giovedì 30 settembre 2010

Questo è il mio bar, ce ne sono tanti come lui, ma questo è il mio

Quando da ragazzetto viziato di campagna mi son trasferito per amore in città, e non nell’hinterland, ma nel centro centrissimo del borgo, sulla piazza, ho subito preso la mania della colazione al bar. Una roba da cittadino, mi dicono i miei quando vado a trovarli. Eh sì, rispondo io, un cappuccino e una brioche senza dover fare dei chilometri, due passi a piedi e via, la colazione, poi al lavoro con la pancia piena, mai più caffè solubile della macchinetta fuori dall’ufficio. Evviva. Il mio bar è un concetto serissimo ma anche abbastanza comprensibile e diffuso, e non ve lo spiego nemmeno.

Il mio primo bar era un bar in fondo alla via, uno di quei bar sviluppati in lunghezza per ragioni di spazio. Dentro, la mattina, la gente leggeva il giornale e parlava male degli immigrati. Eran tutti pensionati. È un bar, pensavo, leggi il tuo giornale, Marco, mangia la brioche, bevi il cappuccino che è anche buono, non polemizzare, paga ed esci. E così ho fatto per un anno. Poi mi son stufato.

Il mio secondo bar era un bar sotto i portici, uno di quei bar con la vetrina aperta davanti e i tavolini fin sulla piazza. Dentro, la mattina, i manager e gli yuppie entravano di volata, uncaffègraziearrivederci, in piedi. Era un viavai che metteva un po’ d’ansia. È un bar, pensavo, leggi il tuo giornale seduto, Marco, mica in piedi come gli altri, mangia la tua brioche, bevi il tuo cappuccino, un cappuccino davvero superlativo, tra l’altro, alla cappuccinista bisognerebbe darle un premio e abbracciarla, ma tu paga, Marco, paga e saluta e poi esci anche un po’ in fretta. E così ho fatto per sei mesi o poco più. Poi mi son stufato.

Il mio terzo bar era il bar che la prima e la seconda volta avevo evitato, un bar di quelli che ti sembra che sian tutti lì dentro a far cagnara e che non è neanche bello da vedere, da fuori. Un bar vicino agli altri due, ma in una posizione del cavolo, col freddo d’inverno e l’afa da far schifo d’estate. Dentro, la mattina, i lavoratori, i negozianti, la gente, le vecchine, eran tutti lì a far colazione e a leggere il giornale, ma c’era qualcosa di diverso: si salutavano, chiacchieravano. È un bar, pensavo, un bar davvero, un bar dove dopo cinque giorni la barista mi chiede il nome. E andavo là per mangiare una brioche, bere un cappuccino onestissimo, per dire delle cose alle due bariste e agli altri intorno, alcuni non so neanche come si chiamano e parlavamo tutti giorni, e poi potevo entrare col cane, ogni tanto, e ci andavo anche alla sera per una birretta, alle volte, nel mio bar. E così ho fatto per tre anni e qualche mese. Fino a oggi.

Oggi è l’ultimo giorno del Caffè Molinari, a Carpi, tra Corso Roma e Piazzale Ramazzini. Non so cosa ci faranno, dopo, non gliel’ho chiesto, stamattina, non lo voglio sapere. Oggi chiude il mio bar, e un pezzo di quel ragazzetto di campagna emigrato in città per amore se ne va. Verrà un altro bar, dopodomani. Ma intanto, da domani, siam senza bar. Il mio bar.

lunedì 27 settembre 2010

(Trascrizione fedelissima di) La moglie si svegliò quando Jean Jacques Rousseau

(quello che segue è un dialogo tra la paolina e il sottoscritto, una specie di perfomance concepita da Sba per chiudere il suo speech al WriteCamp di ieri. Colgo l’occasione per ringraziarlo tantissimo, Sba, una persona perbene che non riuscirò mai ad abbracciare abbastanza, anche per questioni fisico-architettoniche)

La moglie si svegliò quando Jean Jacques Rousseau. L’aria fresca di Montaigne gli aveva leggermente irritato le vie respiratorie e lei, per porre fine a quello scempio, lo dovette per forza Voltaire. Ma al primo sussulto lui si svegliò:

- Che c’è?
- Russavi
- Uhmpf, dovresti comprarmi dei cerottini per il naso
- Sì, hai ragione
- Ma roba di marca, non i soliti Descartes.
- E ti Diderot di più, esiste anche uno spray.
- Io però te l’avevo detto che era meglio non venire d’in Verne in Montaigne, ma almeno aspettare le vacanze Pascal
- Ma saremmo venuti in D’alembret prendendo freddo uguale
- Almeno avremmo evitato le code, facendo più Proust
- Sì, in calzoncini corti per le tue solite scorciatoie, Fourier di pericoli, dove ai Debord della strada è pieno di ortiche che Proudhon
- I pruriti sono il male minore, basta prendersi dietro una crema, mo’ la metti e Maupassant. La trovi alla Stendhal.
- Dai, rimettiamoci a dormire, che domani sul presto devo andare dalla Sartre con mia Sorel, non vorrai farmi arrivare Lyotard…
- Cosa vai a fare?
- Devo farle aggiustare un abito. Ti ricordi quella sera con i tuoi amici? Uno era ubriaco, ha preso un Cocteau e balZAC! Lo ha tagliato!
- Non ricordo
- Eh, e hai pure fatto il codardo dicendo “Io n’esco”
- Cosa vuoi, è che quando bevo non metto bene a Foucault le cose, mi muovo a Zizek. Piuttosto dimmi, la Sartre è quella che c’è in centro vicino alla compagnia Degas?
- Sì, lei, è ottima
- E tua Sorel preferisce andarci Comte?
- E allora? Che problema hai?
- Pensavo volesse andare a vedere Rimbaud al cinema
- No, ci va la sera col suo uomo, le ha promesso di Yourcenar a lume di candela
- Con questo freddo, sarà Duras
- Ma vuoi mettere, cenetta sotto un cielo pieno De Stael?
- Cezanne già come vanno a finire queste cose, Dumas ccheroni e poi si fiondano a letto
- Va bene, bonne nuit
- Ma che fai, ti metti a parlare in francese adesso?

(click)

domenica 26 settembre 2010

(Trascrizione più o meno fedele di) HOP HOP HOP: ebook collettivi, strategie di reclutamento e socialcosi

(quello che segue è il mio speech - non è una malattia - al WriteCamp di oggi, ultimo e scoppiettante evento della BlogFest 2010, della quale parlerò, se e quando ne avrò voglia, appena il cervello riprenderà a funzionare correttamente)

Buongiorno.

Si sente se parlo così?

Prima di cominciare vorrei ringraziare l'organizzazione del WriteCamp – fin qui mi è sembrato interessantissimo e mi scuso anticipatamente se il mio intervento imbolsirà tutta la questione, ma è la prima volta che partecipo a un BarCamp, anche da spettatore; e poi ho questa cosa che non riesco a parlare a braccio e mi son scritto tutto, spero che non vi disturbi – ringrazio tutti e in particolar modo vorrei ringraziare Mafe, che ci teneva così tanto che dicessi qualcosa da strapparmi dal torpore benestante che mi porto dietro e farmi venir qui, su questo pulpito a dire delle cose.

Il mio intervento si intitola HOP HOP HOP: ebook collettivi, strategie di reclutamento e socialcosi e affronta questioni legate alla creazione di ebook collettivi da parte, essenzialmente, della blogsfera. Cioè voi. Cioè noi.

All'inizio del 2010, anzi per la precisione alla fine del 2009, ho riesumato un vecchio blog di nome Barabba. Era un blog che non seguiva nessuno, ma visto che mi ero da poco iscritto a FriendFeed e che su FriendFeed era pieno di gente con dei blog, mi sembrava una bella idea, riaprire Barabba – poi ho anche capito proprio in quel momento, quando mi sono iscritto a FriendFeed, il perché da qualche tempo sui blog commentava poca gente, perché commentavano tutti lì: mi sembrava anche un bel modo per delocalizzare i commenti e starci dietro più agilmente, dato che le piattaforme dei blog son tutte male oliate oppure ostiche e portano via del tempo; poi ho capito che portava via del tempo anche FriendFeed, ma ormai ero fregato.

***

Verso la metà di febbraio mi incontro col mio socio – Barabba è un blog collettivo, adesso ci scriviamo in cinque o sei, prima eravamo in due – mi incontro col mio socio e gli dico: Be', ma se facessimo un ebook sulla Resistenza, visto che quest'anno a Carpi – siamo di Carpi, noi – c'è l'anniversario di Materiali Resistenti? Lui, il mio socio, che è un tipo un po' tecnovillano, mi ha detto Ok, pensaci tu per le questioni dell'internet, io organizzo la serata di presentazione. Va bene, gli ho risposto, vorrei fare una cosa come il Post sotto l'Albero. Lui mi ha chiesto che cos'era il Post sotto l'Albero, io gliel'ho fatto vedere, gli ho spiegato che è un ebook collettivo, in pdf, e che c'era da un po' di anni. Lui mi ha detto: va bene. Io gli ho detto: allora siam d'accordo. Lui mi ha detto: sì.

E così abbiamo cominciato.

Su FriendFeed – avevo una trentina di iscritti al mio profilo, all'epoca – ho detto Cosa ne dite se facciamo un ebook collettivo sulla Resistenza?

Il giorno dopo avevo un centinaio di iscritti e di commenti e delle mail che mi dicevano più o meno: sì, bella idea, io ci sto.

Da lì siamo partiti con il reclutamento. Sul blog, Barabba; su facebook, su twitter, su tumblr, a voce eccetera. Ci eravamo inventati un tormentone: “Barabba dice 26x1” (che era il calco del segnale in codice che ha fatto partire la Resistenza, a suo tempo, negli anni '40, e diceva, l'originale: "Aldo dice 26x1", e da lì via tutti sulle montagne a sparare, cose così: è Storia).

Il 15 di Aprile, la deadline per la consegna, avevamo già raccolto una sessantina di contributi, tra racconti, saggi, ragionamenti, poesie, disegni, foto e perfino un monologo teatrale di venti pagine. Era diventata una cosa seria.

Poi abbiamo impaginato (211 pagine) e l'abbiamo chiamato Schegge di Liberazione, forse ne avete sentito parlare. L'abbiamo presentato in pubblico il 24 aprile, in un locale, con delle letture e dei blogger che erano venuti da mezza Italia per leggere in pubblico i propri pezzi o quelli altrui, o anche solo per vedere cosa succedeva.

È andata così bene che ci han chiamati a Bologna in un festival delle culture antifasciste, poi in una radio, sempre a Bologna, poi hanno appeso i racconti in una villa di Mestre, poi a ottobre siamo a Milano e a novembre ci han chiamati a Venezia... e insomma, un ebook e un tour, come per i libri veri.

***

È andata così bene che verso la metà di maggio mi incontro col mio socio e gli dico: Be', ma se facessimo un ebook sulla Sfortuna, visto che quest'anno a Carpi – sembra che a Carpi succeda un po' tutto – c'è il decennale del Festival di Filosofia e il tema è Fortuna. Lui, il mio socio, che è sempre un tipo un po' tecnovillano, mi ha detto Ok, pensaci tu per le questioni dell'internet, io organizzo la serata di presentazione. Va bene, gli ho risposto, allora siam d'accordo. Lui mi ha detto: sì.

E così abbiamo ricominciato.

Su FriendFeed – sempre lì – ho detto Cosa ne dite se facciamo un ebook collettivo sulla Sforuna eccetera eccetera?

Il giorno dopo avevo già una valanga di commenti e delle mail che dicevano più o meno: sì, bella idea, io ci sto.

Da lì siamo ripartiti con il reclutamento. Sul blog, Barabba; su facebook, su twitter, su tumblr, a voce eccetera. Ci eravamo inventati un altro tormentone: “Accettate la sfiga” (che era il primo gioco di parole che ci è saltato in mente, ma alla gente piaceva, abbiamo scoperto).

Il 9 di settembre, la deadline per la consegna, avevamo già raccolto una sessantina di contributi, tra racconti, saggi, ragionamenti, poesie, disegni e foto; e alcuni degli autori avevano partecipato a Schegge di Liberazione, altri erano nuovi.

Poi l'abbiamo impaginato (due volumi, questa volta, da 130 pagine l’uno) e chiamato Cronache di una sorte annunciata (che era il secondo gioco di parole che ci è saltato in mente), forse ne avete sentito parlare, è uscito venerdì 17 settembre. L'abbiamo presentato in pubblico quella sera lì, in un locale, con delle letture e dei blogger che erano venuti da mezza Italia per leggere in pubblico i propri pezzi o quelli altrui, o anche solo per vedere cosa succedeva.

Ed è andato bene anche questo, anzi, da Barabba, dove ora è scaricabile insieme a Schegge di Liberazione, ormai non riesco più a contare i download.

***

Non so se ne faremo degli altri, di ebook collettivi, perché è un gran lavorare. È bello, ma è un gran lavorare. Però da questa esperienza abbiamo capito delle cose sulla rete e sul reclutamento degli scrittori, per la maggior parte blogger, che poi non dobbiamo aver paura di chiamare scrittori.

La prima che abbiamo capito è che su Facebook han fatto bene a chiamarla bacheca: ci passano tutti davanti senza leggere niente. Ogni appello su Facebook alla scrittura era un appello a vuoto; sarà perché è gente che conosci di faccia, sarà che non gliene frega niente, ma su Facebook abbiamo raccolto poco. Poi si è rivelato utile per la promozione dell'ebook finito e tutto il resto, però bisognerebbe fare un altro discorso e non c'è tempo.

La seconda cosa che abbiamo capito è che Twitter è un'apparecchiatura simplex, cioè monodirezionale, con alcuni momenti fastidiosissimi di half-duplex, cioè come i walkie talkie, e che anche lì, se vuoi procacciarti degli scrittori, stai fresco. Anche twitter è utile per la promozione, ma non per la conversazione e per la progettazione. Ma non c'è tempo per parlare del dopo, qui stiam parlando del prima, di come si fa un ebook.

Un'altra cosa che abbiamo capito è che se vuoi fare un ebook collettivo dovresti avere un blog; non dico che sia indispensabile averlo, ma aiuta. Perché, dicano quello che vogliono, i blog vengono ancora letti da un bel po' di gente.

E così vale anche per il Tumblr, che è un modo abbastanza rapido per condividere degli annunci, degli strilli, dei richiami, eccetera, e che alla fin dei conti è una versione ridotta e velocissima della blogsfera.

E poi c'è FriendFeed. La maggior parte degli autori di Schegge di Liberazione e a Cronache di una sorte annunciata son gente di FriendFeed, perché sul FriendFeed italiano c'è la blogsfera – ma forse lo sapete già – e gli appelli su FriendFeed diventano conversazioni, discussioni e condivisioni e, insomma, per farla breve, se volete fare un ebook collettivo iscrivetevi a FriendFeed, anche se vi farà perdere del tempo... ma alla fine cosa facciamo, poi, tutta la giornata?

Insomma, per fare gli ebook collettivi con la blogsfera servono un blog – non necessariamente, ripeto, ma è meglio averlo, anche solo per accaparrarsi un po' di credibilità – e soprattutto FriendFeed. Davvero, funziona. Almeno in Italia, dalle altre parti non lo so. Forse in Turchia.

***

Non ho altro da aggiungere sulla questione. Se volete, potete andare su Barabba e scaricare Schegge di Liberazione e Cronache di una sorte annunciata, che nel frattempo son diventati anche dei blog autonomi, si chiamano Schegge di Librazione e Cronache di una sorte annunciata. Se cercate su Google, trovate tutto.

Poi, sempre se ne avete voglia, potete venirci a vedere quando li leggiamo in pubblico e, se ve la sentite, potete venire a leggere anche voi, potete dircelo all'ultimo minuto, tanto noi siam lì, è tutto gratis.

Se faremo degli altri ebook non esiteremo a comunicarvelo, proprio come abbiamo già fatto e come ho spiegato nel corso del mio intervento, se non vi siete addormentati o non siete andati fuori a bere una birra.

Se farete degli ebook voi, invece, e se queste cose che ho detto vi sono state d'aiuto, ditecelo che ci fa piacere.

***

Vorrei concludere il mio intervento citando la regola squonkiana, che è la regola fondamentale per ogni collezionista di pezzi per ebook, la regola che è stata la capostipite di tutto quanto abbiamo fatto fino ad ora; la prima volta l'abbiamo seguita in modo inconsapevole, la seconda volta – avendo noi ricevuto la benedizione del maestro, quello del Post Sotto l'Albero, quello che ha iniziato tutto, anni fa, perché non ci siamo inventati niente, noi che siamo venuti dopo – la seconda volta, dicevo l'abbiamo abbiamo seguito la regola squonkiana alla lettera. E non si scappa: se vuoi fare un ebook collettivo con la blogsfera, attraverso i socialcosi, FriendFeed in particolare, e vuoi farlo bene, i passi da seguire sono tutti elencati nella regola squonkiana.

La regola squonkiana dice così:
  1. Partire con annunci casuali quattro mesi prima della data prefissata per la pubblicazione.
  2. Una breve campagna teaser nel mese precedente l'inizio delle operazioni.
  3. Invito a sorpresa in un qualsiasi giorno di [due mesi precedenti la pubblicazione], poco prima dell'ora di pranzo.
  4. Crescendo rossiniano;
  5. Creazione di un tormentone.
  6. Hop hop hop.
  7. Minuetto.
  8. Happy end.
***

Grazie a tutti. Ho finito.

venerdì 24 settembre 2010

Glabro

C'è un bel libro, nel quale ci sono i due protagonisti, o due tra i protagonisti, che a loro modo sono degli eroi.
L’altro ieri un amico mi ha chiesto quale di quei due ero io, quale mi sentivo.
E io ho pensato che, mentre leggevo il romanzo, avevo preso davvero a immedesimarmi in uno dei due protagonisti.
Però mi sono pure ricordato che rimasi un po’ deluso quando leggendo scoprii che quel personaggio, nel quale volevo identificarmi, era glabro.

mercoledì 22 settembre 2010

Furbi

"Hai una scrittura paratattica - annotava Imbeni, alludendo alla tecnica letteraria che consiste nell'accostare le frasi senza una gerarchia -, effetto della tua totale sottovalutazione della consecutio temporum". E Cornia, effettuata fra i presenti una rapida indagine sulla conoscenza del termine "paratattico", non poteva che riconoscere quella che in fondo è una peculiarità, assolutamente non casuale, della propria scrittura erratica. Così come non poteva che assecondare un'altra osservazione di Imbeni: "Mi sembra - gli rinfacciava l'improvvisato conduttore - che la tua costante siano le digressioni. Un po' come in Gogol, solo che Gogol alla fine tornava a poma, mentre tu ti ci perdi". Il resto è stato lettura di pagine del romanzo, alla quale Imbeni spingeva Cornia, "per via - diceva - di quel suo curioso modo di leggere che fa sembrare che lui sia il primo a meravigliarsi delle cose che ha scritto". (*)

Quella sera, era il 2007, Ugo Cornia presentava Le pratiche del disgusto e tra il pubblico c'era quasi tutto il direttivo di Barabba, senza contare il vecchio malvissuto in qualità d'intervistatore a tener banco insieme allo scrittore. All'epoca volevamo fare una rivista, volevamo chiamarla, pensa te, Barabba. Dopo la presentazione, seduti a un tavolo in un baretto rumoroso della città, Ugo ci disse: Dai, stiam facendo una cosa che si chiama Accalappiacani, venite anche voi. Noi rifiutammo gentilmente dicendo che volevamo farcela da soli. Furbi.

lunedì 20 settembre 2010

Biografie essenziali (89)

Quando pubblica il suo primo romanzo, Verstörung (1967, trad. it. Perturbamento), beh, si capisce subito che Thomas Bernhard non lavora all’ente turismo della Stiria.

Biografie essenziali (88)

Giovanni Maria Mastai Ferretti era nato sotto il temporale, ci ha vissuto quasi ottant'anni e pensava di doverci passare tutta la vita, col temporale. Poi un giorno gli hanno aperto la porta e il temporale è finito. Beato lui.

domenica 19 settembre 2010

Cronache di una sorte annunciata: il blog

Come da oggetto, ma tanto lo sapete già, Cronache di una sorte annunciata è diventato un blog:

Pubblicheremo lì, d'ora in poi, tutte le robe relative alla sfiga. Da queste parti, invece, continueremo a barabbare come sempre. Grazie ancora. Fine dello spam.

sabato 18 settembre 2010

Barabbisti dal volto umano (4)

Tipo Cosimo Frittere, il Many e Ranchero Caborca, nell'ordine. click.

Cronache di una sorte annunciata: mineros

[Ecco il pezzo letto ieri. Ancora un abbraccio a tutti i partecipanti]
Buio.
A quella profondità, 700 metri sotto. In quel silenzio. I minatori il silenzio lo cavano assieme alla roccia: un carrello, una tonnellata di roccia, una tonnellata di silenzio. E il silenzio ora frana su di loro, dopo che è franata la roccia.
A quella profondità, nel buio, la terra comincia a digerirti. Ti vengono strani pensieri: pensi che forse sei morto o che sei diventato un minerale. E allora accendi la luce sul caschetto, anche se sai che la luce va risparmiata, e sotto quel fascio, appannato, muovi le braccia e ti controlli. Gratti la polvere. Sì, sono ancora di carne e ossa. Poi spegni la luce.
Buio. Attraversato da qualche fascio di luce.
Qualcuno fa due passi e tiene il palmo sulla parete umida della galleria, intramezzata dai piedritti di legno. I fasci di luce appesi alle teste dei compagni lo seguono. Per vedere dove va a parare. Forse conosce un’altra uscita. A quella profondità, dopo la frana, bastano due passi, alla cieca, per sperare. Poi quell’uomo si ferma e torna seduto. Le luci dei caschi si scuotono da destra a sinistra. No, nessuna uscita.
Un gruppo di minatori parla.
Si parla per levare la polvere dalla bocca, ma non si ascolta. Più che parlare si controllano i livelli, come si fa con l’automobile. Si controlla che tutto funzioni, ma non si va da nessuna parte. E così si parla, quando non si tossisce.
Minatore 1: domenica sono stato allo stadio. Meglio se andavo in chiesa.
Minatore 2: il segreto per l’empanada è che non ci deve essere troppo tonno
Minatore 3: Déjate caer, déjate caer, la tierra es al revés
Minatore 1: Se mi salvo, ci vado tutti i giorni, in chiesa […] Forse la Madonna non vuole che ci vado, allo stadio […] Forse non tifa il San José!?
Minatore 2: tace e pensa all’empanada della madre.
Minatore 3: La sangre es amarilla, déjate caer

Buio. Le poche luci accese traballano. I volti illuminati spalancano le bócche. Le barbe si rizzano.
Un’altra frana. Grida di minatori salgono su per la gola della miniera, come sonde per le misurazioni. 700 metri. 700 metri sotto il deserto, non sono pochi. La camionetta che porta i minatori al lavoro ci impiega più di mezz’ora per arrivare agli scavi. D’inverno si parte coi giacconi, ma lì giù c’è una sola stagione. Fra i trentasei e i trentotto gradi. E i minatori schérzano e dicono alle mogli che non vanno a lavorare, ma vanno in vacanza ai tró-bucos. Come dire tropicos, ma col buco.
Buio.
Ecco come è fatto il destino. Quella mattina si scherzava con l’autista. Vai piano che ci ammazzi. Vai piano che non c’è fretta, che siamo in vacanza. Sempre la storia dei tró-bucos. E poi si scopre che il destino ha una sua tettonica, perfetta, ad orologeria. Che la camionetta fa in tempo a scendere e a salire prima che la frana blocchi la galleria.
Tu resti nel sottosuolo, a quella profondità, in quel silenzio, e quella camionetta che ora deve sfrecciare nella distesa di Atacama ti sembra proprio l’immagine della buona sorte. La buona sorte che fila via da te, lontana, senza un ostacolo.

venerdì 17 settembre 2010

Cronache di una sorte annunciata: un ebook, anzi due

- Accettate la sfiga - una specie di introduzione -

Ci abbiamo preso gusto. Dopo il successo di Schegge di Liberazione (e se non sapete di cosa parliamo, peste vi colga) noi barabbisti ci siamo raccolti intorno a un tavolo e abbiamo deciso di rifarlo, un ebook, un altro, magari meno “impegnato” del primo. Così, per vedere se ci riuscivamo ancora.
Il decennale del Festival di Filosofia sul tema della “fortuna” ci ha dato l’idea e abbiamo subito diramato l’appello agli scrittori della rete: accettate la sfiga, abbiam detto loro, mandateci dei racconti, dei saggi, delle foto, dei disegni, vogliamo fare un ebook sulla sfortuna, dai, accettate la sfiga.
L’hanno accettata, loro, in tanti. Il risultato è raccolto qui, in due volumi. Cronache di una sorte annunciata è un titolo di (s)fortuna, non ci veniva in mente niente e abbiamo optato per un misero calembour. Se non vi piace, eh, sfiga.

Buona lettura.


- Cronache di una sorte annunciata -

Volume 1
: si scarica gratuitamente in pdf qui o nella sua forma economica ed ecologica, sempre in pdf, qui. Per gli amanti del libro elettrico, invece, qui c'è l'epub e qui il mobi.

Volume 2
: si scarica gratuitamente in pdf qui o nella sua forma economica ed ecologica, sempre in pdf, qui. Per gli amanti del libro elettrico, invece, qui c'è l'epub e qui il mobi.


- Ringraziamenti -
Grazie.


(Note: ringraziamo infinitamente il buon Alessandro Bonino per la supervisione attenta e la consulenza nella creazione dell'epub; e ringraziamo in maniera inimmaginabile la paolina per la creazione del mobi per Kindle --- putroppo nei formati epub e mobi non sono visibili fotografie e disegni, presenti invece nei due formati pdf; stiamo lavorando per risolvere il problema --- Se trovate dei refusi, eh, sfiga... no, scherziamo: cominicatecelo al solito indirizzo marcomncrd chiocciola gmail punto com)

giovedì 16 settembre 2010

Aria

Post ispirato dal precedente post

Ricordo che una volta un professore ci disse che se Aristotele avesse viaggiato nel tempo sino a giungere ai giorni nostri, non solo non avrebbe capito nulla di filosofia, ma sarebbe addirittura morto perché incapace di respirare l'aria che respiriamo noi.

mercoledì 15 settembre 2010

Che nervoso

Ci son delle cose che mi fanno venire un nervoso, ma un nervoso, che non riesco neanche a scrivere quanto è il nervoso, tanto è il nervoso. Mi fan venire il nervoso quelli che dicono "se fossi stato il tal personaggio storico-letterario, che cosa avrei fatto?" Eh, cosa avresti fatto? Avresti fatto la stessa cosa del personaggio storico-letterario: eri lui. O no? Che nervoso. E poi mi fan venire il nervoso quelli che dicono "Ah, se il tal personaggio storico-letterario fosse qui, cosa direbbe di questa cosa?" Cosa direbbe di questa cosa? Eh, boh, cosa ne so? Cosa dobbiamo fare, mettere le parole in bocca ai morti storico-letterari che neanche conosciamo? Che nervoso. Peggio ancora, mi fan venire il nervoso quelli che dicono "Ah, se il tal personaggio storico-letterario fosse qua, di questa cosa qui direbbe sicuramente così." Eh, guarda, sicuro. Ma cosa ne sai? Cosa fai, metti le parole in bocca ai morti storico-letterari che neanche conosci? E se invece, il personaggio storico-letterario, di quella cosa lì, avesse detto: che cosa vuoi che me ne freghi a me? Bella figura che ci faresti. Che nervoso. Ma quelli che mi fan venire il nervoso più di tutti son quelli che scrivono le cose, le opere teatrali, i racconti, i romanzi, e prendono i personaggi storico-letterari e li fan venire qui, nel contemporaneo, e poi gli fanno commentare il contemporaneo, ma con la loro testa da personaggi storico-letterari inventati provenienti dal loro tempo storico-letterario. Eh, bravo gigio. Ma cosa fai? Porti qui i personaggi storico-letterari? Ma se anche Dante, mica un cretino, è dovuto andare lui da loro? Cosa ne sai te? Cosa pensi, di conoscere così bene un morto da esser sicuro che direbbe quelle cose lì se venisse qui? Ma sei a posto? Magari non direbbe quelle cose lì, se venisse qui, magari lui, il personaggio storico-letterario, catapultato dal suo tempo storico-letterario qui da noi nel contemporaneo, secondo me, gli verrebbe solo un gran nervoso, ma un nervoso, che non riuscirebbe neanche a scrivere quanto è il nervoso, tanto è il nervoso.


(Non me ne voglia Tiziano Scarpa, ma questo post
me l’ha ispirato lui)

martedì 14 settembre 2010

Cronache di una sorte annunciata: appuntamenti

Si apre e poi si richiude subito in un sorriso la forza indomabile e bella degli sfigati, che è nelle crepe, nelle onde, nei dettagli e nei tartagli. E che da sempre serve a tutti per guarire il mondo.
(L’ha scritto Bruno Tognolini per il Cabudanne de sos poetas di Seneghe dell’anno scorso, il resto si trova qui - via Paolo Nori)

Insomma, è fatta. Abbiamo accettato la sfiga, i gatti neri son sul ciglio delle strade e pronti allo scatto, i gufi roteano gli occhi anche al mattino, il sale capitombola sul tavolo e non c'è ferro e non c'è legno che possa salvarvi al tocco. Cronache di una sorte annunciata, l'ebook, è quasi pronto. Di seguito gli appuntamenti, le pacche sulle spalle, le consolazioni:
Se qualche volenteroso tra di voi vuol venire a leggere il proprio pezzo o un pezzo altrui al Mattatoio, venerdì 17, non esiti a contattarmi al solito indirizzo marcomncrd chiocciola gmail punto com. Per il resto, non abbiate timore, passate pure a trovarci. Useremo la mano libera per stringere la vostra.

lunedì 13 settembre 2010

Primo giorno di scuola e manici di scopa

Il primo giorno di scuola in quarta elementare, me lo ricordo bene, mi son seduto al banco e ho cominciato a chiacchierare con Gabriele, lì di fianco, e c’era questa discussione infinita su chi dovesse fare Michelangelo e chi Donatello – stiam parlando delle Tartarughe Ninja, per capirci.

Io ero stato Michelangelo tutta l’estate, e mi ero fabbricato un paio di nunchaku con due pezzetti di legno, una corda e dei chiodini. Li usavo spesso al pomeriggio, quasi tutti i giorni, al parco con Gabriele, che invece era Donatello e aveva un bastone bō abbastanza brutto fatto col manico di una scopa svitato dalla scopa. Me li aveva invidiati tutta l’estate, i miei nunchaku, tanto erano belli.

Quel primo giorno di scuola in quarta elementare, però, me lo ricordo bene, la questione era che la Marcella, la biondina più carina della classe, che aveva il banco davanti al nostro, a un certo punto si era girata e ci aveva detto Vengo anch’io a giocare con voi, oggi pomeriggio, faccio April. A noi questa cosa ci mandava in tilt: April, ci risultava, nel cartone stava con Donatello e Donatello era Gabrilele, e a Gabriele piaceva la Marcella, e anche a me piaceva la Marcella, però io ero Michelangelo. Un bel casino.

Siamo rimasti seduti al banco a contrattare anche per la ricreazione, stavamo addirittura rischiando una nota, così, appena tornati dalle vacanze. Mi toccava usare l’unica moneta di scambio che avevo per diventare Donatello, che nel cartone non era simpatico come Michelangelo, e all’inizio avevo pure fatto il diavolo per essere Michelangelo, perché tutti volevano essere Michelangelo, all’inizio, e invece l’avevo spuntata io. Ma adesso era diverso, adesso bisognava fare Donatello per stare con April, la Marcella, solo che Donatello era Gabriele. E insomma, sul piatto ho messo i miei nunchaku.

Quel primo giorno di scuola in quarta elementare, mi ricordo bene, a un certo punto ho messo la mano sul grembiulino di Gabriele e gli ho detto Dammi pure il tuo manico di scopa. È un bastone bō, mi ha risposto lui. È un manico di scopa, gli ho detto, ti do i miei nunchaku e faccio Donatello, tu fai Michelangelo, io sto con la Marcella e tu ti tieni i miei bellissimi nunchaku, te li regalo: o così o niente. Ok, ha risposto Gabriele.

Così al pomeriggio abbiamo fatto lo scambio, e mi piangeva il cuore, ma in fondo ero contento perché diventavo Donatello e stavo con April.

Solo che al parco, dopo il primo giorno di scuola in quarta elementare, ahimè, mi ricordo bene, April, la Marcella, non è mica mai venuta. Abbiamo aspettato un bel po’, ma niente. Eravamo lì, io e Gabriele, lui a fare Michelangelo coi suoi nunchaku fichissimi, io Donatello, imbronciato, appoggiato a un manico di scopa che mi faceva anche un po’ schifo. Lui roteava quei meravigliosi bastoncini collegati dalla cordicella fissata sui chiodini e saltellava, e io, secondo me, se non ricordo male, l’ho mandato a cagare.

Quella sera decisi di smettere di giocarci e pure di guardarlo, il cartone, per la rabbia e per il nervoso e la delusione e i nunchaku e l’amore perduto. Metti che poi April si fidanza con Michelangelo, ho pensato, metti che molla lì Donatello e sposa Michelangelo, non ci voglio neanche pensare, pensavo.

Il secondo giorno di scuola in quarta elementare, mi ricordo bene, dopo la ricreazione vedo che sotto il banco, nello scomparto di lamiera che noi chiamavamo “sottobanco”, ci sono i miei nunchaku. Mi giro verso Gabriele e lo vedo che mi sorride con uno di quei sorrisi dell’amicizia che non so spiegare, ma ci siamo capiti. Sotto i nunchaku c’era un bigliettino. Quando l’ho aperto mi veniva quasi da piangere, ma non potevo, perché ero un maschietto e c’erano delle regole da rispettare. C’era scritto: Cowabunga!

Ti riporto il tuo bastone bō, ho detto subito a Gabriele.
No, dai, mi ha risposto, è un manico di scopa. Ne faccio un altro.

Biografie essenziali (87)

Jean Claude Izzo, come nei veri gialli, ci ha lasciato prima che potessimo sapere i nomi dei colpevoli.

Biografie essenziali (86)

Dashiell Hammett scriveva come viveva, anzi, nella sua vita c'era molto più comunismo.

sabato 11 settembre 2010

Pensieri in apnea: a-mare-ggiamenti

Venticinquesima puntata

"Odio l'estate. Datemi l'inverno, voglio l'inverno, o almeno l'autunno..." (Rossella P.)

"Adoro l'estate perché puoi non usare il deodorante per mesi." (Chiara R.)

"Avete una manovra di Heimlich?" (Filippo B. aka Dj Klaus Augenthaler al ristorante)

"Non siamo sempre così, a volte siamo anche peggio." (Gioia C. al ristorante)

"Paesaggisticamente parlando di notevole a Marina di Ravenna c'è solo l'acqua, non puoi mica definirlo mare quel coso piatto lì davanti, la pineta che sembra una foresta primordiale e sembra che da un momento all'altro salti fuori un brontosauro, e le bariste dell'Hana-Bi, quelle son davvero fantastiche." (Carlo Dulinizo)

venerdì 10 settembre 2010

Hop hop hop: ebook collettivi, strategie di reclutamento e socialcosi

È il titolo di un intervento che farò domenica 26 settembre al WriteCamp durante la BlogFest di Riva del Garda. Se quest'ultima frase, per voi, è arabo, non preoccupatevi: state benissimo.
Quel giorno, nei dieci minuti più domande a mia disposizione, parlerò, credo, di come abbiam fatto a mettere insieme Schegge di Liberazione e Cronache di una sorte annunciata.

Durante la BlogFest ci sarà una specie di notte degli oscar della blogsfera. Leonardo spiega bene per chi dovreste votare. Noi votiamo Leonardo.

Infine, appiccico tra le Cianfrusaglie, nella colonnina qui a fianco, una cosa che vi informa, se passate da queste parti, che alla Blogfest io ci sono. Se vi va, ci vediamo là. È gratis.

Non sono mai stato a un BarCamp, nemmeno da spettatore. Ma ho discusso una tesi in ingegneria, quasi sei anni fa. Ce la posso fare, no?

giovedì 9 settembre 2010

Cronache di una sorte annunciata: la scrofa di Falaise

Questa è la sfortuna capitata a una grossa scrofa di Falaise. Quella mattina del 1386 una grossa scrofa di Falaise ha fame e finisce che si mangia un bambino. Colpa sua se aveva appetito? E se quello era proprio un bocconcino? Così la grossa scrofa prima si busca le bastonate e poi le fanno un processo, col giudice e gli avvocati. Un processo coi fiocchi. E capita che la condannano alla forca, che quando il boia lo viene a sapere quasi quasi gli prende un colpo. E poi c’è il fatto che per giustiziarla come si deve, la scrofa di Falaise, che in fin dei conti anche lei è una creatura di dio, decidono di vestirla da cristiana. E a quel punto anche al sarto del paese, quasi quasi, gli prende un colpo. E come se non bastasse il giudice ha ordinato ai contadini di portare le altre scrofe, a vedere l’esecuzione. Così imparano, dice il giudice. E così, arrivato il giorno, la bella piazza di Falaise si riempie dello sterco di tutte quelle scrofe e il visconte, seduto nella puzza, è molto seccato a vedere che il paese si è trasformato in un porcile. E va a finire che alla grossa scrofa di Falaise, vestita proprio come una cristiana, con la gonna e tutto il resto, le mozzano il grugno e una coscia e la impiccano in un tanfo che anche il boia col cappuccio si deve turare il naso. E la lasciano appesa un po’ e poi prendono la carcassa e la legano a una giumenta e le fanno fare dieci giri della piazza, mentre i contadini se la ridono o imprecano o tutte e due le cose e le scrofe se ne fregano. E poi prendono quello che ci rimane della carcassa della grossa scrofa di Falaise e mica ci fanno dei prosciutti, dei salami o delle salsicce, ma accendono un gran fuoco e lo bruciano. E Deus lo vult. E questa è la sfortuna capitata a una grossa scrofa di Falaise. E nella chiesa di Sainte Trinité ci hanno pure fatto un affresco per ricordare il grande avvenimento. E se questa storia vi sembra assurda, non temete, che è tutto vero.

Cronache di una sorte annunciata: deadline!

Avete tempo fino alle 23.59 del giorno 9 settembre (toh, guarda, è oggi) per la consegna. L'indirizzo è sempre lo stesso: marcomncrd chiocciola gmail punto com. Svelti, accettate la sfiga.

mercoledì 8 settembre 2010

Cronache di una sorte annunciata: penultimo minuto

Dovevo andare all'ufficio postale a rifare la postepay, che pochi giorni prima mi avevano rubato lo zainetto.
Allora mi ero detta Via, andiamo alle Poste Centrali che sono aperte anche di pomeriggio. E avevo pensato Facciamo pure un po' di foto a questa Bologna così silenziosa, così vuota e chiusa per ferie che cammini in giro e ti sembra di stare a Pompei.
E così ho fatto.
Pomeriggio del 12 agosto, bicicletta, schivare il primo Fiorino che girava contromano sotto casa, facile, carreggiate libere, parcheggi liberi, gioie da città sottopopolata.
Lavanderia chiusa per ferie, bar chiuso per ferie, negozio di elettrodomestici "Chiuso per un riposino, a rivederci il 17", fotografo chiuso per ferie, tabaccheria aperta "Superenalotto Jackpot 11.490.973 €", edicola chiusa per ferie, pizzeria chiusa per ferie, calzolaio "Riapro il 28\08\2010", etc.
Camminavo in giro e, se non proprio Pompei, che comunque poco ci mancava, mi veniva il dubbio che magari mi stessero facendo la Finale dei Mondiali di nascosto. Tipo "Italia-Brasile", così, a mia insaputa. Scusi, cosa sta facendo l'Italia?, avrei voluto chiedere a trabocchetto al primo passante che mi fosse capitato a tiro, però peccato, l'unica passante del 12 agosto ero io, che stavo andando alle Poste Centrali a rifare la postepay.
Però peccato, perché le Poste Centrali, il pomeriggio del 12 agosto, chiuse, pure le Poste Centrali. Allora ho fatto una foto e ho ripreso la bicicletta per tornare a casa. Però peccato, perché quando ho ripreso la bicicletta la bicicletta era rotta. E niente, allora ho cercato un biciclettaio, ma il 12 agosto, peccato, col biciclettaio "Ci rivediamo il 30 agosto. Buone ferie".
Di sera dopo volevo andare a guardare le stelle, ma alla fine mi sono detta che il 12 agosto le stelle non si sa mai, era meglio stare in casa. Allora sono andata sul terrazzo e ho mangiato dei fru-fru.
Come si chiama? Si chiama sfiga, e cosa vuoi fare, io l'ho accettata.

Accettatori di sfiga, inviate le vostre sfighe dell'ultimo minuto (che dicono essere tra le più efficaci!) a marcomncrd chiocciola gmail punto com, le ritroverete in Cronache di una sorte annunciata, il nuovo e-book in uscita il 17 settembre.

martedì 7 settembre 2010

Cronache di una sorte annunciata: ispirazioni

"Ho smesso di fumare. Vivrò una settimana di più e in quella settimana pioverà a dirotto." (Woody Allen)

"La pioggia è quella cosa che fa crescere i fiori e scomparire i taxi." (Anonimo)

"Ebbe la sfiga di finire i suoi giorni in galera. Ma per fortuna era completamente innocente." (Paco D'Alcatraz)

"Massimo Giuliano era l'eccellente doppiatore di John Belushi. Quando si dice la sfiga: una carriera stroncata dagli eccessi di un altro." (Lella Costa)

"Sono il più grande teorico della figa in Italia e il più grande pratico della sfiga in Europa." (Dario Vergassola)

"La fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo." (Roberto "Freak" Antoni)

Bene, ora avete tempo fino a dopodomani 9 settembre alle 23:59 (barabb-ora locale) per inviare qualsiasi cosa vi sia venuta in mente in merito alla malasorte e al suo seguito e strascico di persone, cose e fenomeni (para)normali, all'indirizzo marcomncrd chiocciola gmail punto com. L'ebook, summa di tutte le nostre tragicommedie, vedrà la luce del web venerdì 17 settembre e verrà proclamato pubblicamente al FestivalFilosofia di CarpiModena e Sassuolo il giorno seguente.

Siate brevi, concisi e felici. Alla fine, accettate la sfiga...

lunedì 6 settembre 2010

Dicono di noi

Ieri pomeriggio c'era un banchetto di Barabba, un barabbanchetto, all'interno di una rassegna dedicata all'editoria indipendente nella Festa del PD di Modena. Non che Barabba c'entrasse qualcosa con l'editoria indipendente, ieri, ma è stata una bella giornata, avevamo un paio di copie di Schegge di Liberazione da sfogliare e dei volantini per la prossima uscita sfortunata da distribuire; poi sono arrivati a trovarci un sacco di amici, si son fatte delle chiacchiere pregevolissime con le anime belle dell'internet e abbiamo bevuto, come si dice, in maniera fluviale.

Mentre eravamo lì, a cazzeggiare e a bere e a divertirci, gente del mondo della cultura e dello spettacolo che passava da quelle parti si è fermata al barabbanchetto per lasciarci dei pensierini scritti su pezzetti di cartoncino adesivo. Dicevano così:

"Buonasera. Si sente se parlo così? Bene, saluto Barabba, intanto." (Paolo Nori)
"Non leggo nient'altro." (Carlo Pastore)
"Mio figlio, ho pensato, lo chiamo Barabba." (Gianna Nannini)
"Rivendica la proprietà della punteggiatura." (Giorgio Assumma)
"Barabba non ha ragione." (Augusto Minzolini)
"...puntai 50 dollari su Barabba, e mi diressi al bancone del bar" (Charles Bukowski)
"Ho studiato latino su Barabba. Che fatica!" (Belen Rodriguez)
"Eravamo io, Barabba, il Subcomandante Marcos e gli Inti Illimani..." (Gianni Minà)
"E chi non legge Barabba, peste lo colga." (Ugo Pagliai)
"Meno male che c'è Barabba." (Giovanni Lindo Ferretti)
"Leggere Barabba fa bene al cuore" (Francesco Alberoni)
"Anche Lui, ogni tanto, lo legge." (Sandro Bondi)
"C'era un post di Bud Spencer che ho letto su Barabba." (Niccolò Ammaniti)

"Lo volevamo al Milan, Barabba, ma non ci siamo intesi con la loro società." (Adriano Galliani)
"Barabba... alla fine muoiono tutti." (William Shakespeare)
"E leggeremo Barabba, lo leggeremo alla brutto Dio!" (Carlo Dulinizo)
"Associato ad una dieta corretta e ad un'attività fisica costante, Barabba è il segreto della longevità mediterranea." (Luciano Onder)
"Leggevamo Barabba / nelle balere estive / mentre nella mia dacia / l'afa ci soffocava." (Franco Battiato)
"Barabba, per dire, era l'uomo col fucile." (Clint Eastwood)
"Spegni la televisione, dico a mio figlio, spegnila! E leggi Barabba." (Raffaele Morelli)
"Barabba ha rivoluzionato l'idea della forma-concerto nella musica classica contemporanea." (Luciano Berio)
"Barabba ha sempre da fumare." (Vasco Brondi)
"Quando la persona è niente, l'offesa è Barabba." (Anna Tatangelo)
"Barabba giustifica i mezzi." (Niccolò Machiavelli)
"Il segreto di Barabba è lo strutto." (Antonella Clerici)
"Darei la vita per Barabba." (Gesù di Nazareth)
"Ero lì che costruivo quadrati sui cateti, poi ne costruisco uno sull'ipotenusa e passa Barabba. «Sono uguali, veh!» mi dice. E da lì..." (Pitagora)
"Barabba l'ho scritto io." (Umberto Eco)
"Il cielo stellato sopra di me, la legge di Barabba dentro di me." (Immanuel Kant)
"A me queste cose con la gente della Bibbia, boh." (Piergiorgio Odifreddi)
"Barabba ha dato il via a mani pulite." (Ponzio Pilato)
"Sì, stasera sono qui, per dire al mondo e a Dio, Barabba amore mio." (Emanuele Filiberto di Savoia)
"Prima mi sembrava d'aver visto la mia ex, invece era Barabba, per fortuna." (Ilke Bab)
"Barabba, io so' stato co' la sorella. Che tempi, te nun lo pòi capì." (Franco Califano)
"Come può un blog / arginare Barabba?" (Mogol)
"This time for Barabba." (Shakira)
"Barabba è una cazzo di fottuta opera d'arte." (Vittorio Sgarbi)
"Eh, la barabbità." (Platone)
"L'heautontimorumenos, bandiera rossa, Silvia inferno. Due." (Edoardo Sanguineti)
"Barabba è ok, ma il Vecchio Testamento era molto meglio." 3.2 (Pitchfork)
"Ho deciso, i prossimi libri li pubblico con Barabba." (Vito Mancuso)
"Barabba, cassa dritta, quattro quarti e via andare." (Samuel Reynolds)
"Barabba è quasi come internet." (Alessandro Bonino)
"Barabba lo leggi poi a casa tua." (Roberto Calderoli)
"Certe notti la radio si sbaglia, allora leggo Barabba." (Luciano Ligabue)
"Before I sink / into the big sleep / I want to read / a post on Barabba." (Jim Morrison)
"Nel mio intimo c'è Barabba." (anonimo)
"Lo dirò una volta sola: Barabba si scrive con l'accento sulla seconda A." (omissis)
"iBarabba. Ci penseremo." (Steve Jobs)
"Avessi letto Barabba, sarebbe andata diversamente." (David Foster Wallace)
"Scusa ma leggo Barabba." (Federico Moccia)
"Ho visto cose che voi umani [...] ero su Barabba." (Philip K. Dick)
"Infattamente, allora, co' u pilu, Barabba." (Cetto Laqualunque)
"Io quanto che aveva le mane sporche de terra penzave Barabba." (Vincenzo Rabito)
"Lo leggo prima dello yogurt. Funziona." (Alessia Marcuzzi)
"Uh-la uh-lalaaa Bara-bah Ba-ra-baah." (Lady Gaga)
"Leggendo Barabba era tutto un turbine elettrico e Rimbaud." (Patti Smith)
"Eh, Barabba è, sì, è una cosa che, cioè, la leggi e, così, capisci che, eh cioè, va bene." (Vasco Rossi)
"Una stanza buia. Vuota. Accanto al cadavere un pc acceso su un blog. Barabba." (Carlo Lucarelli)
"Sonny faceva sempre i popcorn e Barabba li mangiava." (Cher)
"Meglio degli Arcade Fire." (Marco Manicardi)

sabato 4 settembre 2010

Cronache di una sorte annunciata: pastorale

Riattaccò sopra la scrivania il ritratto senza vetro dell'impassibile Conte e poi, come se ascoltare persone che ciarlavano senza tregua di questo o di quello fosse il compito assegnatogli dalle forze del destino, lasciò l'inferno in cui si era avventurato per tornare alla solida e metodica buffonata della cena. Era tutto ciò che gli restava per non perdere il controllo: una cena. L'unica cosa cui poteva aggrapparsi mentre la grande impresa che era stata la sua vita continuava a sfrecciare verso la distruzione: una cena.
(Philip Roth, Pastorale americana - Einaudi, 1998, p.380)
Uno spunto per gli sfigografi. Avete tempo fino al 9 settembre, mandate la vostra produzione a marcomncrd chiocciola gmail punto com.

Cronache di una sorte annunciata, l'ebook, verrà pubblicato sul web, neanche a farlo apposta, venerdì 17 settembre in occasione del gran galà d'apertura del festival filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, e verrà letto pubblicamente (da qualche parte, in qualche modo) sabato 18 settembre durante la notte bianca.

Accettate la sfiga.

giovedì 2 settembre 2010

Vite dei filologi: Joseph Bédier (2)

Poi, nel 1913, con l’edizione del poemetto Lai de l’Ombre di Jean Renart, la messa a punto di un metodo di edizione tutto suo. Un colpaccio che gli varrà un capitoletto in tutti i manuali di filologia romanza, «Il bediersimo», e che per qualcuno inaugura la ‘terza era’ della filologia, dopo quella empirica del Rinascimento e quella rigorosamente scientifica del lachmannismo. Se, dai tempi del Lachmann, il passatempo preferito dai filologi – la récréation philologique – è stato quello di schematizzare le tradizioni manoscritte in forma di stemma codicum – qualcosa a mezza via fra un albero genealogico e un quadro astratto –, incasellando tutti i testimoni di una data opera in famiglie e sottofamiglie, Bédier fa notare che, nella maggior parte dei casi, ecco, questo nobile esercizio non è più utile all’editore di una seduta di Settimana enigmistica. Meglio tornare allora, con qualche accorgimento, al criterio del codex optimus, lui lo chiama bon manuscrit, di umanistica memoria: si tratta, in pratica, di basare l’edizione di un’opera antica sul testimone giudicato più affidabile e autorevole tra quelli conservati, senza inventarsi niente, senza correggere, anche quando la lezione trasmessa non è delle migliori.

Il terremoto che segue non risparmia nessuno e a scorrere il ruolino degli interventi e delle querelles, sembra di assistere a un torneo di pesi massimi: Bédier VS la memoria del suo maestro Paris, con cui aveva già curato, per la laurea, un’edizione lachmanniana del Lai de l’ombre (1890) – da qui tanto si è detto del suo controverso rapporto col maestro, scomodando anche Freud; Don Quentin VS Bédier; Pasquali – con la memorabile accusa di ‘dadaismo scientifico’ – VS Bédier; Don Froger e poi Rychner VS il defunto Bédier e i suoi seguaci; bedieristi VS lachmanniani VS new medievalists e così via. A volte, c’è da riconoscerlo, non c’è niente di meglio di una bella rivoluzione per tenere svegli i professori. Kuhn insegna.

Il tardo Bédier, dopo i fuochi artificiali dei primi anni di carriera, dopo gli sconquassi di una guerra mondiale, ci piace immaginarlo come appare nelle ultime foto. Un uomo così appagato, sereno e dignitoso da poter indossare, senza sembrare ridicolo, due voluminosi mustacchi bianchi da moschettiere, arricciati all’insù, eredità del bisnonno Louis Philippe Marie che il moschettiere del re l’aveva fatto per davvero. Bédier. Uno che è il ‘conformismo incarnato’ (Lot). Uno che ama tutto della Francia: Tout ce qui se fait en France est bien parce que français ( ‘Tutto quello che si fa in Francia va bene perché è francese’). Un Seymour Levov d’oltralpe, di cui viene da dire, come di Levov, che ‘al posto dell’anima aveva l’affabilità’. Uno che nel 1920 è nell’Académie française (1920), dove prende il posto del defunto Rostand; uno che al Collège de France frequenta colleghi del calibro di Lucien Febvre, Émile Mâle e Paul Valery e chissà pure Einstein; ma anche uno che sa godersi la vita e che va a pesca nel buen retiro di Le Grand Serre.

Ogni mattina, nella bella stagione, Bédier si sveglia prima dell’alba, beve il suo caffè bollente e si prepara una sigaretta, fumandola di nascosto, perché il dottore l’ha proibito. Poi si veste e prende la canna e parte per la pesca alla trota. L’unica cosa pratica che gli riesce. La mattina del 29 agosto 1938 si sente male, proprio in riva al fiume. Lo portano a casa e le sue ultime parole sono: «Non è niente, non è niente».
Fino alla fine, il solito, pessimo, oratore.

mercoledì 1 settembre 2010

King Kong

King Kong era mio compagno di classe alla Scuola Elementare Anna Frank di Novi di Modena ed era anche mio compagno di squadra nella Ciclistica Novese, quando iniziammo, a metà degli anni ’80, giovanissimi, a correre in bici. Eravamo in terza, lui correva già da un paio d’anni e io avevo appena cominciato. Se ci penso bene, forse, oltre al fatto che mio padre allenava i ragazzi grandi e mi portava sempre alle corse, e che fu lui, il babbo, a mettermi in sella la prima volta per vedere un po' se noi due si riusciva a condividere almeno una passione, se ci penso bene, forse, iniziai a correre perché King Kong portava i suoi trofei in classe, il lunedì, dopo le gare. Vinceva molto. E se non vinceva si piazzava sempre.

King Kong era basso, più basso della media di un bambino di terza elementare. Era così basso che avresti potuto pensare a dei problemi di crescita, cosa non vera, dopotutto, perché poi crebbe come tutti gli altri, anche se oggi è sempre un po’ basso, ma non troppo, non così tanto. Lo chiamavano King Kong per quel motivo, perché era basso. Era basso ma era anche un torello, tamugno, come si dice da noi, e quando c’era da fare delle volate, uno scatto, un colpo di reni, anche in tenera età, era sempre lì davanti, tra i primi, o addirittura davanti ad alzare le braccia.

King Kong era un casertano e portava gli occhiali da vista, da bambino, quando le lenti a contatto stavano solo nei libri di fantascienza e per pedalare dovevi legarti i piedi con i cinturini, che se cadevi eran tutti cavoli tuoi, coi piedi impigliati nella bici. Portava degli occhialetti tondi, King Kong, legati con l’elastico perché non cadessero, in gara e in allenamento, e noi ci chiedevamo come facesse a far fatica, a sudare, ad andare così forte portando quegli occhialetti tondi da vista.

Sono miope, ci diceva lui, e poi li porta anche a Fignonne, o’ professo’.

Laurent Fignon, il professore, come lo chiamavano, è morto ieri pomeriggio, era malato da tempo, un brutto male. Io a diciannove anni con la bici ho smesso, quando lo sport diventò fasullo, dopato, televisivo, antiagonistico. E non ho più toccato una bici da corsa, da allora. King Kong smise di correre un po’ più tardi, un paio d'anni dopo, aveva già moglie e figli e un lavoro da muratore per costruirsi una casa tutta sua, dove abita ancora. Lui, però, non ha mai smesso di andare in bici, anche se oggi lo fa per diletto, non per competere con qualcuno, non per i colpi di reni e per le volate e gli scatti. Lo fa perché gli piace.

Lo vedo, a volte, mentre torno dal lavoro in macchina. Vedo King Kong da solo, al sole, per la strada, tutto bardato e con la bici sempre pulita, la testa bassa a tagliare il vento. Ogni tanto ha gli occhiali da sole, ogni tanto le lenti a contatto, ogni tanto gli occhiali da vista, degli occhialetti tondi e legati con l’elastico per non farli cadere. Come a Fignonne, come o’ professo’.