lunedì 14 marzo 2011

Cicatrici: La foto della prima comunione

[riceviamo e pubblichiamo con orgoglio la cicatrice di Stefano Pederzini, che la gente conosce anche come Bolero e Prudencio Indurain]

(Posizione)
Sopracciglio destro.

(Cause)
Nella foto della prima comunione ci siamo io e mia sorella, lei è vestita di bianco e io di nero. Nella foto della prima comunione ci siamo io e mia sorella perché lei ha un anno in meno di me, ma per motivi di bilancio familiare si è deciso che la comunione l’avremmo fatta insieme. Così il catechismo della prima comunione l’ho fatto con la sua classe che erano tutti più piccoli di me e la mia presenza li metteva in agitazione, io poi una volta ho chiesto alla giovane e ingenua catechista come mai, se l’ostia è il corpo di Cristo, ci danno un tondino di pane e non come sarebbe logico una bistecchina, e la giovane e ingenua catechista mi ha mandato fuori dall’aula.

Ma soprattutto, nella foto della prima comunione si vede benissimo che ho un grosso graffio sul mento, e anche se i capelli della frangetta sono tirati giù il più possibile si vede chiaramente un cerotto bello grande sulla fronte, sopra l’occhio destro. E per fortuna che ho la giacca, perché altrimenti si vedrebbe che di cerotti ne ho uno anche sui gomiti. Sotto i pantaloni invece c’è un ginocchio sbucciato.

E come mai sono conciato in quel modo? Perché il giorno prima ho fatto i giochi della gioventù di ciclocross. Come mai io che sono un bambino di dieci anni vado a fare i giochi della gioventù di ciclocross? Perché il mio papà è un discreto corridore di ciclocross, e io e la mia mamma e le mie sorelle nelle domeniche d’inverno stiamo lungo i sentieri delle gare ad aspettarlo tenendo pronte le ruote di scorta casomai dovesse forare. E al mio papà piacerebbe tanto che anch’io diventassi corridore, e i giochi della gioventù me li ha fatti fare anche l’anno scorso che avevo nove anni e sono arrivato terzo. Dai, terzo, non è male alla prima corsa. E poi ho già fatto tante gimcane, quelle con lo slalom tra i birilli e l’asse di equilibrio, e le gimcane le fa pure mia sorella, e spesso, anzi quasi sempre, va più forte di me e mi caccia la paga. Invece quel giorno, il sabato prima di fare la comunione, a fare il ciclocross ci vado soltanto io. Prima di uscire di casa il papà e la mamma hanno discusso. La mamma diceva che con tutte le cose che c’erano da fare per preparare la festa della comunione non era proprio il caso di portarmi a fare anche il ciclocross. Alla fine lei è rimasta a casa e con noi è venuta la zia di Milano.

I giochi della gioventù comunali di ciclocross si fanno intorno al palazzetto dello sport Salvador Allende, di fianco al bocciodromo Amilcar Cabral. Siamo una quindicina di bambini e non sembriamo dei corridori ciclisti, abbiamo vestiti da cortile e biciclette da cortile. Si parte. Dopo la prima curva sono in testa. In testa! Sono in testa! Pedala, dio bono, pedala. Entriamo nel sentiero in mezzo alla boscaglia. Sono sempre in testa. C’è un dosso di terra battuta da superare, in cima al dosso uno mi supera. No, dio bono, no. Siamo di nuovo sull’asfalto. Non devo farlo scappare quello, è solo il primo giro, posso riprenderlo, pensa se vinco che bello che sarebbe. Passiamo sul traguardo. Sono di nuovo alla prima curva, inseguo a tutta quello davanti. C’è sabbiolina in terra. Arrivo troppo forte, la ruota dietro scivola, cado, le gambe grattano l’asfalto, ma non mi interessa, ora mi rialzo e AAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHH, la fronte, non so cos’è ma è un dolore sordo, sordo come l’urlo che faccio che non è proprio un urlo, faccio AAAAAAHHHHHH mentre qualcuno corre verso di me e mi tira su, non capisco, la testa non l’ho sbattuta in terra, cos’è che mi ha colpito e che mi ha fatto così male, ho la gente attorno, c’è mio padre, c’è la zia di Milano, c’è l’ambulanza e mi ci caricano sopra e mi portano alla Croce Rossa.

Dice mio padre che forse mentre cercavo di rialzarmi ho preso un colpo di pedale in testa da un concorrente che stava passando. La zia si sente in colpa, crede che son caduto perché lei ha gridato “Dai Stefano” e magari mi sono distratto per quello. No zia, non ti ho né vista né sentita. Ero secondo. Era solo il primo giro. Potevo vincere.

Alla Croce Rossa mi sdraiano su un lettino e cominciano a incerottarmi un po’ dappertutto, ma il lavoro grosso è sulla fronte, dicono che devono darmi dei punti. Mi spalmano una cosa che si chiama tintura di iodio. Brucia. Mi lamento. Il medico dice che fa più male a lui che a me. A me sembra una stupidaggine, ma non glielo dico. Esco con due punti e un cerotto in fronte, uno sul mento, altri su gomiti e ginocchia. Torniamo a casa. La mamma è nell’orto. Ci guarda arrivare e non dice niente, ma ha una faccia che dice tutto. Se non fossi già pieno di bozzi probabilmente me ne farebbe qualcuno anche lei, e anche di più a mio padre. La mattina dopo mi toglierà il cerotto sul mento e ridurrà con le forbici quello sulla fronte, poi ci tirerà sopra i capelli in modo che si veda il meno possibile, ma nelle foto si vede, eccome se si vede.

Dopo dei ciclocross non ne ho mai più fatti, ho fatto tante gimcane, sempre con mia sorella che andava più forte, a volte ho vinto la mia categoria ma lei vinceva la sua con un tempo migliore. Poi, a 12 anni, quando era il momento di mettersi a correre davvero, mi sono ritirato. Invece mia sorella, a 12 anni, ha avuto un ictus il giorno di Natale, è entrata in coma ed è morta due giorni dopo. E anche allora mi è venuta una cicatrice, ma non era quella di cui volevo parlarvi, anche se poi ve ne ho parlato lo stesso.

(Conseguenze)
A volte, quando mi gratto il sopracciglio, mi sembra di sentire un po’ di rilievo. Ma forse è solo una ruga perché sto diventando vecchio.


di Stefano Pederzini “Bolero”

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