martedì 22 febbraio 2011

Cicatrici: Posso piangere?

[nuova rubrica un poco pulp]

(Posizione)
Gomito destro.

(Cause)
Oggi vado proprio a fare allenamento da solo, mi son detto quel giorno. Eran tempi, quando avevo quattordici o quindici anni, che potevi prenderti su e andare a fare allenamento da solo, che i genitori eran tranquilli lo stesso. Oggi vado proprio a fare allenamento da solo, quaranta chilometri, vado a Pegognaga e torno indietro, dai, ho pensato. E così, allacciato il caschetto, riempita la borraccia, agganciati i piedi ai pedali, via, a Pegognaga.

È stata proprio quella curva stronza di Bondeno, quella che facevamo sempre quando ci allenavamo con tutta la squadra, quella curva che potevi prendere ai trentacinque all'ora e andava bene lo stesso, di solito, bastava tenere alzato il pedale destro, piegarsi un po'. È stata ancor di più quella ghiaina stupida che si forma sull'asfalto dopo la pioggia, è stata lei che mi ha fatto slittare la ruota e finire col culo per terra. E prima del culo, il primo istinto è quello di mollare il manubrio e buttare le mani a terra, e le mani son scivolate sulla ghiaina stupida, e la ghiaina stupida, a un certo punto, la stavo sfregando col gomito, ai venti, venticinque all'ora. La pelle veniva via come quando gratti del parmigiano sulla pasta.

Quando il capitombolo è finito, quando tutto è tornato in silenzio e la testa ha smesso di urlare, faccio un respiro, mi guardo il gomito: si vede l'osso, la carne è stata tutta portata via dalla ghiaina stupida che ancora pende insieme alla pelle e al sangue che scorre come da un rubinetto. Vaccaboia, ho pensato, casa mia è a dieci chilometri da qui. Non c'erano mica i cellulari, nel 1994.

Bon, vado a casa, ho deciso. Mi son tirato su, ho raddrizzato la ruota della bici, che rimaneva comunque un po' imbarlata, come si dice in gergo, son salito sul sellino e, con una mano sola e il braccio ferito alzato a mezz'aria, son tornato a casa. Davvero. Lasciavo delle goccioline ogni due, tre metri sulla strada per dieci chilometri.

Arrivato davanti al portone, a Novi di Modena, a casa mia, ho suonato il campanello.

Mamma, son caduto, mi son fatto male, mi apri? Mia madre mi apre e intanto corre giù dalle scale. Senza pensarci, mi prende, così, vestito da ciclista, e mi porta al pronto soccorso. Io sono zitto zittissimo, in macchina fino a Carpi, entriamo al pronto soccorso e mi dicono che i punti non me li possono dare perché la ferita è troppo larga, manca della carne che deve ricrescere, ci vorrà del tempo. Mi puliscono il gomito, intanto, e brucia un casino, con la botta, l'osso al vento, il disinfettante e tutto il resto, e mi tirano via i sassolini che si sono infilati nella carne. Me li tirano via tutti.

No, uno lo lasciano lì, se lo dimenticano. Me ne accorgo un mese dopo mentre sto facendo degli impacchi di amuchina: vedo una cosa che sembra una crosticina, la tolgo, penso, ci vado sotto con l'unghia e viene fuori un sasso. Deficiente d'un infermiere.

(Conseguenze)
Oggi, se lo guardo, il mio gomito destro, c'è tutta della pelle più liscia del resto del braccio, un po' raggrinzita lì dove è dovuta ricrescere per andare a coprire il buco. E c'è un puntino nero, di pelle molto molto scura e innaturale lì dove c'era il sasso dimenticato. Se la tocco, quella zona di pelle liscia col puntino nero, mi viene in mente che son caduto, mi sono sbrindellato la carne sulla ghiaia tanto che si vedeva l'osso, ho fatto dieci chilometri da solo, sanguinante, sono andato al pronto soccorso, mi son fatto medicare, disinfettare e bendare e non ho mai fatto una piega.

Solo al ritorno dall'ospedale, la stessa sera, ancora in macchina, mi son girato verso mia madre al volante, l'ho guardata un po' e poi son tornato a guardare la strada. Mamma, le ho detto, Mamma, posso piangere adesso?

2 commenti:

  1. Mi è capitato qualcosa di in parte analogo quando facevo la seconda elementare. Mi inseguivo per casa con altri bambini e mi rimase un dito all'altezza dell'unghia in una porta sbattuta da un bambino di dieci anni. Si tumefece facendo assomigliare tutto l'anulare a una mazza da baseball non troppo in miniatura, finché, dopo qualche giorno di abbondante pus mi portarono in un ambulatorio dove decisero di strapparmi l'unghia, annunciandomi a torto che non sarebbe più ricresciuta, ma forse fu solo uno scherzo per farmi coraggio.
    Io piangevo e il chirurgo mi disse di non farlo, che fuori c'erano altri bambini, che li avrei spaventati. Mi fermai e ascoltai ubbidiente quando mi fu detto di non urlare e di mordere un panno. Rimasi in silenzio, spizzicando forse qualche monosillabo o poco più fino alla macchina e nel percorso fino a casa e ricordo la porta di casa vista dall'altezza che avevo allora e le schiene alte dei miei genitori quando chiesi: "Mappa, papà, adesso posso piangere?".
    Mi è parso di leggerlo come da dentro, questo post, nonostante la differenza di età e la mancanza di eroico ritorno nel mio caso...

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