nonostante ciò, a trovare ancora motivi per continuera a vivere in questo paese.

Siamo qui per chiudere il cerchio.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Pane, salame e rivoluzion​e

di nandina

I bicchieri si riempiono, poi si svuotano e poi si riempiono.
Le nostre voci si alternano, poi si intrecciano, poi si sovrappongono.

Tu mi dici che questa è una guerra (no, non la nostra, quella là fuori).
E io lo capisco solo un po', ci credo solo un po' che sia una guerra vera.

Ti guardo, appoggiato con un gomito sulla tovaglia a quadretti.
Guardo istintivamente fuori.
Ascolto il silenzio della strada.
E' una guerra silenziosa, penso.

Parli di violenza, di esasperazione, di lotta.
E i bicchieri si svuotano di nuovo.
E mangiamo pane e salame.
E parliamo di cambiare il mondo.
Come se avessimo la metà degli anni che abbiamo.

Mangiamo pane e salame e discutiamo.
A volte io urlo perfino un po'.
Tu no.
Perché non mi convinci davvero fino in fondo che questa guerra, se è vera, sia come tutte le altre.
Non ci credo io che c'è da combatterla come se fosse una guerra di quelle di una volta.
Discutiamo, ma non litighiamo eppure non cambiamo idea.

Andandotene mi abbracci e mi sorridi.
La bottiglia è vuota,
Ci sono le briciole sulla tovaglia a quadretti.

Resto sola nel silenzio.

E penso che è così che si fa la rivoluzione.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Il cuore è uno zingaro

di Giampaolo oasi

Stamattina ho visto per la prima volta il figlio di mio cugino, un bellissimo pupo biondo di pochi mesi che la nonna orgogliosissima portava in giro per il mercato del paese. Complimenti, lazzi, tentativi di attirare la sua attenzione e di ricevere un sorrisone, le solite cose, insomma, siamo fatti così.
I neuroni sono ancora impostati sulla catena della pucciosità cento metri più in là, alla vista di un altro bimbetto gattoni. Ma solo per una frazione di secondo. Il bimbo avanza a quattro zampe. Sull'asfalto. Sul bordo del parcheggio, dove le auto entrano ed escono. Si infila alla base dei cassonetti. Al cassonetto bianco degli indumenti sta come appeso un gonnellone da cui pendono un paio di piedi. In un'altra frazione di secondo i miei neuroni attivi vanno a svegliarne altri che conservano un vago ricordo di news lette, di un bambino rimasto incastrato, ricoverato gravissimo, poi morto. In effetti il meccanismo del cassonetto bianco ricorda una tagliola. Panico. Non urlo per non spaventare, ma mi faccio sentire. Dal cassonetto si lascia scivolare giù una ragazzina rom con un borsone a tracolla, mi guarda con un sorrisone e dice: "Vestìti".
Riesco solo a dire: "Puoi rimanere incastrata". Ride: "No, no ...", recupera il pupo tra i cassonetti e si allontana in direzione del mercato, proprio verso il banchetto dove campeggia la scritta "Solo merce italiana" a lettere tricolori. 24 ottobre 2011

"... la gente ragiona proprio come Himmler. Basta sentirli se, alla stazione della metropolitana, una zingara si avvicina a chiedere l'elemosina. «Bisognerebbe ammazzarli tutti, questi fannulloni. Sporchi, luridi, analfabeti».
Infatti gli zingari sono analfabeti, però sanno leggere la mano, e se vuoi te la leggono. Le loro donne sono sempre incinte, e hanno al collo un bambino piccolo. Vanno vestiti splendidamente, con una scelta di colori eccellente, istintiva, segno di una civiltà antica e nobile ... La gente «per bene» li odia ...
"
Luciano Bianciardi, Il cuore è uno zingaro, 5 aprile 1971

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

martedì 25 ottobre 2011

[Occupy Barabba] La crisi del 29

di Stefano Pederzini Prudencio Indurain

io me la ricordo la crisi del 29, me la ricordo eccome. tutte le mattine a frotte sul bordo della strada a prendersi a calci e pugni ad ogni carrozza che arrivava, e quando questa chiudeva le porte e ripartiva tutti a guardare con invidia quelli che avevano trovato un posto per andare al lavoro. ce ne volle perchè la municipalizzata arrivasse a capire che bisognava assolutamente aumentare le corse su quella tratta, perchè erano in tanti al mattino a prendere il 29. allora, finalmente, la crisi del 29 finì.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Quel che so bene

di Laura availableinblue

Sento di aver avuto un tempo di innamorata ed oggetto d’amore,
sento di aver avuto un corpo, d’averlo fatto amare, d’averlo amato.
Adesso con qualche disillusione in petto, qualche stanchezza,
guardo le mie mani increspate, guardo l’abbraccio dei segni di pelle attorno agli occhi, i fianchi ampi
che hanno accolto e avrebbero voluto portare il segreto semplice del mondo.
Guardo oltre la collina, oltre la curva della strada,
che inizia qui, da questa porta, ma finisce chissà dove.
La percorro a mente con l’indice e il medio.
Cammino ancora, cammino lentamente.
E so bene che se avessi detto piano, al tuo orecchio “io t’aspetto”,
avrei, con un respiro, parlato al mondo intero.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Senza titolo

di Lapis and Notes

Volevo in un qualche modo contribuire con alcune cosette che ho scritto nel mio blog, classificabili in:

A. Crisi MATERIALE (Chiave Oggettivo-Pratica)
Che c'è da fare economia su tutto, sul cibo e sulle ferie in primis.
B. Crisi UN PO' MENO MATERIALE (Chiave Soggettivo-Spirituale-Intangibile)
Che arriva un momento in cui si prova a diventare grandi. E succede che si cade. Si soffre. Si sorride. Si impara a non cadere più.
[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Occupy Sunday

di Silvia Salvagno nastja

Mi sveglio alle dieciemmezza.
Caffè, sigaretta, e una valanga di parole con la Emma de mi corazòn, stravaccate io sulla poltrona, lei sul divano, senza nemmeno lavarci la faccia. Amici, affetti, amori, sensazioni che lievitano e si intrecciano al fumo delle nostre sigarette.
La colazione dei Campioni.
Mangiamo qualcosa, sono le due passate. Il tempo vola.
Lasciamolo volare.
Finisco il libro di Ellroy, un noir complicato ed inquietante. Atmosfere oscure e menti psicopatiche, violenza psicologica, Los Angeles che non ha niente di angelico. Lentamente il libro mi scivola dalle mani e io scivolo sotto le lenzuola. Dormirò un po'.
Un altro libro, brevi racconti di madri e figlie. Crudele e pieno di odio straziato dall'amore. Son poche pagine, finisco anche questo. Nell'altra stanza, madame Bovary dorme e sogna. Lei sogna sempre.
Fuori inizia la sera, riempio due bicchieri di vino, uno per me e uno per lei. Stasera si mangia risotto coi funghi e salsiccia e naturalmente non cucino io.
Ancora chiacchiere davanti al bicchiere e al piatto vuoti. Madonna quante cose abbiamo sempre da dirci.
Caffè. Sigaretta.
Si son fatte le undici in un niente.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Suora!

di Benedetta Torchia Sonqua

E niente. Lunedì vado su internet e leggo una cronaca corretta di eventi. Rileggo e penso porcazzozza. Davvero porcazzozza, ero lì. Ero tra quel gruppetto. Avevo pure il passeggino (è rosso, eh) e la bimbetta di diciotto mesi. Non è mica un caso. C’ero proprio. Solo che non m’è venuta la voce rotta. Nemmeno m’è venuto in mente di telefonare a nessuno. Che poi non ho avuto il tempo; sono dovuta andare a recuperare l’altro figlio che l’avevano deviato e fermato al circo massimo e ci ho impiegato due ore. Almeno stava con le attrici belle del teatro valle occupato, diceva lui al telefono.

Quello che mi ricordo è uno che urlava.

Suora!

Niente. Forse è una suora sorda. Bello il giardino. Così vicina non c’ero mai stata. Con la mano aperta, in aria, a mostrare il palmo vuoto e la schiena appoggiata tra le sbarre del cancello.

Ma la suora è di spalle. Non guarda. Grida di nuovo: Suora! Niente. La suora riempie un secchio di acqua per annaffiare le rose più in là. Oltrepassa l’arco, dondola sull’acciottolato e se ne va. Un uomo in giacca e cravatta da lontano sembra avvicinarsi. Alzo di nuovo il palmo della mano. Mi sembra un gesto semplice. Non si avvicina. Ha paura di dover dire no. Allora continuo a tenere il palmo in aria. Più per farlo sentire in colpa che per nutrire speranze.

Di fianco, di nuovo: Suora!

Insieme a me un bimbetto della stessa età di mia figlia. Col ciuccio. Il padre lo tiene in braccio. La mamma ha il passeggino e lunghi capelli neri e cerca un varco. Due vecchie. Una ragazzina con la a di anarchia dipinta sulla maglia. Tre danzatori della mala murga. Un gruppo di giovani donne. Alcuni uomini. Un ragazzo un po’ brillo che è arrivato correndo e un po’ seccato per essersi dovuto alzare di corsa dal tavolino del bar di fronte.

Iniziano a evocare i fantasmi della partita di calcio in cui tifosi morirono schiacciati sui cancelli. Ma non è quella la situazione. Però il numero di considerazioni di buon senso prodotte è direttamente proporzionale al moltiplicarsi del livello di ansia. Lo so come vanno queste cose. Mia madre era bravissima in questo sport. Ogni minuto secondo che qualcuno tardava, il guaio o la disgrazia accaduta cresceva in modo esponenziale fino a raggiungere la portata di un buco nero che avrebbe inghiottito la terra. E, dunque, alla fine degli sproloqui, il verdetto era che noi saremmo stati sicuramente destinati a morire infilzati dal cancello oltre il quale la suora annaffiava le rose.

Invece, era solo un momento che non si poteva andar via. Si poteva solo aspettare.

Poi pfffff. Il suono inconfondibile del lacrimogeno, prima dell’odore. Stac. Stac. Stac, il suono inconfondibile di roba che cade sui caschi. Booom, il suono delle bombe carta, dei petardi. Poi di nuovo pffff.

Incappucciamo i bambini. Ma sto bene attenta a non coprire il mio volto. Non voglio che si sbaglino. Dalle sbarre del cancello arriva l’aria fresca e pulita del giardino disabitato. Per sbaglio siamo al riparo dai fumi dei lacrimogeni. Ce li vediamo sfilare davanti. Anche gli idranti. Ci sfiorano, quasi, ma siamo fuori tiro, in tutt’altra direzione, ancora e per adesso. Fa paura il rumore e la corsa. Il suono della violenza non mediata dalla televisione o dalla narrativa cinematografica fa davvero paura.

Non è una colpa avere paura. Non è mica detto che uno debba necessariamente abituarsi a scendere in piazza sapendo di dover gestire questa paura. E invece è quello che sta succedendo: vado in piazza ripassando a memoria le istruzioni per non finire nei pasticci, col numero di telefono del legal team scritto a penna sul braccio perché non si sa mai.

Ma avere paura non è una colpa. E’ per questo che hanno iniziato a strillare perché la suora aprisse. Hanno iniziato a chiedere notizie del dio che era contenuto nei giardini della basilica, hanno iniziato a domandarsi quale dio pregasse la suora. Hanno iniziato a insultare i modi farisei di quelli oltre il cancello.

Li guardavo un po’ di sbieco perché non mi sembrava il modo migliore per convincere qualcuno a concedere un varco, una via di fuga. Bisognava aver pazienza. Solo quello. Per la piazza o per il cancello, una via valeva l’altra e in entrambe i casi c’era da aspettare. I bimbi erano buoni e zitti. Lo sanno loro, per istinto, quando si deve star buoni e aspettare. Da adulti, invece, si perde l’istinto e ci si deve allenare per tornare a far le cose giuste.

Ma l’invocazione proseguiva.

Almeno per donne e bambini.

Assumeva via via la ritmica della litania.

Almeno le persone più sofferenti. Almeno le vecchie. Almeno noi che siamo innocenti.

Niente. La domanda ricorrente cercava il dio che impedisce di prendersi la responsabilità di concedere un riparo in giardino.

L’unica salvezza sembrava andare oltre il cancello.

Che è alto. Molto alto. Ed era circa un’ora che molti guardavano le lance appuntite con cupidigia: qualcuno avrebbe voluto scavalcare e poi far passare i bambini.

Io non scavalco. Sono contraria. Non voglio fare irruzione da nessuna parte. Non voglio calarmi su territorio straniero e mi trovo a dover giustificare la persistente - e per i più incomprensibile- chiusura del cancello: è territorio vaticano. Un custode non aprirebbe mai proprio sulla piazza degli scontri. Hanno aperto giù, la chiesa, più avanti. Non sanno chi siamo e non lo sappiamo neanche noi.

Eppure basta pazientare ancora un momento e provare a guadagnare la strada non appena si alza un po’ il fumo. I lacrimogeni sono scaduti, forse, non danno troppo fastidio, solo fumo e puzza. Le cariche sono ancora lontane, in fondo. Basta smettere di sperare nel cancello, dargli le spalle e guardarsi d’intorno.

La paura ormai ha spento tutti i collegamenti neurologici. Ma non è questo a disturbarmi. La paura è comprensibile.

Siamo incastrati. Lo sappiamo io e la mia bimba ma ce ne facciamo una ragione. Alla prima avvisaglia siamo pronte a spostarci a destra, verso il muretto o a sinistra, sotto le colonne,ma con calma senza correre e senza dare le spalle al fronte delle linee dove la guerriglia sta agendo da sola.

A stonarmi è questa atavica e storica e inconscia speranza che la salvezza debba venire dalla suora, dal prete, dagli uomini di chiesa. E’ questa recondita credenza del dio buono capace di sciogliere il cuore di chi è pagato per custodire i giardini e annaffiare le rose. E’ questa primitiva convinzione che essendo innocenti e nel giusto gli altri agiscano naturalmente di conseguenza. Ma non è questa la nostra storia recente.

E’ questa inconsapevole involuzione della ragione nella credenza che mi urtica. E’ la stessa innocenza che ci spinge ad accettare le scelte che capi comunità, capi partito, capi religiosi e cape di cazzo compiono per noi abbindolandoci con il dono di un mondo migliore costruito a loro immagine e somiglianza. E’ questo che mi fa sentire quanti frammenti di idee esplodano ora in piazza, a quanto lavoro ci sia ancora da fare per trovare una strada che possa essere accettabile per tutti. E’ questa la misura con cui penso a quante parti di noi dovranno soffrire accettando il debito, le tasse, la rivoluzione, il ritorno alla lira o la sudditanza ai mercati globali, le proposte assurde e i giullari di turno. Perché in fondo quello che ancora si deve fare è riuscire ad affrancarsi dalla mitologia che ci è rimasta addosso e che ci fa sentire la nostalgia delle favole e di universi arcaici.

Aspettare la salvezza dalla suora non è la salvezza per me. Scavalcare il cancello in mocassini non è una buona idea. E’ solo un modo per scoprire che l’idea di giustizia e salvezza con cui si scende in piazza non esiste. Per te e i tuoi mocassini, per le tue a di anarchia, per la sensazione esotica di manifestare insieme al resto del popolo, per la voglia di raccontarlo agli amici; per te, così si compie la tua salvezza. Ti è servito forzare un cancello.

“Il riparo dalla violenza è stata una conquista non una concessione”: è questo il miracolo che si è compiuto per coloro che si aspettavano di essere salvati e invece si sono dovuti salvare da soli.

Io e il mio cinismo dobbiamo, purtroppo, cercare un’altra occasione.

Mi sposto di un metro. Aspetto. Se il fronte si gira verso di me mi metto seduta e aspetto, coi palmi vuoti rivolti verso l’alto. Così come ho fatto altre volte. E’ più di due ore che furoreggia battaglia. Se avessero voluto reprimerla senza badare a chi ci fosse in mezzo, sarebbe già finita.

Due minuti dopo mi vengono a prendere. Si è aperto un varco dietro i cordoni della polizia e un amico mi conduce via lungo il colonnato della basilica. Mi trascino le due vecchie - che quelle scavalcare proprio non è il caso- ed esco dalla piazza. Sembra impossibile che prima ci fosse una festa.

E un miliardo di domande mi frulla in testa. Come ogni volta che non ci si sottrae all’impatto degli eventi e che non si scappa perché si rimane presenti a se stessi. E mi interrogo ancora su quale sia il soggetto contro cui indignarsi se ancora m’aspetto di essere salvato da dio e non sento di avere il diritto ad uscire incolume dalla contestazione.

Ecco a me è dispiaciuto che si siano fatti male scavalcando e che solo dopo siano stati soccorsi e rifocillati dalla suora. Ma credo davvero che si sia compiuto un miracolo per quelli che si aspettavano d’essere salvati e che invece hanno scavalcato. Davvero senza ironia.

E la suora, se avesse ascoltato, se si fosse girata al primo richiamo, se si fosse avvicinata a parlare sarebbe stata solo una donna che rispondeva alla propria coscienza. Invece, ha portato l’acqua dopo che s’erano fatti male per approfittarne e rafforzare la finzione del simbolo che ha scelto di rappresentare.

Suora: non te l’ho voluta dare questa soddisfazione. Me ne sono andata quando ho potuto. Suora, le rose sono bellissime. Si vede che la sai portar bene l’acqua. Poi in fondo, se mi fossi arrampicata, avevo anche il terrore che quell’acqua me l’avresti lanciata addosso a secchiate.

Comunque, alla fine, neanche il diluvio del giovedì è servito a convertirmi.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

lunedì 24 ottobre 2011

[Occupy Barabba] Gli sciampi

di maestrarosy

Chiara il suo mestiere lo fa da quando era adolescente, prima da lavorante e poi per conto suo. Se non si bada ai muri scrostati di umidità negli angoli (perché l'affitto lì costa poco) e all'ambiente familiare e pettegolo, con pochi euro ti regala la felicità di una piega o di un colore e ti rilascia sempre la fattura. Quando le prende lo sconforto dice che il suo non è un negozio di parrucchiera ma un buco per topi.
Un giorno ha conosciuto Alessandro, sul web come succede oggi, hanno scoperto di vivere a due passi, si sono visti, si sono piaciuti, dopo un anno e mezzo è nata Sara e lui ha perso il lavoro.
Lavorava con il padre in una ditta di trasporti, la crisi, qualche investimento azzardato, la terribile malattia che lo sta consumando e così la famiglia di lui ha venduto tutto, anche il lavoro di Alessandro per pagare i debiti e continuare a mangiare.
Così una mattina ha cominciato a fare gli sciampi insieme a Chiara. Con le sue mani grandi cerca di imitare i gesti esperti di lei, sorride e fa battute mentre asciuga una parte dell'acqua dalla testa delle clienti, è un ragazzo allegro e la piccola Sara è il suo ritratto.
Chiara lavora incessantemente, con lui che fa gli sciampi il lavoro diventa continuo, soprattutto nei fine settimana, perché ci sono anche i giorni in cui si rigirano i pollici entrambi. E' stanca di averlo lì, lo dice ogni volta: "ci vediamo ventiquattro ore al giorno, non lo sopporto più, ognuno dovrebbe avere il suo lavoro e questo è il mio e lo vorrei fare da sola."
Allora lui ci riprova, si è ricomprato un camioncino usato. Ci riprova a fare ciò che faceva il padre. E dice alle clienti che se devono fare un trasloco, lui si occupa di tutto smontaggio e rimontaggio. Qualcuna risponde che il lavoro non gli mancherà che ormai da queste parti se ne stanno andando tutti, non solo i più giovani. E a volte se ne vanno via senza portarsi dietro nulla, solo le valigie, la macchina e la speranza.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Il battesimo

di laperfidanera

Sabato scorso siamo andati al mare, al solito posto, per fare il bagno in quella che chiamiamo "la piscina del cane" (la prima volta che l'abbiamo vista c'era un bel cane, in bilico sullo scoglio appena sotto il pelo dell'acqua, che si divertiva a guardare le frotte di pesciolini).
Abbiam dovuto andarcene senza neppure avvicinarci. In quelle pozze d'acqua di mare calme e pulite si stava svolgendo un battesimo : l'officiante, la madrina e la ragazzina battezzanda, tutti vestiti di cotone bianco, a mollo fino alle ginocchia, e tutto intorno ma fuori dall'acqua una ventina di persone anch'esse tutte vestite.
Pare che ora le sette religiose siano ben organizzate: il loro pullmino parcheggiato là fuori inalberava la dicitura "cristovuelve.org"...
Insomma, Medioevo e Era informatica tutto insieme!

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Piene di vita

di Giusy Lupis

il tempo delle foto in bianco e nero
era
un tempo migliore,
sospeso,
un tempo in cui tutto sembrava più vivo, nuovo, d'avanguardia, possibile!
io non c'ero in quelle foto -belle come disegni.
piano piano le possibilità sono svanite:
mano a mano che le foto si facevano più nitide, precise, effettate, digitali...
e,
adesso,
penso che mi piacerebbe vivere in una di quelle foto in bianco e nero

in un tempo sospeso
denso
vero
e concreto.
in diafane trasparenze su toni di grigio e lame bianche
di vetri lucidi.
sorrisi enigmatici.
velluti, velluti a costine, feltri, lane cotte, carte da parati, linoleum, formica, grandi lampadari di vetro e metallo.

e gli occhi limpidi di mio padre, con un'aria da monello, un po' sbruffone...
e uno studente brillante, nello stesso tempo.
e mia madre, una vecchia bambina.
'na vicchiaredda...

tutto è finito con i primi colori,
ma quelle foto
sono ancora...

piene di vita.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Stencil

di Pino Zennaro thuna


Non c’è occupy senza stencil.
A questo indirizzo si puo scaricare lo stencil da ritagliare.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] America

di Claudiappì

Primo stava guardandosi l’alluce destro da almeno un’ora, seduto sul letto ancora disfatto. Come ogni mattina, si svegliava prima del gallo, ormai era diventata una sfida, ma mica con se stesso, proprio col gallo! Dopo il solito tête-à-tête con una bacinella d’acqua ghiacciata, si era infilato le calze buone, quelle della festa, perché quello era un giorno speciale, da lì a poche ore gli sarebbe nato un figlio, maschio stavolta, ne era sicuro. Primo restò a guardarsi l’alluce destro, che gli spuntava fuori dal calzino bucato, pensando che quello fosse un segno e non proprio di buon auspicio. E infatti non fece in tempo a infilarsi tutte e due le scarpe, che un nugolo di donne urlanti, tra le quali sua moglie, lo spinse fuori dalla stanza in fretta e furia. Era arrivato il momento. Poco dopo stava abbracciando la sua quinta figlia femmina, e l’alluce lì sotto lo guardava soddisfatto. Un calzino bucato e un neonato urlante possono, in alcuni casi, farti prendere delle decisioni che non avresti mai preso altrimenti. Poche settimane dopo, l’intera famiglia trascinava pesanti bagagli sul ponte di una nave, insieme ad altre migliaia di persone coi calzini bucati.
L’unica cosa simile ad una nave che Caterina aveva visto, era stata la barchetta di carta che il suo vicino di casa le aveva regalato per il suo quinto compleanno e che aveva pensato bene di portare con sé durante il viaggio, sicuramente schiacciata e strapazzata sotto chili di vettovaglie e pane duro, ma c’era. La nave aveva tre piani, che non ce li aveva neanche il municipio del paese. Loro stavano sotto perché quella era la parte migliore. Lucia le aveva detto che quando stavano in mezzo al mare, dei pesci grossi come le case nuotavano insieme alla nave e, di notte, quando era tutto silenzioso, i pesci facevano dei suoni ed entravano nei sogni dei bambini. Caterina si sentiva così eccitata all’idea, che raccontava questa storia a tutti i bambini che incontrava, e ce n’erano tantissimi e di tutte le dimensioni.
Lucia di quegli spazi ristretti, del tanfo di pecorino stagionato e mutande puzzolenti ne aveva fin sopra i capelli. Il giorno in cui, dalla prua della nave, degli uomini avvistarono un pezzo di terra lontano, le tornò il buonumore e gli occhi le si fecero più grandi.
Tutti avevano bisogno di occhi grandi in America, per guardare palazzi grandi e cartelli grandi, dai nomi più strani e i significati sconosciuti. Il primo cartello che lesse diceva “E-l-l-i-s I-s-l-a-n-d”. Primo prese in braccio l’ultima nata di casa e le disse “Siamo Arrivati”. E allora Lucia capì che Ellis Island significava America.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

domenica 23 ottobre 2011

[Occupy Barabba] Occupy A4

di P.A.D.P

Ci vuole un buon fegato.
Per sopportare. Per sopportare la pazienza e la noia che richiede mettere un passo davanti all'altro, sul filo, piano piano. Mentre il mondo ti corre veloce davanti e di dietro. Tutto il mondo corre. E tu su quel cazzo di filo, che per poco non ti spezzi il collo.
Una parola dopo l'altra. Un passo dopo l'altro. E intanto la televisione vomita 120.000 parole al secondo.
E tu solo su un piede. Una parola dopo l'altra. E lo devi mettere bene. Quel piede come una virgola. Necessaria ed elegante. Per fare...
Un bel romanzo. Un bel fumetto. Uno spettacolo teatrale.
Ma sì sì ci si riesce. Alla fine si fa il percorso e si arriva alla meta.
E tutti ti fanno un applauso.
Ti diranno che sei un bravo funambolo. IL più bravo della regione.
Poi torneranno a casa e accenderanno la televisione.
Non si ricorderanno neanche che cazzo di faccia avevi.

Ma allora perchè?
Perchè sei una testa di cazzo. E non sai fare altro.
E in quel momento, sai chi se ne frega della gente. Ci potresti pure sputare sopra.
Chi se ne frega della gente, quando sei sul filo, a 1oo metri di altezza dal mondo.
Nessuno ti può togliere il tuo bisogno di scrivere e di fare quello che fai.
Non importa se fai lo sceneggiatore e mezzo mondo guarda i tuoi film, Se scrivi romanzi e non li legge nessuno. Se non pubblicherai mai...
Quello che conta e chi sei tu. Quello che vuoi fare TU.
Sei hai bisogno di scrivere sei uno scrittore. Sei Uno scrittore anche se fai lo scaffalista alla Coop.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Le stelle, le mie compagne

di Mitia Chiarin fatacarabina

Le stelle da qui, dalla torre del petrolchimico, sono vicine,
Sembrano aver voglia di parlare, loro, mentre io e i miei compagni
quassù sentiamo solo il freddo che ci entra dentro e
ci toglie anche la voglia di respirare.
Io ho una moglie, due figli, un mutuo da pagare ancora per dieci anni.
Qui attorno tutte le fabbriche stanno chiudendo, anche la nostra è morta
solo che a noi tocca presidiarla, metti che un matto entri e si metta a giocare
al piccolo chimico con tutte le schifezze che ci sono qui dentro.
Farebbe saltare in aria mezzo Veneto.
Sorvegliamo e protestiamo. Stiamo in mezzo a tubi che trasportano roba che per decenni
se ci lavoravi in mezzo,
te ne uscivi con un sacco di scorie sulla tuta e un bel carico di tumori.
Conosco uno, un vecchio operaio in pensione, che ogni anno ha un tumore nuovo,in qualche parte del corpo.
Oramai ci è abituato, ci ride su.
A noi che siamo arrivati dopo, ci è toccato il sogno di considerarci lavoratori specializzati, un passo
oltre quei vecchi colleghi, e la speranza fallita di fare chimica pulita.
Ma adesso che chiudono tutto, dei padroni che non sono qui, che sono lontani
noi parliamo, manifestiamo, urliamo, protestiamo, saliamo
sulle torri della torcia che è spenta e speriamo che qualcuno ci ascolti.
Le stelle mi guardano, Venezia è lì a un tocco di mano con le sue luci.
Le stelle capiscono.
Loro lo sanno che senza lavoro, oggi, a trenta come a cinquant'anni, non sei niente.
Perché la vita è soprattutto denaro e senza quello una famiglia non te la tieni.
E pensare che io, da ragazzo, volevo girare il mondo a cantare ed esser felice così.
Le stelle mi guardano, le sento compagne.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] La mancanza

di Pierpaolo Alessio Zales

Il pranzo del sabato, pasta con il pomodoro e la foglia di basilico in cima, telegiornale, bicchiere di vino rosso e rosetta senza il boccone al centro sul tavolo con la tovaglia stropicciata dalla settimana. Niente secondo, dobbiamo stare leggeri per andare a fare la spesa prima che si riempia il supermercato. Un caffè slavato ed una sigaretta leggera rubata dalla borsetta di pelle nera lasciata sul bracciolo del divano.
Non è il pranzo della domenica della nonna, ma qualcosa di più confortante. È la sensazione della normalità che conquista la famiglia, una normalità meravigliosamente italiana.
Quando sentirò quel sospiro di sollievo dopo la sigaretta, non avrò il coraggio di dirti che è tutto finto, ed il mio sospiro sarà amaro. E ti chiederò che amaro hai in casa, con un sorriso.
Ma dentro di me piangerò ed urlerò forte.
Non mi potrò mai permettere quel sospiro di sollievo.
Mai.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Occupy Olimpo

di Aldo Polli finoaquituttobene

I pesci
che vennero a galla per vedere la palla di pelle di pollo fatta da
Apelle figlio di Apollo
poi
fecero una brutta fine
ma
il pollo
quello della pelle che divenne palla per mano di Apelle
fu il primo a rimetterci le penne
mentre
Apelle
figlio di Apollo
la passò liscia
per le sue conoscenze
altolocate

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

sabato 22 ottobre 2011

[Occupy Barabba] Il criceto

di Cristiano Micucci Mix

(Per colpa della crisi ieri alla fiera invece di comprare due tartarughine ne ho presa solo una. Come cena è stata piuttosto misera)

C'è questo mio amico, lui ha un criceto. All'inizio l'aveva messo in una bella gabbia col fondo di plastica verde e le sbarre bianche. C'erano una ruota, quella classica che uno pensa sempre di attaccarci una dinamo e mandarci delle robe elettriche, e un po' di altri giochini per far svagare l'animale lì, il criceto. (A me alcuni di quei giochini hanno fatto pensare agli attrezzi delle palestre, perché le palestre, alla fine di tutto, sono nient'altro che gabbie, solo che paghiamo l'ingresso, per non pensarci). Era una gabbia di tutto rispetto, molti altri criceti domestici l'avrebbero invidiata. A terra, appoggiata al muro, assolveva con dignità alla sua missione di casa forzata per il roditore.
Poi un giorno vado a casa di questo amico e, appoggiato al muro, al posto della gabbia dignitosa, trovo il brutto trip da LSD di un designer di gabbie per criceti che ha assunto forma materiale. Quattro piani, scale, pertiche, botole, una intricatissima rete di tunnel multicolori, sezioni di gallerie esterne alle sbarre, per depositare cibo e - in caso di criceti parecchio intelligenti - articoli di quotidiani. In cima, frutto del momento più alto del trip, un tunnel sospeso nel vuoto, con nel mezzo una sfera rotante, evoluzione nella terza e quarta dimensione della cara vecchia ruota per criceti.
Lo so, che dovrebbe essere il criceto più contento del mondo. Cibo e casa garantiti. Una gabbia di dimensioni tali che la vita media di un criceto non basta per attraversarla tutta, garantendo l'illusione della libertà. (Noi pure siamo in una gabbia di quel tipo, cosa credete?). E lo so, che il criceto sta bene, mangia, dorme, corre nella sfera (diomio) e conduce un'esistenza spensierata. Se non fosse per quei giganti che ogni tanto s'avvicinano e lo fissano sarebbe sul serio l'essere più felice del creato. Lo so, lo so, che va bene così.
Infatti non dovrei dirlo che il mio sogno più grande è arrivare un giorno a casa di questo mio amico e trovarlo chinato sulla gabbia, con lo sguardo di quelli che hanno parcheggiato al volo per prendere il giornale, escono dopo 20 secondi dall'edicola e si trovano la macchina bloccata dalla ditta di traslochi col montacarichi che fa già su e giù. Allora pure io mi chino sulla gabbia, e vedo un buco nel fondo di plastica, e il buco continua nel pavimento, un buco piccolo, che ci passa giusto giusto un criceto. E il buco continua ancora, e diventa una galleria, grigia, polverosa, che però non fa il giro, non circùita, e chissà dove sbuca. Sono lì, in ginocchio, che guardo ammirato quella via di fuga e immagino il criceto su una spiaggia esotica (facciamo Zihuatanejo, anche se ormai dev'essere affollatissima) a bere margarita e fumare sigari.
Dopo un mese al mio amico arriva una cartolina. Non c'è scritto niente. Arriva da Zihuatanejo. "Te l'avevo detto di non dargli la pagina del cinema".

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Jolly Gianni

di Carlos Bignè

Il signor Pieraccione da Rodi, dopo aver conseguito la tanto agognata laurea in Filologia e Letteratura Romanza in una famosa università della capitale, ha deciso di intraprendere la carriera più remunerativa e gloriosa per il suo titolo di studi.
Il signor Pieraccione da Rodi ha deciso di fare il pirata.
Si dice che, con i soldi risparmiati in anni ed anni, abbia comperato una piccola barca a vela e, silenzioso nella notte romana, si sia imbarcato nel Tevere, per poi proseguire le sue bucanerie nel dorato mar Tirreno.
La sua barca, Beatrice, non fu della stessa idea. Sul primo ponte, infatti, fece sbattere l’albero maestro, e la barca si capovolse e si inabissò nel giro di mezz’ora. Testimoni oculari raccontano però di non aver mai visto nessuno così felice.

Del signor Pieraccione da Rodi, dopo quella notte un po’ sciagurata, si son perse le tracce; tuttavia si dice che, dal porto di Piombino, un marinaio dalle fattezze che ricordano molto il nostro traghetti abilmente le anime fino all’isola d’Elba.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] C'è la crisi

di Mariangela Vaglio Galatea

Non so neppure se posso più permettermi di essere povera.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Aspetta e guarda

di Peppe Liberti

Ora sono chiuso in macchina, fermo al bordo di un marciapiede, aspetto e guardo chi passa, anziani concentrati sui propri passi, ragazzi veloci e, ancora, automobili nervose, vroooom, peeeeee, stridore di freni. Ho lasciato crescere la barba per sentirmi vecchio, un padre anziano che aspetta e guarda e spera che i ragazzi veloci sappiano dove andare, che ci sia un futuro di macchine silenziose, di passi da non contare. Vroooom, peeeeee..

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

venerdì 21 ottobre 2011

[Occupy Barabba] Occupy Molise

di phonkmeister

Click.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Black Mesa Inbound

di Massimiliano Calamelli mc

L’auto percorre l’ultima serie di curve prima di raggiungere l’ingresso del tunnel. 10km di vuoto nella roccia, 10km di luci gialle alternate, 10km di di striscia nera dipinta sulla volta del tunnel, come per rappresentare il cielo notturno. Il guidatore sa che non è un tunnel come tutti gli altri, almeno non lo è per lui. C’è quel cartello, quel semaforo, quella scritta, I.N.F.N., che fanno tanto videogame alla Half-Life. Ogni volta che ci passa, per quel tunnel, ogni volta che rallenta davanti a quel semaforo, getta uno sguardo al portone, fantasticando su misteriosi esperimenti e varchi dimensionali. Ogni volta che ci passa, per quel tunnel, rallentando davanti a quel semaforo, non succede nulla. Lo sa, getta lo sguardo ma lo sa, e poi superato l’autovelox accelera di nuovo e va. Ecco, questo è l’istante preciso dell’occhiata allo specchietto retrovisore, l’occhiata della suspance, il momento in cui una esplosione fortissima dovrebbe squarciare le porte metalliche e far uscire chissà quali alieni. Dannati videogiochi.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Senza titolo

di garofano

Questa mattina ho fatto colazione a casa, con una tazza di latte e un plum cake.
Colpa della crisi, ché di solito andavo al bar, a far colazione.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

[Occupy Barabba] Come va il mondo

di TheAubergine

Quando vedi come va il mondo ti dici un sacco di cose, che vuoi cambiarlo, che come viene trattato questo mondo è una vergogna, che la gente fa delle cose orribili e via via, tutti concetti un po' indefiniti che lasciano persino i sentimenti in eredità a qualcun altro.
Allora mi son detto che voglio iniziare a migliorarlo davvero questo mondo, mi son detto che voglio iniziare a migliorarlo IO, che non serve a niente stare a lamentarsi o guardare alla tv quelli che lo sfasciano, e allora mi son detto che devo trovare un po' di cose in cui migliorare e dirle subito a tutti, così poi mi dicono che faccio bene e iniziano pure loro, e così a catena finché queste cose ti trovi un giorno che non le fa più nessuno e non sai nemmeno chi è stato quel brav'uomo che ha cominciato. Però oh, datemi un'idea che non posso fare tutto da solo.

[Occupy Everything. Occupy Barabba.]

Occupy Everything, Occupy Barabba

Le cinque e qualche minuto di venerdì pomeriggio sono il momento ideale per lanciare una nuova, strepitosa, rivoluzionaria iniziativa barabbista. Vista la decadenza sociale e culturale che attanaglia il mondo intero, in cui sta bene o male anche la narrativa contemporanea, da ora, e per una settimana intera, quindi fino alle cinque e qualche minuto di venerdì pomeriggio prossimo, potete mandarci un racconto, una poesia, un ragionamento, una stramberia al solito indirizzo marcomncrd chiocciola gmail punto com (o barabba26x1 chiocciola yahoo punto com, tanto è lo stesso) e noi lo pubblichiamo SUBITO sul blog (nel limite del possibile, ché ogni tanto dormiamo, mangiamo o facciamo all'amore) così com'è, coi refusi e tutto, senza editing, senza neanche quasi leggerlo. Stavolta non c'è un tema. O se volete il tema è "la crisi", in tutte le sue accezioni linguistiche, accademiche e d'uso quotidiano. Oppure mandate quello che vi pare. Oppure niente. Liberi tutti.

Occupy Everything. Occupy Barabba.

Trucchi della borghesia (41)

Gli anarchici blecblòc. *

giovedì 20 ottobre 2011

Hanno ucciso Barbapapà o Io per me vorrei essere una rana

[Iniziamo la pubblicazione di un racconto lungo di Sara Parravicini, che forse conoscete come la saramandra, sull'internet, forse. Poi ci facciamo anche un ebook per Barabba Elettrolibri, la collana inesistente che non pubblica niente, ma aspettiamo un po'. Intanto, ve lo facciamo leggere.]

Hanno ucciso Barbapapà o Io per me vorrei essere una rana
di Sara Parravicini (prima parte)

Il mio animale preferito non è uno ma tanti, quindi si dice gli animali preferiti.
Gli animali che preferisco sono: la rana, la salamandra e la lucertola, che sono tutti anfibi e rettili.
A tanti, i rettili e gli anfibi gli fanno schifo perché dicono che sono viscidi e freddi e che ci hanno l’occhio fisso, ma non è vero! Le galline e i piccioni hanno l’occhio fisso, o i pesci. No i rettili.
Io, sugli anfibi e i rettili, so TUTTO: ho anche preso buono nella ricerca perché mi piacciono proprio tantissimissimo, infatti sono i miei animali preferiti, che l’ho già detto, ma vabbè.
La volete sentire la mia ricerca? Ve la racconto un po’ a memoria e un po’ no, insomma, vi dico tutto quello che so sui rettili e gli anfibi (che poi è proprio tuttotutto) così capite perché sono i miei animali preferiti.

Allora, parto dal serpente.
Il serpente è un rettile.
Tra tutti i rettili, il serpente è forse quello più schifato. In quanto a schifo, arriverebbe pari merito forse solo con lo scarafaggio e il topo di fogna e il ragno, ma loro non sono rettili, perciò il serpente vince.
Tutti hanno paura del serpente. Forse hanno paura del veleno, ma mica tutti i serpenti sono velenosi, no! Ci sono anche i costrictor. Il boa, per esempio, è un costrittore che vuol dire che, prima di mangiarti, ti stringe fino a soffocarti, poi la sua bocca si smonta e si fa grandissima e ti mangia senza masticarti. Io, in un documentario, ho visto un boa che inghiottiva un capretto. Con gli zoccoli e le corna e il pelo e tutto. Poi però, a un certo punto, il boa ha sputato il capretto. Non ce l’ha fatta ad ucciderlo. Perché mi sa che se l’era inghiottito che non era ancora ben morto. Doveva essere fortissimo, quel capretto.

Tutti urlano quando vedono un serpente e c’è pure una parola apposta per dire la paura dei serpenti, e questa parola è ophidiofobia.

A scuola abbiamo letto Il Piccolo Principe. Il Piccolo Principe è un libro che parla di boa, di cappelli e di grandi che non capiscono. A volte anche io penso che i grandi non capiscano niente, neanche le cose semplici.
Cose tipo che non serve avere paura del veleno dei serpenti, tanto un serpente come il boa, se vuole, ti ammazza lo stesso. O cose tipo che questa cosa che ho appena detto non è sempre vera, perché può anche capitarti che tu pensi che la tua giornata di capretto sia finita perché ti rimangono solo due zoccoli di capretto fuori dalla bocca del boa e invece poi, tutto ad un tratto, ti trovi fuori di nuovo al sole, un po’ stordolito sì, ma vivo. E non sai neanche tu bene come hai fatto, se è merito tuo o se qualche capra nel paradiso delle capre ha fatto un miracolo per te.

Il serpente si può mettere all’inizio o alla fine della ricerca perché il serpente apre e chiude il cerchio. Infatti, una volta, c’era proprio un serpente che si chiamava Uroboro e questo serpente si mangiava la coda e così faceva un cerchio che rotolava e girava senza mai fermarsi.
Questo serpente è il tempo che ritorna.

(continua)

mercoledì 19 ottobre 2011

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Spaghetti al tonno clericale

Ma come? Gli spaghetti al tonno? Ma quelli li fanno tutti… Sì, lo so. Ma questi sono i miei spaghetti al tonno. Provare per credere.

Innanzitutto si prendono gli spaghetti grossi. Non i bucatini, gli spaghetti grossi. Gli spaghettini piccoli vanno bene con le vongole, gli spaghetti grossi con il tonno. E’ così. Un dogma. Tipo l’infallibilità del Papa, però vero.

Poi si prende una cipolla bianca. Grossa. Ogni due persone ci vuole una cipolla bianca intera. Dogma. Tipo la favoletta dell’Arcangelo Gabriele. Però vero.

Tagliate la cipolla piangendo, il discorso penitenziale sarà completo. Tagliatela grossolanamente, se ci vengono dei pezzettini meglio. Soffriggere in olio d'oliva a fuoco medio. Godetevi il profumo. ORA, appena la cipolla sta diventando biondina, mettete una quantità di peperoncino in polvere adeguata alla bisogna. Deve sentirsi il piccante, ma appena. Come faccio a spiegarvelo? Verrà a forza di ripeterlo. Come ricordarsi il “Credo” quando si prega.

Conserva di pomodoro. Ora. Irroratio magna, mescolatio consequentialis. Abbassarum foco. Costantia, capitus?

Spezzettate del tonno da una scatola di tonno di quelle grandicelle. Tonno al naturale. Non rovinate tutto con dell’olio da due soldi. Una scatola ogni due persone. Mescolate. Quando il sugo di ritrae aggiungete un po' di vino bianco. Niente sale nel sugo. Il tonno in scatola è già salato oltremisura.

Con gli spaghetti grossi sapete quel che dovete fare, spero. Olio a crudo nel piatto.

Sono buoni. Abbiate fede.

martedì 18 ottobre 2011

Il maestro

(di lo scorfano)

Lo chiamavano senz'altro il «maestro», in paese, a Pieve di Soligo. Ma non come si fa con i registi e i direttori d'orchestra: lui, Andrea Zanzotto, lo chiamavano il «maestro» perché era quello che aveva fatto per tutta la vita, senza interruzioni: il maestro elementare. L'uomo di paese, ma un po' più colto degli altri, che insegnava ai bambini, figli del suo dialetto e della sua campagna, a non sbagliare le insidiose doppie della lingua italiana, quelle che tutti i veneti, prima o poi, sbagliano.

A Pieve di Soligo ci era nato, nel 1921, e da lì non se ne era mai andato. C'era stata la guerra, quando aveva vent'anni; ed era venuto a un certo punto il momento della Resistenza. E lui aveva scelto la Resistenza e l'aveva fatta, come gli era sembrato giusto. Poi, però, nient'altro: una biografia vuota. Fatta soltanto di doppie insegnate ai bambini e di poesie. E del paesaggio veneto, trevigiano, di cui tutte le sue poesie, come il dialetto dei bambini, si nutrivano.

Ma il paesaggio non basta a se stesso. E fin da subito, fin dalla prima raccolta pubblicata, la poesia di Andrea Zanzotto è diventata poesia che scava dietro il paesaggio, poesia sulle parole che lo raccontano e raccontano il nostro modo di raccontarcelo. E da quel punto, da quella inevitabile scelta, è partita tutta un'altra biografia, tutta un'altra storia che in fondo è la vera biografia di Andrea Zanzotto. Una storia di lotta e di amore, contro le parole e per le parole. Una storia che passa attraverso la scomposizione dei segni alfabetici, la rivoluzione e la frantumazione del linguaggio, la necessità di farlo a pezzi, anche con la violenza dell'iconoclasta, per poi rimontarlo, sillaba per sillaba, verso per verso, nelle sue pagine di poeta vero.

La decifrazione dei segni che raccontano il mondo ha attraversato, nella vita di Zanzotto, tante raccolte e tante fasi: le storie della letteratura le riepilogano con acuta precisione, non è proprio il caso di rifarlo qui. Ma c'è un momento di questa sua storia che non si può tacere: ed è Filò, la riscoperta improvvisa, il dialetto che ritorna, forse quello infantile dei suoi bambini, il «vecio parlar» con cui, a un certo punto, gli è sembrato possibile resistere al sempre più incontrollato vociare del mondo, della modernità, della massificazione dei media in preda all'isteria della comunicazione casuale. Il dialetto è stata una delle ultime forze di Zanzotto. Non una partenza ma un ritorno: a una terra, Pieve di Soligo, da cui il poeta «maestro» non se n'era mai voluto andare.

E a pochi chilometri da Pieve di Soligo, oggi, 18 ottobre, il poeta maestro elementare senza biografia è morto, pochi giorni dopo avere compiuto novant'anni. Qualcuno, molto lontano da Zanzotto e dal suo paesaggio di colline venete, ha detto che la poesia è prima di tutto «riflessione sul linguaggio»; e quindi, di conseguenza, riflessione sui modi che abbiamo di conoscere il mondo e di raccontarlo e di percorrerlo con lo sguardo e le parole. Se è davvero così (e lo è, almeno parzialmente: ma qualsiasi definizione di poesia è di necessità sempre parziale), allora il Novecento italiano ha avuto in Andrea Zanzotto il suo massimo indagatore delle molteplici forme di ogni umano (e sovrumano) parlare. Ed è quindi per questo che, da oggi, il suo definitivo silenzio di ultimo grande poeta del secolo scorso è destinato a farci sentire che Andrea Zanzotto, maestro, ci mancherà.

Neverending tour: croccantissima d'ottobre

Al circolo ARCI Cicco Simonetta di Milano, venerdì 21 ottobre, simone rossi suona il clarinetto, bicio il contrabbasso, l'elena legge, il prode Farabegoli disegna. Sarà una cosa molto croccante. Click.

lunedì 17 ottobre 2011

Spellicolaggini: un ebook

La prima volta che ho messo piede in un Cinema ero grande: avevo dodici anni, era il 1994 e davano Il Postino di Massimo Troisi al Cinema Oddo di Termoli, una ex sala parrocchiale. Avevo già letto Lessico famigliare e Marcovaldo, ma non ero mai andata al cinema. [...] La cosa che mi colpì, più di tutte, fu l’odore della polvere, la polvere nella scia di luce che veniva dal proiettore in alto, la polvere vicino agli angoli della porta per entrare. La polvere che avevo il dubbio fosse sopra le poltroncine e mi si attaccasse alla maglia nuova. La seconda volta che sentii quell’odore di polvere fu durante una lezione al Dams a Bologna – ho studiato al Dams, sì, senza mai pentirmene un giorno, detto tra noi – , stavo per vedere L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov, un film muto in bianco e nero – dovevo dare “Istituzioni di Storia del Cinema”, non è che di proposito andassi al cinema di pomeriggio a guardare film muti in bianco e nero in cui non succede niente – e sentii quell’odore chiaro e tondo e tossii tantissimo. [...] Dopo non l’ho sentita sempre, la polvere. L’ho sentita ogni tanto, l’ho messa da parte e nel frattempo il mio rapporto con i film è cambiato tantissimo. Se ne vedo uno, adesso, non riesco a non raccontartelo, non posso stare zitta, non ce la faccio proprio: le spellicolaggini non sono recensioni, non sono brava a recensire le cose, ma se guardo un film, anche più di una volta, non riesco a non scriverci su. Precisamente, le spellicolaggini nascono per caso un pomeriggio d’inverno di un paio di anni fa, dopo aver messo per la prima volta in bella copia il raccontino sulla visione di My Blueberry Nights di Wong Kar Wai. Ce l’ho in DVD, ero a casa mia.
(Elena Marinelli, dall'introduzione alle spellicolaggini 2011)
La nostra Elena Marinelli, che qui su Barabba conoscete come osvaldo, è laureata in cinema e sul suo blog, ogni tanto, parla di film a modo suo. Un giorno di qualche tempo fa mi ha detto che voleva mettere insieme tutti questi suoi pensieri sul cinema e farci qualcosa. Io le ho detto che avevamo una casa editrice inesistente, e che quella laurea, forse, era arrivato il momento di farla fruttare. Così abbiamo raccolto le spellicolaggini in un ebook: le trovate qui in pdf e qui in epub. Ci abbiamo messo anche 2011, perché, come nella migliore tradizione di dizionari del cinema, può darsi che ne faremo uscire una versione aggiornata, ogni anno, tutti gli anni, se abbiamo voglia.

Se mi permettete un commento personale, in qualità di editore inesistente dell'opera marinelliana, io vi consiglierei di scegliere, di volta in volta, un film dalle spellicolaggini, poi di andarvi a leggere cosa dicono del film il Morandini o il Mereghetti, a piacer vostro, come introduzione, in seguito dovreste guardarvi il film, in casa vostra, con chi volete, come siete abituati voi a guardare i film in casa vostra, insomma, e infine provate a riaprire le spellicolaggini e leggere come postfazione quello che dice la Marinelli sulla pellicola che avete appena visto. Fidatevi, funziona.

Buona lettura.
E buona visione.

venerdì 14 ottobre 2011

Spellicolaggini: official HD trailer

osvaldo: ci sei?
simone rossi: sì.
osvaldo: mi scrivi due righe per le Spellicolaggini? Per quelli che non hanno idea di che si tratta.
Spellicolaggini è colpa di una torta. Dentro ci sono venticinque film, che da elencare adesso sarebbero troppi, e un telefilm: Twin Peaks. Esce lunedì, ma viene presentato all'INDIDEE domenica, anche se non si capisce come si possa presentare un libro elettronico che esce il giorno dopo.
Qualcosa ci inventiamo.
"A me non piace mica il cinematografo, ma quando scrivi te mi piace un po’ di più. E poi, insomma, la dobbiamo pure far fruttare questa laurea."
(Marco Manicardi, editore inesistente)

mercoledì 12 ottobre 2011

Son fatto così (15)

Son fatto che ogni volta che devo andare dal dottore son sempre preoccupatissimo, e mi viene in mente quello che diceva un russo, adesso non ricordo chi fosse, Tolstoj o Dostoevskij o Gogol' o chissà chi, e cioè che non s'è mai sentito di un medico che abbia salvato la vita di un paziente, che i pazienti dei medici son tutti morti, se uno ci fa caso; allora, come contromisura, mando sempre a memoria un passo di Guerra e pace, dove Pierre Bezuchov - o Besukov, come c'era scritto nell'edizione degli anni '90 distribuita da Famiglia Cristiana che ho letto io, fate voi - tornato dalla prigionia non sta tanto bene, e i dottori gli dicono che è un attacco di febbre biliosa, ma l'autore non si fa fregare e scrive che "quantunque i medici lo curassero, gli cavassero il sangue e gli facessero inghiottire delle medicine, ciò malgrado, guarì". E un po' mi tranquillizzo. Son fatto così.

lunedì 10 ottobre 2011

Spellicolaggini: escono lunedì prossimo

Amici cinefili, cineasti e filmòmani, sta per finire la millenaria frustrazione dicotomica tra Morandini e Mereghetti, basta col tifo da stadio: stiamo preparando le Spellicolaggini, le ha scritte Elena Marinelli, che su Barabba conoscete come osvaldo. Le presentiamo in anteprima mondiale al festival INDIDEE di Sassuolo, la domenica che viene. E in ebook escono lunedì prossimo, se facciamo in tempo.