giovedì 30 dicembre 2010

Dieci momenti barabbisti del duemiladieci secondo il Many

(siparietto emo)

* La prima volta che ho letto di mio nonno in pubblico, che poi era la prima volta in assoluto che leggevo in pubblico, a Bologna, in mezzo a un campo vicino alla tangenziale, c'era il festival delle culture antifasciste e facevamo Schegge di Liberazione per la seconda volta, avevo un foglietto in mano e mi tremavano le gambe.
* Il WriteCamp alla BlogFest, una specie di Cabaret Voltaire dell'editoria digitale, l'elogio leonardesco e il link di Mantellini. Son cose.
* Conoscere l'elena, al Mattatoio, alla prima di Schegge di Liberazione, e dopo trenta secondi buttarla sul palco a leggere. E l'ukulele di Simone Rossi e il contrabbasso di Bicio, cose che mai più senza.
* Conoscere Ilke Bab un po' per caso. Una di quelle conoscenze che ti aprono la testa in due.
* Quella volta che a Simone Rossi gli han chiesto “Anche tu sei un barabbista?” e lui ha fatto sì con la testa, con quel suo sorrisone giapponese che fa sciogliere le pietre.
* La felicità del dulinizo nello scoprire che, all'insaputa dell'autore, gli avevamo confezionato un ebook.
* I nasi rossi durante le Cronache di una sorte annunciata, Calamelli che ci fotografa, Leonardo che infiamma le folle.
* La benedizione di Sir Squonk.
* Scoprire che se conosci un blogger quello non è che ti allunga la mano e la stringe piano, no, quello ti guarda e ti abbraccia. Tra blogger ci si tocca un casino.
* La Grecia dei benty.

(e Cerreto, il Pigneto e le Mura e il roghenroa e la macchina di Mod, l'abominevole Perugia, la Venezia ser(en)issima, Radio Kairos e il colonnello Buonasera, il Meme con la neve, Milano con la nebbia, ma avevamo detto dieci e sto barando)

(chiuso siparietto emo)

martedì 28 dicembre 2010

lunedì 27 dicembre 2010

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Bresaola che sembra una roba seria per due

Comprate la bresaola più buona che riuscite a trovare. Un etto e mezzo a testa. Costa l’ira di Dio, la bresaola, anche se c’è scritto Valtellina e in realtà è Valpanaro.
Mettete due mazzi di asparagi a bollire in abbondante acqua salata. Gli asparagi vi faranno venire la pipì che puzza. Fateci caso ogni volta che andate in un bagno di un ristorante dove in un cenone si servono asparagi.
Preparate due uova sode. Prendete due belle uova grosse, di quelle che al supermercato ti fanno capire subito che i polli sono bombardati di luce perché rendano meglio, neanche fossero Varenne.

Tagliate a pezzettini piccoli gli asparagi, dopo averli scolati. Uniteli in una ciotola con le uova sode. Aggiungete olio e aggiustate di sale e pepe, poi mescolate fino a ottenere una specie di composto verde e giallo. Stendete la bresaola nel piatto e adagiateci delle scaglie di grana. Un filo d’olio a crudo, poi nel mezzo del piatto versate il compostazzo di asparagi e uova.

Scaldate delle fette di pane, tipo bruschetta. Se volete fare i rustico-enotecofighetti, ammollate delle friselle pugliesi. Tappatevi il naso quando pisciate, il giorno dopo.

domenica 26 dicembre 2010

Marco Manicardi, Op.1 (Edgard)

Marco Manicardi, Op.1 per voce e sirene (Edgard)

Testi e musiche : Marco Manicardi
Voce: Elena Marinelli
Sirene: Mod, Vincio, Fatacarabina
Composizione e montaggio: Marco Manicardi

[mp3] Marco Manicardi, Op.1, Edgard

venerdì 24 dicembre 2010

Il Babbo Natale in borghese

Qualche ora fa stavo portando in giro il cane e ho pestato una merda di cane, non del mio, di un altro cane. Come tradizione, almeno mia, e lo faccio sempre quando succedono queste cose, ché non ho mai creduto a tutte quelle balle che pestando una merda si diventa fortunati, ho bestemmiato.

C'era un signore con la barba, sembrava Babbo Natale in borghese, o almeno come uno può immaginarsi Babbo Natale in borghese, ché io non ci ho mai creduto a tutte quelle balle di Babbo Natale, e mi ha detto che mi dovevo vergognare, che bestemmiare e nominare il nome di Dio invano era peccato e che secondo lui ero una brutta persona.

Allora io, mentre mi pulivo la scarpa sull'erba, son partito con uno di quei discorsi finti e improvvisati che la prima volta che li fai sembrano tanto naturali e convincenti che ti vien poi da ripeterli, la volta dopo, se capita, ma non ci crede mai nessuno, dalla seconda volta in poi. Mi scusi, ho detto al Babbo Natale in borghese, mi scusi davvero, ma secondo me non ho nominato il nome di Dio invano, anzi, mi vien da pensare che, dato che mi professo orgogliosamente ateo e avverso a ogni religione, mi vien da pensare che bestemmiando io, implicitamente, ammetto l'esistenza di un Dio che normalmente nego e quindi, guardi, secondo me la mia bestemmia è addirittura una preghiera, un modo per colmare il vuoto, e mi vien da dire che è una grande vittoria per la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, una vittoria spiazzante.

Il Babbo Natale in borghese mi ha guardato e si vedeva che sulla sua testa c'era un punto di domanda gigante, e mentre con una mano si grattava la nuca e con l'altra si toccava la barba mi ha detto va bene, non so, non capisco, mi ha detto, comunque tanti auguri e buone feste. Auguri anche a lei, gli ho risposto. E il Babbo Natale in borghese sembrava soddisfatto. Sorrideva. Ecco, mi son detto, ecco lo spirito del Natale.

Poi mi son guardato la scarpa sporca di merda. E così, senza pensarci, son tornato a bestemmiare, ché io non ci ho mai creduto a tutte quelle balle del nome di Dio invano.

________

E comunque, amici dell'internet, a nome di tutto Barabba, auguri.

mercoledì 22 dicembre 2010

martedì 21 dicembre 2010

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Uova al tartufo

Fatevi regalare da una zia ricca (quella di Filini, avete presente?) del Tartufo Nero particolarmente buono. Direte poi alla zia ricca quanto fosse buono quel tartufo, così che possa regalarvelo ogni anno nella giusta stagione. Ogni volta ricordatele del tartufo, sempre di più proporzionalmente con l'età. Ne farete ciniche scorpacciate e rischierete addirittura di ereditare senza che lei non si ricordi di voi e lasci tutto al suo yorkshire terrier.

Fate due uova al tegamino. Non aggiungete niente, neanche il sale. (A dire il vero se volete rovinare tutto con il sale siete liberi di farlo, purtroppo siamo un paese libero). Impiattate.

Grattate il tartufo nero sulle due uova calde, a scagliette. Coprite immediatamente con un altro piatto, in modo che l'aroma tartufesco non scappi. Se avete quei cosi d'argento (fateveli regalare dalla zia ricca di Filini) siete a posto.

Attendete 60 secondi, poi scoperchiate e mangiate. Lentamente, assaporando ogni delizioso boccone. Fate il calcolo di quello che vi siete mangiati in termine di cifre, sedetevi su una sedia e riflettete.

lunedì 20 dicembre 2010

Pensieri in apnea: un ebook

Si potrebbe dire che talvolta il Dulinizo abbia la testa tra le nuvole, ma non è corretto: il Dulinizo ha la testa nell’acqua e, come disse Giovanni Verga, chi cade nell’acqua è forza che si bagni.
Il feuilleton che vi accingete a leggere è il risultato di un viaggio dantesco, dagli spogliatoi della piscina comunale di Carpi (MO) al mare nostrum ravennate, che l’autore ha intrapreso dalla fine del 2009 alla metà del 2010 con l’unico e nobile scopo di ripulirsi mente, anima e organismo. Mens sana in corpore sano, diceva quello.

(dall'introduzione a Pensieri in apnea, di Carlo Dulinizo, Barabba Edizioni, 2010, pagg. 76, 0 euro)

Oggi, 20 dicembre 2010, è il trentunesimo compleanno del buon Carlo Dulinizo, barabbista della prima ora, vincitore di concorsi letterari, lampadiniere, magazziniere, poeta e gran brava persona. Così, tanto per cambiare, abbiam pensato di raccogliere i suoi Pensieri in apnea e di farci un ebook. Lui ancora non lo sa.

Si scarica qui in formato pdf e qui in formato epub.

E ora diciamo tutti insieme: Tanti auguri, Dulinizo!

domenica 19 dicembre 2010

Tagli

La prima cosa che ho detto quando mi hanno rianimato, in sala operatoria, al risveglio dall'operazione per un'ernia ombelicale di cui avevo avuto una paura boia, con un taglio verticale nella pancia e la testa ancora ammorbidita dalla sbornia dell'anestesia totale, è stata “Sto benissimo, son proprio contento di pagare le tasse”.

sabato 18 dicembre 2010

Cinquantamila lire

Io vorrei raccontare la storia di quelle cinquantamila lire che mi aveva dato per Natale mia bisnonna, che si chiamava Galavotti Angiolina, prima il cognome e poi il nome, come d’uso tra la gente nata povera e mezzadra, specie nel 1905, anno di nascita, appunto, di Galavotti Angiolina, detta Bionda forse per il colore dei capelli, non si sa, e non se lo ricorda più nessuno, io li ho sempre visti bianchi, quei pochi capelli.

Vorrei raccontare di quelle cinquantamila lire e di come le avevo spese per comprare un chiodo, perché ero improvvisamente diventato, a dodici o tredici anni, un metallaro per via del fatto che era uscito questo disco che si chiamava Fear Of The Dark, e i miei amici me l’avevan regalato per il compleanno visto che non sapevano cosa regalarmi, e non avrebbero mai immaginato che mi sarei trasformato all’istante in un metallaro.

Vorrei raccontare che quelle cinquantamila lire mia bisnonna Bionda, Galavotti Angiolina, me le aveva regalate per Natale in una busta bianca senza scritte, perché dopo tanti anni che non scrivi, quando poi neanche l’hai mai saputo fare troppo bene, non ti ricordi mica come si fa, e me le aveva regalate, quelle cinquantamila lire nella busta bianca senza scritte, perché non sapeva cosa regalarmi, la Bionda, Galavotti Angiolina, che era nata in un mondo diverso, diceva, e non ci capiva mica niente di come era diventato adesso, il mondo, se ancora si poteva chiamare mondo, diceva sempre, e allora io, con quelle cinquantamila lire lì, avevo iniziato il mio processo di metallarimento.

Avrei voluto poi raccontare che dopo quelle cinquantamila lire lì, mia bisnonna Bionda, Galavotti Angiolina, non mi aveva dato più neanche un soldo, perché secondo lei con quel giubbotto, che le dicevo sempre che si chiamava chiodo, ma lei non capiva perché bisognasse dare il nome di un chiodo a un giubbotto e lo chiamava giubbotto, con quel giubbotto e con quei capelli lunghi lì, secondo lei facevo schifo.

Volevo raccontare delle cinquantamila lire che avevo speso per comprare il chiodo, ma poi è andata a finire che, così come mi ero metallarizzato, mi son poi demetallarizzato quando ho ascoltato questo disco che si chiamava In Utero, e lì è cominciato il mio processo di rockenrollamento che mi ha portato sempre più in là, finché un giorno quel chiodo, dopo che non ci avevo fatto aerografare la scritta “IRON MAIDEN” perché ero giovane e senza soldi, visto che la Bionda, Galavotti Angiolina, di soldi non me ne dava più, dopo che non ci avevo fatto aerografare “NIRVANA” nel mio periodo grunge perché non avevo voglia di farlo, disperso com’ero nel menefreghismo grunge, dopo che non ci avevo fatto aerografare “DISCHARGE” nel mio periodo hardcore perché mi son dimenticato di farlo, dopo che ho capito che se ci facevo aerografare “RADIOHEAD” ero uno sfigato, un giorno, dicevo, il chiodo l’ho messo in un armadio e non l’ho più tirato fuori. E già che c’ero mi son tagliato anche i capelli, belli corti, con la chioma fluente e orribile che è rimasta tutta sul pavimento del barbiere.

E della storia che volevo raccontare delle cinquantamila lire che la Bionda, Galavotti Angiolina, mia bisnonna, mi aveva regalato per Natale e che io ho usato per comprare un chiodo che poi ho messo nell’armadio quando mi son tagliato i capelli, e di come mia bisnonna Bionda, Galavotti Angiolina, avesse poi ripreso a darmi dei soldi della sua pensione dal primo Natale in cui avevo poi i capelli corti e non facevo più schifo, secondo lei, anche se dopo poco tempo è morta, perché così è la vita, specie per una nata nel 1905, anno di nascita, appunto, di Galavotti Angiolina, detta Bionda, ecco, forse, di quella storia lì, non gliene frega niente a nessuno. E allora non la racconto. Però secondo me è un peccato.


(è uscito ieri sul PslA)

venerdì 17 dicembre 2010

Il saluto dell'autorità

(questo post è programmato. In questo momento stiamo leggendo Cronache di una sorte annunciata al Meme di Carpi. Qualche ora fa, alle 17, da un'altra parte sull'internet, invece, è uscito il Post sotto l'Albero, un ebook collettivo vagamente natalizio curato da Squonk. Scaricàtelo, è gratis. I due eventi, ovviamente, mi vien da dire, e forse l'ho già detto da qualche parte, sono parenti. E in questo stesso istante, al Meme di Carpi, sto leggendo il saluto che Squonk ci ha inviato. Dice così:)

Qualche mese fa, era il 24 aprile, stavo a Carpi. Che io a Carpi non ci ero mai stato, e infatti nella gara a chi si avvicinava di più al vero numero dei suoi abitanti arrivai terzo. Su tre, chevvelodicoaffa'. Comunque, dicevo: ero a Carpi, avevo conosciuto da poco un ingegnere (che già quello significava far giornata), mi ero fermato a guardare un'insegna del Partito Repubblicano, avevo fatto quattro conti per comprar casa in centro, poi una pizza e una birra e poi un'altra birra e morale ero al Mattatoio a sentire un'amica che leggeva quattro righe che avevo buttato giù qualche tempo prima, lei aveva la voce ansiosa e io ero sudato per tutti e due.
Le cose che vennero lette quella sera stavano dentro un libro, e quel libro qualcuno di voi lo conosce. Col tempo compresi che quel libro e quello che gli sarebbe venuto appresso, quelle letture, e quella sera e quelle che sarebbero seguite venivano da molti posti e persone e cose diverse, e che tra esse c’era una roba piccola nata otto anni fa, una roba fatta tra amici, una roba che a ben vedere con le schegge e con le cronache non c’entra nulla se non per lo spirito. Questa roba si chiama Post sotto l’Albero, è uscita qualche ora fa: ha lo stesso carattere di chi la mette in piedi, se ne sta per conto suo, nelle feste si sente un po’ a disagio; però ha la sua manciata di persone alle quali tiene, e qui stasera ce ne sono due o tre, e uno è quello che sta leggendo queste righe, uno che se lo conosco adesso si sta vergognando come un ladro però è anche contento. Beh, niente, insomma, a me un po’ dispiace non esser lì a chiudere il mio cerchio del 2010, a Carpi, ma al tempo stesso fa pure piacere che la scena sia di chi la sa tenere e lo merita e lo ha dimostrato (ché, come si sa, i discepoli son fatti per superare i maestri). E allora bon, state bene e godetevi la serata, godetevi l'aria sospesa delle cose finite e delle cose non ancora iniziate, come se fosse venerdì sera, come se fosse estate. C’m on.

giovedì 16 dicembre 2010

Sigarette spente (2)

Qui nella biblioteca della Sala Borsa c'è un signore, si chiama Gianni, è quello che si potrebbe definire un habitué della biblioteca.
Se passi un pomeriggio qua dentro, prima o poi lui ti incontra.
Ti incontra, sì, perché lui in biblioteca cammina, cammina moltissimo. Pensa, osserva i libri, gli scaffali, le persone, e guarda anche qualcosa che vede solo lui, ma sembra vederlo così bene quel qualcosa, che io non mi sento di dire che non esiste, quel qualcosa che vede Gianni, anzi, piuttosto mi viene da chiedermi cosa sarà, quel qualcosa che lui conosce e noi, invece, no.
Ieri Gianni era seduto ad un tavolino della pasticceria che c'è qui dentro alla biblioteca.
Per chi non la conosce, la biblioteca della Sala Borsa, a Bologna, è una biblioteca parecchio grande, con un atrio centrale molto spazioso dove la gente si incontra, si collega alla rete wireless del comune, osserva i resti del cardo e del decumano che stanno sotto al pavimento di vetro, si scalda, dà un occhio alle esposizioni temporanee che ci sono ogni tanto, si riposa, cucca... insomma, un posto vivo.
Per qualche tempo c'è stata anche una libreria, poi l'hanno tolta. In effetti era un po' strano che vendessero dei libri dentro ad un posto dove i libri si prendono in prestito e poi si riportano, gratis. Poi, a dirla tutta, io qualche libro ce l'avevo pure comprato, perché a casa ho ancora la tesserina fedeltà di quella libreria.

Ieri, dicevo, Gianni era seduto ad un tavolino lì nell'atrio, ed era l'unico tavolino con delle sedie libere.
Marta era uscita a comprare le sigarette e io volevo approfittare di quei dieci minuti per controllare delle mail.
Allora, invece di andarmi a sedere per terra, appoggiata al muro, ho chiesto a Gianni se potevo sedermi lì, vicino a lui.
Lui mi ha guardato come se dovesse prima avvertirmi di una cosa importante, poi mi ha detto: Ma io sono un poeta, lo sai questo?
Ho sorriso.
No, non lo sapevo che sei un poeta, so solo che ti chiami Gianni, perché un giorno mi hai salutato e ti sei presentato.
E lui ha continuato, come se non mi avesse ascoltato per niente.
Io sono un poeta bimba, quindi se ti siedi qui devi sapere che io dopo ti regalo una stella, te la lascio nel cielo stanotte, appena vien notte, e poi tu la prendi, la metti in tasca, e dopo ce l'hai sempre, la usi ogni volta che hai bisogno di una luce.
Bam!, ho sentito, al cuore: Bam!, un battito più forte, un'aritmia evidentissima, non un infarto, un'emozione, forte. Ho continuato a sorridere, di più, e oltre alla mimica è arrivato anche il suono del sorriso, quel suono che fa l'aria che esce dal naso quando la bocca non è spalancata.
Perché non era una risata aperta aperta, come me ne vengono a volte, era proprio un sorriso, più gentile di una risata.
Grazie, gli ho detto, è un pensiero molto bello.
Tu, sei molto bella, mi ha detto lui, mi ricordi Patty Pravo, No ragazzo no, no ragazzo no, del mio amore non ridere... La conosci, la conosci? Oh, il miiiio ragazzo, invece, ha riiiiso! E lì Gianni ha iniziato a parlare come se stesse recitando. Il miiiio ragazzo, beeeello, un uomo, beeeello, ah, se l'avessi visto! Ma lui, lui ha riiiiso! Del mio amore! Ha riso!
Schhhhhh, fai piano, gli ho detto, fai piano che ci sono le guardie, aspetta un attimo. Ho acceso il portatile, ho aperto iTunes e gli ho messo, a volume basso, Patty Pravo, La Bambola. Senti, ascolta Gianni. E ci siamo messi a cantarla piano tutti e due, lì sul tavolino della pasticceria della Sala Borsa.
L'abbiamo cantata tutta.

Quando mi ha salutato mi ha detto di ricordarmi della stella, che nel cielo c'era sul serio una stella per me, e poi si è allontanato, con le sue tre buste di plastica piene di non so che cosa.
Dov'è che vai?, ho avuto la curiosità di chiedergli mentre andava via.
A Monaco tesoro mio, a Monaco! Vado a riprendermi il mio amooore!
E mi ha tirato un bacio con la mano.

Io gli ho fatto Sì con la testa e ho continuato a guardarlo con lo sguardo più dolce che mi riusciva.
Poi ho riabbassato gli occhi sul portatile e ho visto che c'era iTunes che ancora andava. Ho alzato un po' il volume e la canzone faceva così: “perché se una rosa è una rosa da quando c'è il mondo io devo cambiare, perché se il mare e il cielo e il sole e il vento non cambiano mai, perché se l'amore è l'amore da quando c'è il mondo io devo cambiare, perché ci son già tante cose che stanno cambiando, l'amore non può”.

Pino Donaggio L'ultimo romantico, sento dire all'improvviso da dietro la mia sedia: è Marta. Mi giro e me la trovo lì, alle spalle, che legge sulla schermata di iTunes. E continua: Ma chi cazzo è Pino Donaggio, Ilke? Ma che cazzo di musica ascolti?
Niente Marta, lascia stare, lo dico sempre che mi vergogno di più a far vedere il mio iPod che la mia biancheria intima.
Ah, fa' te, e ci credo, fai bene! E allora, le mail? Chi t'ha scritto, robe importanti?
No, cioè sì, cioè, da Monaco, mi mandano delle stelle.

Un pugno (o un duomo)

Una volta a me mi han tirato un pugno mentre salivo sull’autobus, perché per sbaglio avevo infilato la mano nella tracolla della cartella di uno, quello che poi mi ha tirato il pugno. E insomma, poi quell’uno s’è dileguato tra la folla della stazione delle corriere e io son rimasto lì con la gengiva sanguinante, lì come un fesso che cercavo di capire cosa stava succedendo. E niente, non ho mai più preso un pugno, poi, dopo, in vita mia. Ma tutte le volte che vedo una folla e un pugno che parte (o un duomo) mi viene in mente quell’episodio lì. E mi capita di impersonarmi per un microsecondo col ricevente del pugno (o del duomo). E quindi ieri per un microsecondo sono stato Berlusconi. Non ho ancora capito come devo prenderla, questa cosa.

(l'avevo scritto circa un anno fa su FriendFeed. Pensa te, è passato un anno, ma non ho ancora capito come dovevo prenderla, quella cosa)

martedì 14 dicembre 2010

Biografie essenziali (98)

Luigi XVI di Borbone, detto il Desiderato, il 14 luglio del 1789 scrisse sul diaro: «Rien».

lunedì 13 dicembre 2010

Il più bel romanzo d’amore che nessuno legge

Barabbisti, lettori carbonari, digeritori dell’indigeribile: il romanzo allegorico medievale aspetta solo voi. Sabato 18, ore 16:30, biblioteca di Correggio, Cosimo Frittere legge e commenta il Roman de la Rose. E si comincia così: ‘Maintes genz cuident que en songes / N’ait se fable non et mençonge’. Clic.

Scene da un autotrasporto

Gli autisti dei container, salvo rarissime eccezioni, non ti ascoltano quando gli parli. Questo, a dire la verità, accade per la maggior parte degli autisti, ma quelli dei container risaltano, soprattutto nella fase di consegna dei documenti. Firmano distrattamente, dopodiché c’è un solo modo perché non se ne vadano: consegnare loro la lettera di vettura che ti hanno dato in precedenza come ULTIMO DOCUMENTO. Altrimenti, appena hanno quella in mano, se ne vanno. A volte ti chiedono “Tutto a posto?”, ma in realtà non ascoltano la risposta. Infatti la scena tipo è

“Tutto a posto?”
“Un attimo, le devo timbrare le fatture”
“Va bene, allora ciaoooo” (se ne va)
“OOOOOOHHHHH! LE FATTUREEE!”

Abbiamo iniziato a fare la prova del nove. Quando chiedono “Tutto a posto?” con la lettera di vettura in mano, diciamo frasi del tipo “L’Olanda è per gran parte sotto il livello del mare” oppure “Comprami il nuovo album degli Slayer”, oppure “Nel pane azzimo non c’è il lievito”.

Solo uno su cinque, stamattina, ci ha detto “Ma che cazzo state dicendo?"

domenica 12 dicembre 2010

Son fatto così (4)

Son fatto che se c'è una cosa bella, e magari l'ho organizzata anch'io, o ho partecipato nell'organizzazione, e che magari dura dei giorni, e c'è il giorno che avevo previsto che questa cosa bella avrebbe toccato il suo apogeo, quando arriva quel giorno lì, nel momento preciso in cui la cosa bella è arrivata al suo apogeo, un secondo prima che la stessa cosa bella cominci ad assestarsi o magari a scemare, e anche se tutti son lì a dirti Dai rimani ancora un po', ancora un altro giorno, dai rimani, anche se è gente a cui voglio bene tantissimo, ecco, io son preso da questa cosa che poi ho paura di esagerare e di rovinarla, la cosa bella, e mi metto subito in viaggio. Vado via. Son fatto così.

Scuola elementare di scrittura emiliana (2)

Invece di dire: “c’è il problema” ha detto: “non c’è il problema”. Invece di dire “stiamo perdendo ricchezza per il doppio degli altri” ha detto: “stiamo meglio degli altri”. Invece di dire: “il lavoro, l’occupazione sono il primo problema” ha detto: “l’occupazione non è un problema”. E dicendo tutto questo ha agito di conseguenza, cioè a rovescio.

(Pier Luigi Bersani, dal discorso a San Giovanni dell'11/12/2010)

martedì 7 dicembre 2010

La (casa) romana

Sembra che l'abbiano fatto apposta per i barabbisti – che si muoveranno in forze (carlo dulinizo, Ilke Bab, osvaldo, simone, grushenka e il sottoscritto) in questo ponte della morte di John Lennon per andare a leggere la Resistenza a Motore – sembra che l'abbiano fatto apposta di aprire al pubblico la casa di quello scrittore così amato soprattutto ai tempi dell'internet, amato dall'internet e dalla popolazione tutta. Val la pena di farci una gita.

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Risotto "Salome"

Va pronunciato alla tedesca, quel Salome. Il risotto in questione trae spunto dall'ascolto di numerose opere di Richard Strauss, che stanno lì tra il tardo romantico e il novecento impetuoso di sperimentazione e dodecafonia.

Riempite una bella pentola d'acqua appena salata e buttate dentro nell'ordine: un gambo di sedano, una o due carote tagliate a rondelle, una mezza cipolla bianca nella quale avrete infilzato dei chiodi di garofano. Tagliate dei broccoli a pezzetti piccoli e buttateci pure quelli. Mettete a bollire, bollire e bollire. In pratica otterrete un pentolone di brodo vegetale personalizzato.

Filtrate il brodo con il colino e pestate le verdure cotte col mortaio (se siete romantici) oppure nel passaverdure (se amate Ravel) oppure nel coso elettronico (se siete Schoenberghiani). Tenete le verdure, che vi serviranno.

Tagliate a dadini dello speck. L'altra metà della cipolla fatela a fettine e poi fatela soffriggere con olio e burro, mettete anche lo speck. Buttate il riso e fatelo brillare mescolando spessissimo. Aggiungete un goccio di vino bianco, se vi va. Anzi, fatelo.

Quando il riso "brilla" a sufficienza, iniziate a mettere il brodo caldo a mestolate. Tenete il riso "a mollo" sull'orlo dell'affogamento, ma senza esagerare. Quando sta per compattarsi, un'altra mestolata. Quando il riso è quasi cotto (leggete il minutaggio) allora buttate dentro le verdure pestate e poi mantecate aggiungendo burro e formaggio parmigiano grattugiato e mescolando.

Un filo d'olio a crudo nel piatto non guasta, ça va sans dire.

lunedì 6 dicembre 2010

Dialettica (4)

A siora Zanze (xe deboe de suste) dice una vecchia canzone popolare veneziana. E il termine Zanze, declinato al maschile come al femminile, alla bisogna, proprio ricordando quella canzone e quella signora che andava sempre al gabinetto per espletare un bisogno fisiologico, è diventato un modo per definire chi non sta mai fermo un attimo. Ed è ovviamente diventato il soprannome di tanti. Anche di un mio amico, che non sta fermo mai e al bagno pure lui, adesso che ci penso bene, va spesso, dopo la seconda pinta di birra.

(di Mitia Chiarin "fatacarabina")

Dialettica (3)

Per tutti gli italiani la madre del coniuge è la suocera, mentre per i napoletani si biforca, come ogni dilemma cornuto, in socra e gnora.
La gnora è la madre della sposa, denominazione che deriva da “signora”, e i proverbi che la riguardano sono pochi e rispettosi, non avendo l’ardire di sbeffeggiarla. Si consiglia quindi allo sposo di blandire la gnora per risparmiarsi problemi che potrebbero farlo schiatta’ ’ncuorpo e procurargli fastidi intestinali così forti da richiedere, per lenirli, l’uso del clistere, o serviziale, che dir si voglia. In altre parole, Allìsciate ’a gnora e astìpate ’o serviziale.
La socra, invece, la madre dello sposo, sembra meno fortunata visto che ’A socra cu ’a nora ha dda tene’ ’a vorza aperta e ’a vocca nchiusa (la suocera con la nuora deve tenere la borsa aperta e la bocca chiusa), a causa della sua non rara ingerenza negli affari della casa di chi ancora sente come il proprio figlio.
Sconsigliata, in ogni caso, la convivenza tra nuora e suocera, essere spesso infido e velenoso, tanto che ’A vìpara ca muzzecaie a sòcrema murette ’e tuósseco.

(di Francesco Laviano "pensieri spettinati")

domenica 5 dicembre 2010

Cammina cammina

Il 5 dicembre del 2009 ho scritto un post che si chiamava "Alzati e cammina". Dovevo riaprire Barabba, da lungo tempo agonizzante e in attesa che qualcuno staccasse la spina, dovevo riaprirlo perché volevo leggere una cosa per il collettivovoci, che è un posto dove dei blogger leggono i post degli altri blogger, e Mitia, la titolare del progetto, mi diceva che per farlo dovevo avere un blog. Allora ho pensato Oh, io ce l'ho un blog, si chiama Barabba, adesso lo riapro per finta e leggo un pezzo di Sandroni per il collettivovoci.

E poi, invece di staccargli la spina, a Barabba, è andata a finire che gliela abbiamo riattaccata. E da lì son successe talmente tante cose, tra gli ebook, Schegge di Liberazione, Cronache di una sorte annunciata, la Blogfest, l'EAVIcamp, millemila facce conosciute, pacche sulle spalle, bevute e nottate brave, son successe talmente tante cose, e ci siamo rimessi a scrivere quasi quotidianamente, abbiamo aggiunto barabbisti nuovi, abbiam girato l'Italia, e insomma, son successe talmente tante cose che io quel post là per il collettivovoci mi son dimenticato di leggerlo.

Rimedio oggi, a un anno esatto di distanza, che è un una specie di primo compleanno della seconda vita e della resurrezione di Barabba, e ringrazio Mitia e mi scuso con lei per il ritardo. E ringrazio pure Sandroni, perché quel post era suo e tutto quest'anno di barabbate c'è stato anche un po' per colpa sua. Il post di Sandroni si chiama "Dilemma". Lo trovate letto dal sottoscritto sul collettivovoci, qui.

Tanti auguri a noi.

sabato 4 dicembre 2010

Biografie essenziali (97)

Andy Warhol. Andy Warhol. Andy Warhol.
Andy Warhol. Andy Warhol. Andy Warhol.
Andy Warhol. Andy Warhol. Andy Warhol.

venerdì 3 dicembre 2010

L'arte di copiare

Nel novembre 2009, alla Triennale di Milano – nel corso di una giornata spettacolare, con Vinicio Capossela, Massimo Cirri, Annamaria Testa, Paolo Nori e tanti altri – abbiamo lanciato un concorso letterario basato sulla riscrittura di testi letterari. Da allora, e lungo tutto un anno di Letteratura Rinnovabile [...] da Kafka a Conrad, da Cechov a Hugo – con la partecipazione straordinaria di nuovi talenti italiani come Cristiano Cavina o Maurizio Matrone – molti autori sono stati oggetto di riscrittura.
(dalla newsletter della Marcos y Marcos)

Quel concorso il nostro Carlo Dulinizo, barabbista della prima ora, l'ha stravinto, vi ricordate? E il 14 dicembre esce un'antologia dal nome L'arte di copiare - Almanacco di Letteratura Rinnovabile 2010 (foto, racconti, riscritture di un anno rinnovabile, pagine 320, € 15,00). Dentro ci sono anche le Confessioni di un titillatore di iPhone, appunto, il racconto vincitore. Facciamo un applauso in piedi a quel brav'uomo del Dulinizo.

giovedì 2 dicembre 2010

Sarà stata la fatica

Oggi ho ricominciato a correre.
Due mesi che sono stata ferma, adesso che non fumo, quattro chili.
Dai Ilke Bab, fai ciao ciao con la manina alla tua camicetta preferita!, mi ha detto la voce a cui ogni tanto, nei sogni, sparo con un mitra.
Allora oggi ho ricominciato. A correre intendo.

Arrivo in cima al portico di San Luca rossa e boccheggiante. Bevo dalla fontanella, mi siedo su una panchina di fronte al santuario e mentre lotto contro l'asfissia, ecco una nuova apparizione: Patti Smith aiuta Dalida ad arrampicarsi su una grondaia lungo la facciata della chiesa. Una volta salite sul tetto, srotolano insieme uno striscione bianco con su scritto "Oggi non lavoro, oggi non mi vesto, resto nudo e manifesto".
E via urla e applausi finché non ho ripreso fiato, e davanti a me è rimasta solo la nebbia.

Siamo una società orribile (6)

La lepre partì come un fulmine: quasi non si vedeva più, tanto era già lontana. Poi si fermò e, per mostrare il suo disprezzo verso la tartaruga, si sdraiò a fare un sonnellino. La tartaruga intanto camminava con fatica, un passo dopo l'altro...

(Esopo, La lepre e la tartaruga)

Vorrei che non foste così smaniosi di quella potenza che vi gonfia il pene, perché non è la fretta che vi sbatte nell'altra corsia, in curva, sterzando veloci per evitare il frontale, rientrando di colpo senza freccia, allontanandovi come saette, no, non è la fretta, è prepotenza. Maledetto quel popolo che rischia la vita altrui per poi ignorarne lo sguardo incazzato, nello specchietto retrovisore, al primo semaforo, duecento metri dopo.

mercoledì 1 dicembre 2010

Fantasie di un magazziniere: corsi, ricorsi e riflessione

Corso sulla Sicurezza Aziendale: il pericolo è ovunque ma tu non ci puoi fare niente
"...comunque il Sole è stato riconosciuto come entità cancerogena dall'Organizzazione Mondiale della Sanità..."
Corso base di Excell 2007: erotizzazione dei rapporti uomo-macchina
Giulio dice che è una lei, Alessandra che è un lui ma non gli fanno sapere che sono già impegnati
Riflessione:
Mentre voi lettori potete camuffare e fingere di fare il vostro lavoro io, che son su questo pc da 7 minuti, ho già sforato di 5 minuti buoni il tempo minimo necessario per trovare su googlemaps dove saranno le mie prossime consegne in giro per la bassa modenese. Ah, i brividi del proibito...

martedì 30 novembre 2010

Dialettica (2)

A Viterbo, ma pure a Tuscania, ma anche a Tarquinia, che son tutte medievali e viterbesèrrime, ma poi anche a Civitavecchia, chissà perché, che di medievale e viterbese non c’ha nulla, lo scemo del villaggio, il redneck del deep south méricano, lo sciocchino, il bifolco, lo chiamano goio. Ad esser gojo è l’uovo mezzo fecondato, che di riff o di raff (a Civitavecchia si dice de riffe o de raffe, e pure ottennove per non dire diciassette) non s’è fatto pulcino: e niente, è una bruttura, una ròba deforme, verso la quale si ha ostilità, che s’avverte come nemica. Gli ebrei chiamano i non ebrei, i patrizi, gòi: si potrebbe dire che se l’ebraismo fosse un liquido seminale che feconda gl’uomini come ovuli, i gòi sarebbero gl’ovuli sui quali quel liquido seminale non ha attecchito bene.

(di Fabrizio Gabrielli)

BRANCA BRANCA BRANCA!

La prima volta che ho partecipato a una sommossa microcosmica ero in seconda media, il prof di Italiano, Desiderio, pensa te che bel nome, un prof illuminato, di quelli usciti mica tanto indenni dal sessantotto, che ci faceva lezione in piedi, girando tra i banchi, ci faceva svuotare il centro della classe e ci metteva in cerchio, spiegava le cose tenendo un bastone in mano e noi un giorno gliel’abbiamo anche colorato, il bastone, e gli volevamo bene, a Desiderio, anche se lui poi ha lasciato la scuola media per andare a lavorare nelle carceri, ma comunque, quello che volevo dire è che quando eravamo in seconda media, il prof Desiderio, un giorno, ci ha presi tutti quanti e ci ha portati nell’aula sotterranea col proiettore per farci vedere l’armata Brancaleone.

E noi, tutti, che in classe eravamo in venticinque, dall’armata Brancaleone siamo usciti mica tanto indenni. C’era una cosa che facevamo, in classe, e lo facevamo per disturbare il potere costituito dei professori che non erano Desiderio, perché Desiderio ci pensava da solo a fare il disturbatore del potere costituito dal prof Desiderio, e questa cosa era che uno, a un certo punto, al primo momento di silenzio disponibile durante la lezione, gridava: BRANCA BRANCA BRANCA! E gli altri, in coro, non uno che restasse fuori, gli andavano dietro cantando: LEON LEON LEON! E un altro, e ogni tanto ero io perché lo sapevo fare bene, con due dita in bocca e la lingua arrotolata, faceva un fischio altissimo e fastidiosissimo: FUIIII! E poi ancora tutti insieme, nessuno escluso, cantavamo: BOM! Ogni tanto sbattendo i pugni ognuno sul proprio banco. Un gran fracasso.

Il coro molesto di Brancaleone non è mai piaciuto ai professori che non erano Desiderio. Ci rimproveravano, ci mandavano a turno dal preside, ci davan delle note prendendo come capri espiatori, spesso, il primo, quello che aveva gridato BRANCA BRANCA BRANCA!, e il secondo solista, quello del fischio con le dita in bocca e la lingua arrotolata, che ogni tanto ero io. E ci pensavo ieri sera, mentre ero alla finestra a guardar giù. Avrei voluto farlo ancora, gridare un BRANCA BRANCA BRANCA!, o almeno il fischio, FUIIII!, e invece niente, non l’ho fatto, non come la prima volta che ho partecipato a una sommossa microcosmica in seconda media. Mi sarò rammollito, con l’età.

lunedì 29 novembre 2010

Dialettica

(nuova rubrica aperta a contributi esterni)

Sperem. È una parola in dialetto modenese, ma c'è anche nel reggiano, credo. Ci son due "e" e si può pronunciare sperèm o spèrem. Significa, rispettivamente, a seconda di dove metti l'accento, "speriamo" e "sparami". Bisogna stare sempre molto attenti, quando la si pronuncia.

Gli antieroi: Luis Ramirez Zapata

Nel 1982 al Mundial di Spagna arrivarono 24 squadre a contendersi il campionato del mondo di calcio. Era la prima volta e qualcuno aveva espresso obiezioni in merito al fatto che 16 squadre fossero sufficienti per stabilire chi, nella fase finale, meritasse il trofeo disegnato dall'italiano Cazzaniga. Tra le squadre era presente anche il piccolo stato centro americano di EL Salvador. In quegli anni la guerriglia, nel piccolo stato, era compagna di campo dei giocatori, e le condizioni di vita del paese non erano certo rosee. El Salvador puntava quindi a una vetrina per figurare bene, affidando agli sportivi il ruolo di ambasciatori a tutti gli effetti, come spesso accade. El Salvador aveva partecipato già ai mondiali del 1970, ma era stato sconfitto tre volte e rispedito a casa senza aver segnato nemmeno una rete.

I giocatori del Salvador arrivarono in Spagna dopo un'odissea durata qualche giorno. Voli organizzati male avevano fatto sì che la nazionale facesse scalo in diversi paesi prima di toccare il suolo iberico e, una volta arrivatiesausti ad Alicante, dovettero addirittura farsi prestare il pallone per allenarsi dalla nazionale ungherese che li avrebbe affrontati qualche giorno dopo. Storie d'altri tempi.

Quando fu il turno del primo incontro, l'Ungheria strapazzò la piccola nazionale salvadorena e verso il 60esimo minuto il risultato era già di 5-0. Ma, al ventesimo della ripresa, un veloce scambio tra gli attaccanti portò Luis Ramirez Zapata, soprannominato "El Pelè", davanti al portiere ungherese a segnare il gol della bandiera. Zapata si rese conto che quello era un momento storico per la piccola compagine centramericana. Si trattava pur sempre del primo gol della storia dei mondiali e chissà in quanti nel suo paese avrebbero esultato. Quindi corse per tutto lo stadio gaudente ed esultò come se avesse segnato il gol più importante della storia dei mondiali di calcio.

Gli ungheresi non la presero bene e trattarono El Salvador come un punchball. Alla fine il punteggio fu di 10 a 1, la sconfitta con il maggior numero di reti subite della storia dei mondiali. El Salvador divenne una barzelletta e, nonostante le due sconfitte successive comunque onorevolissime (0-1 contro il Belgio e 0-2 contro l'Argentina campione del mondo in carica), una volta tornati a casa, i 22 giocatori diventarono il simbolo della vergogna di un paese e vennero aspramente criticati (e non c'è bisogno di dirvi come una critica in El Salvador negli anni 80 potesse diventare piuttosto pesante, per usare un eufemismo).

"El Pelè" si ritrovava immerso per sempre dentro un incubo. "Tutti avevano in mente soltanto quel numero 10", disse, "per il mio gol non c'era spazio".

***

Venticinque anni dopo, a San Salvador, i reduci di quella partita di Ungheria ed El Salvador si ritrovarono per giocare la rivincita. Venne chiamata La partita del ricordo. Un grande striscione recitava: "Questa volta ricominciamo da zero a zero". Finì 2-2. C'è bisogno che vi dica chi segnò i due gol per El Salvador?


(Per approfondire: il film UNO : LA HISTORIA DE UN GOL)

venerdì 26 novembre 2010

Biografie essenziali (96)

Non so perché molti credano che Robert Musil fosse un ingegnere, in realtà aveva un sacco di ottime qualità.

Sigarette spente (1)

Ieri, per la pausa pranzo, io e la mia amica Sandra siamo uscite dalla Sala Borsa e siamo andate a mangiarci i nostri panini con la mortadella e l'insalata verde davanti a San Petronio.
Ah, L., ti saluta San Petronio.
E va bene, ritornando al nostro discorso, davanti a San Petronio c’era uno, un ragazzo di colore, magro, alto, carino, in piedi su un banchetto che parlava a un gruppo di persone disposte in cerchio intorno a lui. Quando ha smesso di parlare, sul banchetto è salita una ragazza, anche lei di colore, meno magra, meno alta, carina anche lei tuttavia, che tra le altre cose ha citato Machiavelli. Dopo è salito sul banchetto uno vestito da clown, che parlava troppo piano perché potessi capire tutto quello che diceva.
Ho capito cosa ha detto solo in tre occasioni, in cui ha parlato più forte, e ha detto, nella prima occasione: A pedate nel culo vanno presi questi signori! E nella seconda: Allora io li prenderei tutti a pedate nel culo! E nella terza: A questi qui dobbiamo dargli delle pedate nel culo!
In tutte e tre le occasioni non ho potuto fare a meno di notare che i presenti, a quelle parole, annuivano molto convinti e si scambiavano sguardi che sembravano voler dire Eh, sì, altroché, ha proprio ragione.
Allora, ho guardato la mia amica Sandra e le ho detto che se avessi dovuto fondare un partito, o una qualche lista, in quel frangente lì io lo avrei chiamato sicuramente P.N.C, Pedate Nel Culo.
Sandra ha riso e si stava per strozzare con la mortadella, o forse con l'insalata verde, comunque poi ha bevuto e è sopravvissuta.
Subito dopo dell’uomo vestito da clown è salito sul banchetto un signore sulla cinquantina, con in testa un cappello di lana fucsia, degli occhiali molto grandi e, in generale, un abbigliamento non proprio sobrio. Mentre si apprestava a salire sul banchetto parlava con un gruppo di signori distinti, in giacca e cravatta, che si erano appena aggiunti al consesso.
Una volta salito, questo signore col cappello di lana fucsia ha detto, riferendosi evidentemente ai signori distinti, ma declamando ad altissima voce verso tutti noi: Volete sapere cosa stiamo facendo? Siete arrivati qui e non sapete cosa stiamo facendo? La rivoluzione!, qui la rivoluzione stiamo facendo! Perché bisogna esprimersi nel teatro dell'esistenza, non solo occupare le università o le stazioni. Qui siete nel teatro della vera rivoluzione!
Sandra ha sgranato gli occhi, ha accartocciato la stagnola del panino e ha tirato fuori le sigarette dalla borsetta.
A quel punto io ancora ascoltavo il cappello fucsia, ma poi ho avuto una specie di visione e mi sono immaginata che arrivava mio padre, o meglio, mi sono immaginata che ero lì in piazza Maggiore che passeggiavo con mio padre, e quando vedevamo questo gruppo di persone mio padre mi guardava con un'espressione interrogativa come a dire E questi?
E io, sempre nella mia immaginazione, gli rispondevo Eh, oh, babbo, il mondo è bello perché è vario!
Poi la fantasia è svanita lasciandomi questa frase: Il mondo è bello perché è vario. Il mondo è bello perché è vario. Il mondo è bello perché è vario. Il mondo è bello perché è vario. Il mondo è bello perché è vario.
Ma ne siamo proprio sicuri? Mi sono domandata Ne siamo sicuri Ilke Bab?
No, mi sono risposta, non ne sono sicura. Forse era bello anche se eravamo tutti come me e Sandra.
Poi Sandra ha finito la sua paglia, mi ha fatto cenno di aspettare, ha fatto una chiamata col cellulare e mi ha detto Anche domattina si fa il corteo, poi forse in facoltà si continua l'occupazione.
Bene, le ho detto io, occhio che hai un pezzo di insalata tra i denti.
E via di nuovo a studiare.

mercoledì 24 novembre 2010

Il macchinario reale del karma

Quando studiavo Controlli Automatici, ci avevano insegnato che una funzione reale non si comporta mica come una funzione teorica. Prendiamo, per esempio, una costante. Nel piano cartesiano, per semplicità consideriamo solo il primo quadrante, la costante che abbiam preso è una linea retta che parte attaccata all’asse delle y e va avanti parallela all’asse delle x, e può andare avanti per sempre. Una costante è una funzione che non cambia mai, che è sempre dritta, un po’ come uno vorrebbe che fosse la sua vita, senza particolari felicità ma anche senza dei gran traumi. Ecco, un macchinario che deve replicare un segnale costante non ha niente di dritto. La funzione reale che corrisponde alla costante teorica parte subito con una curva che supera il valore che vogliamo raggiungere, quello della costante che avevamo preso, poi c’è un’altra curva che va sotto, poi un’altra curva che va sopra, ma più vicina alla costante della prima curva, poi ce n’è un’altra che va sotto, e anche questa più vicina alla costante della seconda, poi un’altra sopra, un’altra sotto e così via, finché l’oscillazione è talmente piccola che all’occhio umano la funzione reale sembra una costante, da un certo punto in poi. Bene, la prima curva, quella più alta di tutte che supera la costante teorica che volevamo replicare col macchinario reale, si chiama sovraelongazione.

Quando ho finito di leggere Un karma pesante, il libro di Daria Bignardi, la signora Sofri, la prima cosa che ho pensato è stata che quel libro lì assomigliava a una funzione reale, a un macchinario, dove la costante dritta, perfetta e teorica è la vita immaginata da una persona che vorrebbe nascere, vivere e invecchiare senza che debba succedere per forza qualcosa di particolare, e la narrazione, invece, è il macchinario reale che spiega questa vita teorica, dove non succede davvero granché di particolare, ma non è proprio una cosa dritta che fila via liscia e imperturbabile.

Il primo capitolo è una sovraelongazione narrativa, se mi passate il termine. Inizi a leggere il karma pesante e dici Cavolo, che figata. Perché il primo capitolo, che è anche quello scritto meglio e il meno noioso del libro, ti catapulta a novemila metri d’altezza, su un aereo, dove la protagonista, che si chiama Eugenia, muore. Una cosa che non si era quasi mai sentita.

Il problema della macchina della narrazione, però, è che è incostante. Passa dal presente al passato, facendo su e giù per la vita vera della protagonista, una vita normale e anche un po’ inutile, che se non fosse per quei saliscendi narrativi, dove quando si sale siamo nel presente e quando si scende siamo nel passato di Eugenia, la protagonista, se non fosse per il saliscendi, avremmo chiuso il libro e saremmo andati a fare una passeggiata.

Con l’andare della storia, invece, questo andar su e giù dalla linea della vita normalissima nel passato e nel futuro di Eugenia si fa sempre meno ripido, sempre più vicino alla linea della vita normalissima, finché, alla fine del libro, la macchina narrativa diventa indistinguibile dalla costante, dalla vita immaginata. E così, nel momento preciso in cui le due funzioni diventano indistinguibili, il libro finisce, perché se la signora Sofri avesse continuato a scrivere delle altre cose, avrebbe scritto una storia noiosa e normalissima, avrebbe imbrattato le carte.

Un giorno di qualche settimana fa ho letto il primo capitolo ad alta voce e l’ho messo su internet. Poche ore dopo mi è arrivata una mail del buon Carlo Dulinizo, che il libro non l’aveva mica letto. Diceva, la mail: “Si vocifera che la prima cosa che dicono alla scuola Holden è di mettere la cosa migliore del libro all'inizio, come incipit, per acchiappare il lettore, così poi dicono che è fatta, infatti le chiusure e l'inmezzo di Baricco son sciapi e insignificanti. Forse anche per la Bignardi è così”. Son saltato subito sulla sedia e gli ho risposto che sì, è così. Gli ho detto che questa cosa succede con i macchinari reali che vogliono andar dietro alle funzioni teoriche e gli ho detto che è un fenomeno che si chiama sovraelongazione. Mi ha dato del matto, lui, il buon Carlo. Ma secondo me ha capito.

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(Daria Bignardi, "Un karma pesante", Mondadori 2010, pagg. 224)(update: note a margine e uno spoiler)

martedì 23 novembre 2010

Il più colto fra gli eserciti

Non tutti forse lo sanno, ma i garibaldini di Marsala formavano il più colto fra gli eserciti che la storia militare ricordi. Una buona metà infatti erano addottorati o studenti di medicina, di legge, di “belle lettere”. Finita la spedizione a decine entrarono a costituire la classe dirigente della nuova Italia – generali, ministri, parlamentari, giornalisti: finita la spedizione, molti, e Garibaldi in persona fra i primi, impugnarono la penna e misero sulla carta i ricordi della straordinaria avventura. Cioè dunque, per dirla nella lingua dei critici, sulla spedizione dei Mille noi abbiamo una vasta letteratura di prima mano.
Eppure soltanto adesso, mentre si celebra il centenario dell’Italia unita, quella letteratura esce dallo stretto ambito degli studi specializzati e va al lettore medio: in questo senso possiamo parlare di “scoperta” dei Mille, di Giuseppe Bandi, a cui peraltro già il Croce riconosceva il merito d’essere “fra i libri di memorie garibaldine uno dei più limpidi nel racconto e uno dei più persuasivi nei sentimenti che lo animano”.
Giuseppe Bandi scrisse le sue memorie di antico garibaldino ventisei anni dopo che la spedizione s’era conclusa: già più che cinquantenne, e giornalista di grande merito nella provincia toscana (fu lui, fra l’altro, il fondatore del “Telegrafo” livornese) egli volle riprendere in mano i suoi taccuini di volontario, e provarsi a raccontare quel che vide e sentì, “così come racconterei a’ miei figlioletti, nel cantuccio del focolare, in quelle sere d’inverno, nelle quali si novella patriarcalmente”. Non lo spingevano insomma ambizioni letterarie, ma solo la volontà di dirci il vero, e di aggiungere alla già allora vasta schiera di memorie garibaldine “quakche coserella che non si trova altrove”.
Diremo perciò che I Mille è un libro importante anche per questo: il suo autore ebbe la singolare ventura di trovarsi a fianco di Garibaldi quasi di continuo, da Quarto al Volturno; vide e sentì cose che altri ignorarono, e anche gli storici della spedizione si son rifatti a lui per chiarire aspetti politici e militari sin allora oscuri o persino ignoti: il vero senso della “diversione Zambianchi”, per esempio; o i temi tattici della battaglia di Milazzo; o ancora, il motivo reale dell’improvvisa partenza di Garibaldi per il Golfo degli Aranci, in Sardegna, poco prima dello sbarco sul continente.
Ma questo non è né il solo né il primo motivo che ci indusse ad aprire, confidenti, il nostro libro. I risultati letterari di esso van ben oltre la modestia dell’incipit dianzi citato, e queste pagine oltre che vere son belle. Il fatto è che Giuseppe Bandi, nell’istante in cui prese in mano la penna, seppe ritrovare – e questo a noi importa più di tutto – l’identico scanzonato entusiasmo di quando, lui ufficiale ventiseienne dell’esercito regio, abbandonava all’improvviso l’oziosa vita di guarnigione in Alessandria, per unirsi a Garibaldi. Il generale, che l’aveva conosciuto e apprezzato l’anno prima, lo volle nella sua “famiglia militare” ( nel suo stato maggiore, diremmo noi oggi), quale aiutante di campo.
Un aiutante di campo con gli occhi bene aperti davvero; sì che i fatti e i personaggi della straordinaria avventura ritornano sulla pagina così come seppe vederli questo giovanotto maremmano, ricco di buoni studi ma senza pedanterie, innamorato della buona causa italiana ma senza retorica alcuna, pronto al sorriso ironico, ma non mai al cinismo, anche nel divampare della battaglia, padrone di un toscano schietto e saporoso, ma senza risciacquature in Arno.
Così gli uomini della spedizione ce li ritroviamo davanti, su queste pagine, riportati alla loro reale statura umana. Ecco Nino Bixio, sempre disponibile all’ira e al pentimento: “in camicia e in mutande, stava cincischiando un galletto lesso”. Ecco Giuseppe Sirtori, ascetico e severo, in tuba e palandrana, “che sembra un profeta e conta con gli occhi imbambolati i ‘punti’ delle mosche nel soffitto”. O Giuseppe La Masa, siciliano ardente e retorico: “lo chiamavano il generale Enea”. O Giovanni Pantaleo, “un frate giovane, vispo, e con due occhi pieni di fuoco, che indicavano in lui maggior dose di pepe che non comportasse la fratesca mansuetudine”. E Agostino Depretis, “barbuto e ispido come un orso”.
Parrà irriverente questo modo di presentare “gli uomini sodi” della spedizione? Parranno forse irriverenti i ritrattini dal vero di Garibaldi che si lascia spogliare e mettere a letto, sotto la tenda, “come se si fosse trattato del nostro babbo”; o si lamenta dei dolori artritici; o riceve i parlamentari borbonici sbucciando un’arancia, e ne offre uno spicchio infilzato in punta di coltellino?
Certo, l’oleografia ufficiale esige sempre un Garibaldi a cavallo, con tanto di piedistallo sotto gli zoccolo: ed è questa la ragione per cui sino a oggi la storia dei Mille non è diventata patrimonio di cultura diffusa, popolare. E invece occorre riscoprire l’umanità vera del generale e dei suoi volontari se vogliamo intendere il senso della spedizione dei Mille, se vogliamo risentire il Risorgimento come fatto veramente nostro, italiano.
E converrà aggiungere che proprio sullo sfondo di questa realistica prosa quotidiana può spiccare la poesia autentica e schietta di certe pagine, come quelle che narrano il preludio alla battaglia di Calatafimi: la valletta assolata a mezzogiorno, Garibaldi seduto su di un greppo col sigaro in bocca, a guardare le evoluzioni delle colonne nemiche fuor dal villaggio, il risuonar delle trombe nemiche e , in risposta, la sveglia garibaldina del bergamasco Tironi, e infine le parole del generale: “Adesso pensiamo a dar due buone bastonate a questi signori.”
Noi oggi preferiamo sentirla così, la spedizione di Sicilia: e non a caso chi ha tentato di portarla sugli schermi del cinema, e di farcela vedere senza orpelli retorici, ha scelto per sua guida proprio queste pagine.

(Luciano Bianciardi, prefazione a "I Mille. Da Genova a Capua" di Giuseppe Bandi, Mondadori-Club degli Editori, 1961)
Una volta ero a un convegno su Bianciardi e il Risorgimento, a Grosseto. Nel convegno si diceva, più o meno, che i miti fondativi (o fondanti) dell'Italia sono tre: l'impero romano, il Risorgimento e la Resistenza. Il primo, l'impero romano, è stato ridicolizzato dal fascismo ed è irrecuperabile. Il secondo, il Risorgimento, è stato fatto cadere nel dimenticatoio dal terzo, la Resistenza, e dalla successiva e necessaria ricostruzione della Nazione. Il terzo, appunto, la Resistenza, l'unico mito fondativo (o fondante) ancora in vita, sta subendo un processo analogo al Risorgimento da parte del benessere, delle classi dirigenti e dell'affievolirsi naturale della memoria che tuttavia non riesce a inserirsi ufficialmente nei libri di Storia.

Un amico, ieri sera, si chiedeva e mi chiedeva una cosa, si chiedeva, e mi chiedeva, se noi che giriamo lo stivaletto con le Schegge di Liberazione saremmo capaci di farla davvero, la Resistenza, se fosse il caso. Gli ho risposto che "non lo so" e sono ancora convinto della risposta che gli ho dato. Poi gli ho anche detto che tenere acceso il fuoco è importante, ma saperlo usare davvero, il fuoco, è tutta una un'altra questione e forse lo si socoprirà quando arriveranno i lupi. Ma se ci penso, da discreto conoscitore del Risorgimento per colpa di Bianciardi e di una moglie che su Bianciardi ci ha fatto una tesi, mi vien da dire che noi protointellettuali del web, portatori di un pensiero embrionale e confuso, pensanti ingenui, in qualche modo, e fondamentalmente benestanti, siam più simili ai garibaldini, quelli dei mille, che ai nostri nonni. E non è detto che sia un male.

______

("I Mille" del Bandi è un gran bel libro, a casa ho l'edizione del 1961, ma grazie a Stampa Alternativa potete scaricarne una ristampa in pdf, anche se han tolto la prefazione di cui sopra. E ringrazio grushenka, la mia Dulcinea del Toboso, ché le ho mandato un sms dicendole che mi serviva questa prefazione per rispondere a un amico e lei l'ha ricopiata e me l'ha spedita.)

lunedì 22 novembre 2010

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Petto d'anatra per tirarsela

Sparate a un'anatra. Mollate il cane che la vada a prendere...

No, facciamo che la comprate al supermarket. Comprate del petto d'anatra. Prima di andare a letto, togliete la pelle e tagliatelo a fettine. Mettetelo in un sacchetto da frigo chiuso ermeticamente con della birra bianca, dell'alloro e delle bacche di ginepro schiacciate. Cucinerete per la cena di domani.

Siamo già a domani sera? Bene. Tagliate un finocchio alla Giuliana (o alla Julienne, se volete fare i francesi) e mettetelo intorno ai piatti dei commensali come le stanghette dei minuti di un orologio, ma lasciate libero un quarto d'ora. Spargeteci sopra del sale fino e del prezzemolo. Un attimo prima di servire bagnerete con olio di oliva.

Scaldate la piastra. Sbucciate una mela per ogni commensale. Io lo farei con delle granny smith, ma voi fatelo con le mele che avete e andrà bene lo stesso. Dividete a fettine. Scaldate in una padella del burro con sale, pepe nero, un goccio di limone, parecchio curry e abbondante zucchero di canna. Non appena il burro comincia a sciogliersi un po', buttate dentro le mele e fatele andare fino a quando non si sono imbrunite per bene. Poi tiratele fuori e mettetele nel "quarto d'ora mancante" dell'orologio al finocchio.

Intanto la piastra sarà calda, sgocciolate i pezzi di petto d'anatra dalla marinata e sbatteteceli sopra, cuocendo secondo i tempi che vi suggerisce il vostro gusto.

Portate nel mezzo del piatto i petti d'anatra, circondati da finocchi e mele.

Oltre a consentirvi di tirarvela un bel po' per l'accostamento ardito con le mele e per la bella presentazione del piatto, il petto d'anatra è buono. Non rovinate il tutto con della maionese o altre salse volgari, grazie.

venerdì 19 novembre 2010

Come zucchero per le formiche

Le formiche non vogliono vedere animali, a loro non piace. A me non fanno schifo o paura le formiche, dopo ti ci abitui. Le prime volte chiaramente sì, gli occhi lucidi e le antenne e i peli. Adesso no. Ti abitui a tutte le schifezze.
Questa sera, alla Tenda di Modena, che è un locale, appunto, sotto a una tenda, il prode carlo dulinizo, barabbista della prima ora, presenterà e converserà amabilmente con lo scrittore Matteo Martignoni. Parleranno del più e del meno e dell'ultimo libro del secondo, una raccolta di raccontini neri dal titolo Come zucchero per le formiche.

Sul sito del Martignoni è possibile scaricare il libro in pdf. Ma, se volete un consiglio, comprategliene una copia cartacea, perché ogni copia e rilegata a mano su carta pregiata e cucita con ago e filo dall'autore. Costa anche poco.

In fondo a questa pagina, come potete notare, ci sono i nomi di Simone Rossi e Bicio, il chitarrino e il chitarrone che solitamente accompagnano i reading di Schegge di Liberazione e Cronache di una sorte annunciata. Non so se ci saranno, Simone e Bicio, ma a noi basta il loro spirito, la loro benedizione, per sentirci a casa un po' dappertutto. Ci vediamo là.

giovedì 18 novembre 2010

Sigarette spente (intro)

Da qualche mese ho smesso di fumare.
Il guadagno in termini di salute lo vedrò col senno di poi, per il momento ho l'alito più buono e corro meglio.
Il guadagno in termini economici invece, il guadagno in pecore, come direbbe un mio amico, si calcola facile.
Fumavo circa cinque pacchetti di sigarette a settimana, cinque pacchetti da quattro euro ciascuno, quindi per fumare spendevo venti euro a settimana, ottanta al mese. Ora, da sei mesi, ogni mese ho ottanta pecore in più in saccoccia. Cosa ci faccio? Me le spendo in altri modi.

Il primo mese ci ho comprato caramelle senza zucchero, stecche di liquirizia e quattro sedute di massaggi rilassanti/decontratturanti in un centro benessere che faceva una promozione convenientissima. Compensazione.
Il secondo mese mi ci sono finanziata una delle sbornie più clamorose della mia vita, volevo festeggiare di aver perso un brutto vizio e nell'occasione è finita che ho perso anche l'iPhone, lasciato in spiaggia mentre andavo a fare il bagno, all'alba, cantando quella canzone di Silvestri che fa "gettai ogni cosa nel fiume e mi tuffai nell'oblio, scappai da tutto il marciume e dallo sguardo di Dio". Momento francescano.
Il terzo li ho spesi per un registratore vocale che fa direttamente degli mp3, mi serviva per delle interviste e visto che non avevo più un iPhone... registratore vocale, per forza.
Quarto mese, settembre, ho comprato delle scarpe da tennis e mi sono lasciata sedurre dalle gioie del fitness: liberare endorfine, dimagrire, fare fiato per tentare addirittura la mezza maratona di Bologna. Ilke Bab come Gianni Morandi.
Ottobre, quinto mese senza fumo, ho pensato che mi meritavo quel fine settimana a Monaco che rimandavo da anni, così ho preso i biglietti del treno e ho avvisato il mio amico che vive là che finalmente arrivavo. A/R, offerta Trenitalia, ottanta euro spaccati: cinque pacchetti di paglie.
Adesso sono al sesto mese e per questo anniversario di mezzo anno ho iniziato a cantare, una lezione di canto ogni mercoledì. Pagata la maestra, quel poco che avanza delle ottanta pecore lo spendo in castagne e vino novello. L'abbraccio rassicurante della stagionalità.

Adesso che viene il freddo poi, c'è una situazione inedita che mi si presenta con maggiore evidenza, e a cui associo un ulteriore guadagno.
Un guadagno in termini di tempo e solitudine, se così si può dire: quello dovuto alla pausa sigaretta.
Nei locali tra un bicchiere e l'altro, al cinema durante l'intervallo, in biblioteca nelle canoniche tregue dallo studio, ovunque, prima o poi, negli interstizi della giornata del fumatore, arriva la pausa sigaretta. Per me invece, non arriva più.
Allora che posso fare in quei minuti lì, mentre i fumatori fumano?
Posso pensare, ho pensato. Posso provare a pensare a qualcosa, giusto il tempo di una paglia o poco più. Aprirmi in testa delle parentesi cognitive (!) per poi chiuderle, così, dopo averci messo dentro dei pensieri che altro non sono che sigarette spente.
Ecco, questa sarebbe l'idea.
Come a dire: Ho smesso di fumare, ora voglio iniziare a farmi le seghe mentali.

mercoledì 17 novembre 2010

Tutto quello che c'è da sapere

Curriculum vitae:
  • So leggere. Riesco a farmi delle opinioni.
  • So scrivere, con ogni mezzo disponibile.
  • So scrivere abbastanza bene, secondo me, se interessa.
  • So scrivere senza guardare la tastiera.
  • So scrivere senza guardare, volendo.
  • So far di conto.
  • Ho una laurea in ingegneria, del 2004. Ho preso 107, se conta qualcosa.

lunedì 15 novembre 2010

Campagna acquisti

È con piacere inenarrabile che diamo il benvenuto tra le fila dei barabbisti, con titolo guadagnato per meriti sul campo, e peste colga chi sosterrà il contrario, a simone e osvaldo. Di seguito le loro biografie essenziali:

simone nasce in romagna, ha scritto un libro, anzi due, suona sempre i chitarrini e fa le polpette. osvaldo nasce nell'isola che non c'è, ha scritto un libro, legge sempre dal vivo e fa i biscotti. Un contrabbasso li seppellirà.

Ora diciamo tutti insieme: "ciao simone, ciao osvaldo".

A tavola con Tiziano Fiorveluti: l'uovo impiccato

Rispolvero un classico della cucina contadina. Se gli ingredienti li comprate da un contadino invece che al supermercato, la ricetta viene più buona, a patto che ci crediate.

Comprate della rete di maiale. Se siete al supermercato, davanti al reparto frattaglie inginocchiatevi e pregate, poi comprate della rete di maiale. Arrivati a casa lavatela e mettetela a mollo una notte, così si ammorbidisce un po'.

Comprate della Verza. Foglie grosse, mi raccomando.
Comprate delle belle uova. Uno per commensale.

Fate a dadini della pancetta, oppure del prosciutto crudo, guanciale, soppressata, speck… Al limite anche del salame, vedete voi. L’affettato della vostra zona. Quello che avanza lo mangerete col pane come antipasto.

Fate a dadini della caciotta o pecorino o dei formaggi simili. Quelli della vostra zona. Quelli che avanzano li mangerete con il pane come antipasto.

Sale e pepe, secondo coscienza.

Tirate via dal forno la gratella. Sistematela in modo che stia su da sola (usate due sedie o quel che vi pare) e poi procedete come segue: stendete la rete di maiale e adagiatevi la verza. Infilate dentro i dadini di salume e i dadini di formaggio. Scocciate un uovo e chiudete la rete, appendendo il fagotto alla grata del forno. Ecco perché IMPICCATO.

Cuocete a 220 per 20 minuti.

sabato 13 novembre 2010

Il gnocco fritto o lo gnocco fritto

Talvolta un solecismo, una forma linguistica che la grammatica definisce scorretta, può essere giustificato se il suo uso risulta continuo e radicato in una determinata area geografica” (TULLIO DE MAURO)
Una specialità antica è presentata a un buon secondo posto – e con ben 23 variazioni – nel ricettario della signora Gilberta Fivizzani da Riolunato, tenutaria della trattoria di Santa Croce. E’ il gnocco fritto, al quale, superando vecchie norme grammaticali, vorremmo rivendicare il diritto di non dipendere dall’articolo “lo” come fosse uno gnòmmero (un garbuglio, un informe groviglio).
Dire “lo gnocco”, con quella cupa nota iniziale “in battere”, è come privare il nostro rispettabile fritto di parte della sua fragranza, è come appesantirgli la vita breve di cibo conviviale, tanto gustoso quanto provvidenziale, ancora oggi, a riempire gli stomachi. L’articolo “il”, al contrario, gli conserva un ritmo “in levare” cònsono con i suoi allegri sfrigolii in padella, moderno come un tempo di jazz o un attacco di reggae.
Con il senso di questa nostra leggera divagazione immaginiamo sarebbe d’accordo anche un caro amico che qui ricordiamo con affetto, il dottor Ignazio Contri, il quale ci lasciò giovanissimo, tradito da un “maledetto chiodo” (come si espresse dolente all’epoca il sindaco di Carpi Cigarini che lo aveva scelto come suo segretario particolare e cerimoniere). Un chiodo staccatosi da una parete delle alpi dolomitiche, proprio contro di lui originario degli Appennini, e proprio del paese di Riolunato. Per giunta Ignazio era parente non lontano degli stessi gestori della “taverna” di Santa Croce. “Val più la prassi che la grammassi” amava dire nelle più diverse occasioni: per amore di calembour e soprattutto per esprimere il suo spirito materialistico sì ma molto dialettico.
Il cantautore nonché recuperante Carlo Alberto Contini (detto Nina) si ostina invece a usare per il gnocco l’articolo “lo”, anche quando parla con i paesani. Viene da pensare che voglia mostrarsi più sintatticamente corretto del dovuto, oppure che intenda aggiungere un che di nobilitante a una sua originale invenzione di qualche anno fa, che lui denominò il “Pittofritto”. “Questa idea – racconta la Nina – mi è venuta perchè in casa si rimaneva troppe volte senza pane per la cena e la mia Carlotta (la moglie, autrice di musiche in cucina ben più accattivanti degli estri del marito paroliere) per sopperire si metteva a preparare lo (il) gnocco fritto, avendo cura di aggiungere all’impasto una presa di bicarbonato a salvaguardia del mio epigastrico cagionevole. Lo (il) gnocco durava poco, al massimo veniva mangiato, già raffermo, la mattina presto del giorno dopo nel caffelatte dal figlioletto Andrea, impaziente di correre verso i banchi di scuola. Allora – prosegue e conclude la Nina – strologai la maniera di allungare la vita allo (al) gnocco. Ideai uno (un) gnocco da freezer, congelato, surgelato, da vendere, sotto vuoto spinto, in busta di plastica biodegradabile. Lo chiamai Pittofritto così, per dargli un nome che potesse imporsi sul mercato, ispirandomi alle Patatine Pai”.
Sono oscuri i motivi dell’insuccesso di quella lontana, sfortunata iniziativa imprenditoriale di Carlo Alberto Contini, ma bisogna dire che si inscrive a buon diritto nella natura stessa delle secolari carpensi pulsioni. Uscire dalla miseria e scongiurarla, guardarsi intorno, annusare (ammusare) quel poco che l’eterna natura onnipossente “che ci fece all’affanno” ci lascia come residuo o scaglia. E adoperarlo, lavorandolo, o facendolo lavorare, con cura, dedizione e intelligenza. Fino a trarne, perché no?, qualche lustrino di illusorio benessere.
Non ricordiamo bene in quale saggio o prolusione o intervento accademico, o semplice conversazione intercettata, il professor Mario Bizzoccoli (musicologo e qualcosa di più) espresse un giorno un pensiero illuminante: questa nostra città ha saputo e soprattutto dovuto gloriosamente inventarsi, per secoli, di tutto: la scagliola surrogato del marmo, il truciolo dai nostri pioppeti salvo poi…, e la maglieria, camiceria pigiami e mutande. Il punto era questo: il carpigiano ha sollevato la testa rispetto a quando la chinava, la povertà lo spingeva a tutto tranne che alla ribellione. E più poveri di lui erano i materiali e i rapporti di produzione.
Per ritornare all’amato gnocco fritto, alle indigeribili tigelle, ai semisconosciuti borlenghi, o crescioni e piade e piadine che dir si voglia, elenchiamo qui sotto quanto è nostro dovere di rimarcare:
MUP, I buoni sapori di casa, TIGELLE, GNOCCO FRITTO & BORLENGHI autrice Marzia Lodi
MUP, I buoni sapori di casa, PIADE, PIADINE & CRESCIONI
autrice Marzia Lodi

venerdì 12 novembre 2010

Mio nonno

Ieri sera, a cena, che era San Martino e da noi, a San Martino, è tradizione che si mangino i maroni, c'era anche mio nonno, Corrado, il disertore, quello che aveva preso un ceffone per colpa della divisa del balilla e che poi, anni dopo, aveva affrontato un celerino. click.

Grande concorso (addendum)

Nel ricordarvi che, se volete, potete disegnare l'header di Barabba, postiamo qualche info aggiuntiva, visto che ce l'hanno chiesto:

- va bene qualsiasi formato;
- potete anche fare un disegnino;
- basta che lo sfondo sia bianco;
- basta che ci sia un titolo e che sia "Barabba";
- e che ci sia un sottotitolo e che sia "chi si salva è perduto";
- ma ognuna delle regole sopraccitate è violabile senza grossi problemi;
- ché siam liberi e libertari.

Spedite pure i vostri manufatti a marcomncrd chiocciola gmail punto com. Ne è arrivato uno solo, per ora.

giovedì 11 novembre 2010

Nel dubbio

Io non lo so, ma l'ultimo euro di benzina, quando hai la pompa in mano e senti che il flusso sembra sparito, e intanto continui a tenere la maniglia premuta mentre il contatore dei soldi rallenta di colpo e va piano, e continua a rallentare per tutto l'ultimo euro di quelli che hai infilato prima nella colonnina automatica, e non è mica così anormale che ti venga il dubbio, al volo, ché ti sembra di esser lì a tener premuta la maniglia per niente, e io non lo so, quell'euro lì, l'ultimo, secondo me te lo fregano.

mercoledì 10 novembre 2010

Grande concorso

L'avevamo chiesto a un po' di disegnatori che conosciamo in carne e ossa, ma poi son talmente indaffarati, quegl'imbrattacarte, che si dimenticano di farlo o non hanno tempo, valli a capire. Allora lo chiediamo a voi, alla rete, perché abbiamo visto che ogni tanto funziona: avete mica voglia di disegnarci un header per Barabba da mettere al posto di quella roba grigina che vedete quassù?

Le regole sono semplici: sfondo rigorosamente bianco, titolo "Barabba", sottotitolo "chi si salva è perduto", dimensioni a piacere ma più o meno le stesse del grigino attuale, spedite il tutto al solito marcomncrd chiocciola gmail punto com.

L'idea l'abbiamo presa da Disma. E facciamo nostre le sue parole, quando dice:

"ovviamente mandandomi il coso, rinunciate a qualsiasi diritto su di esso e se un domani un architetto di successo me lo volesse comprare per usarlo come spunto per la forma di un grattacielo io sarò l’unico beneficiario dell’assegno dell’architetto di successo. Se poi questa meschina iniziativa non dovesse avere successo, al contrario dell’architetto, la farò cadere nell’oblio dimenticandomi di averla mai avviata. Presto! Veloci! La fama vi aspetta!"

martedì 9 novembre 2010

CCCP

Chiedevo sempre a mio padre cosa volesse dire C.C.C.P., quando lo leggevo sulle canottiere degli atleti ai mondiali o alle olimpiadi. Mio padre rispondeva tutte le volte: “Col Cazzo Che Perdiamo!”. Avevo dieci anni quando cadde il muro. Quasi undici.

lunedì 8 novembre 2010

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Gamberoni gourmandizer con tortino di patate e vongole

Affettate una cipolla tropea. Ammollatela in acqua e tenetela lì.

Lessate delle patate o cuocetele al vapore. Per me cambia poco, tanto vanno schiacciate per bene e mescolate tipo insalata insieme a un uovo per commensale, poco burro fuso, del curry, delle vongole. Prendetele in scatola, che fate prima. Oliate degli stampini e metteteci dentro il compostone. Cuocete in forno caldo a 180 gradi fino a quando la parte visibile non è ben dorata.

Mentre cuoce, mettete a soffriggere la cipolla con un po' di burro e olio, quando comincia a dorare caramellatela versandoci sopra una discreta quantità di zucchero. Scottate i gamberoni sulla griglia per qualche minuto e serviteli con sopra la caramellata di cipolle.

A fianco mettete il tortino.
Una Guinness.

domenica 7 novembre 2010

Biografie essenziali (speciale Bolero)

Frank Zappa amava la musica e odiava i musicisti. Scriveva partiture complicatissime per soddisfare entrambe le pulsioni.

Tazio Nuvolari fece di tutto per non morire nel suo letto, ma non vi riuscì.

Luciano Re Cecconi era un centrocampista abilissimo nelle finte. Non solo in campo.

Paolo Volponi fu il primo dirigente FIAT ad iscriversi al PCI, nonché uno dei più rapidi ad essere licenziato.

Pierangelo Bertoli si poteva definire tranquillamente uno con la schiena diritta. Purtroppo solo metaforicamente.

Tutti sanno che i jazzisti negri sono dei drogati. Per questo quando Eric Dolphy arrivò all'ospedale di Berlino in piena crisi iperglicemica da diabete lo presero sottogamba.


(di Stefano Pederzini aka Bolero)

sabato 6 novembre 2010

Biografie essenziali (95)

Venedict Erofeev temeva per il suo collo e usava sempre una sciarpa per proteggerlo. Diagnosi corretta, terapia sbagliata.

giovedì 4 novembre 2010

Un diamante è per sempre

L’altra sera guardavo una partita delle World Series, la finale del campionato americano di baseball, quella dove se vinci sei il campione del mondo, anche se ci giocano solo delle squadre americane. Dopo un’ora e mezza ho pensato Toh, guarda, è già finita una partita di calcio. Ed eravamo al quinto inning, circa a metà.

Poi ho pensato che nel baseball americano ci sono delle regole strabilianti. Il faul ball, per esempio, dove il battitore colpisce la pallina e questa gli schizza dietro la testa, verso le tribune, o comunque fuori dal campo ma non di fronte, altrimenti sarebbe home run, e vale come strike solo se il battitore ha meno di due strike sul groppone, altrimenti non vale e si deve rifare, e a lui gli può capitare un altro faul ball e allora bisogna rifare ancora, e questa cosa qui può andare avanti per sempre.

Oppure il tentativo di rubare una base, per esempio, dove un tizio che ha conquistato una base, mentre il lanciatore sta decidendo che tiro tirare al battitore, lui, il tizio, prova a correre verso la base successiva, ma il lanciatore se ne accorge e tenta di eliminarlo buttando la palla al suo compagno in difesa sulla base già conquistata, allora lui, il tizio che sta correndo, è costretto a tornare indietro verso la base dov’era prima e toccare il cuscino prima che lo faccia il compagno di squadra del lanciatore, e intanto il battitore è lì che si gira i pollici perché non deve fare niente, e se il tizio che voleva rubare una base torna indietro e si salva, quando il lanciatore si rimette a pensare al tiro da tirare al battitore, lui, il tizio che è tornato indietro, può provare a rubare una base di nuovo e il lanciatore a fregarlo ancora, e questa cosa qui può andare avanti per sempre.

Oppure il pareggio, per esempio, che non esiste, perché nel baseball americano o vinci o perdi, magari piove e si annulla tutto, ma non si può pareggiare, e quindi, arrivati al nono inning, che è l’ultimo, di solito, se le due squadre son pari, si fa un altro inning, il decimo, e poi se dopo il decimo inning, che son già quasi passate tre ore di gioco, le due squadre sono ancora pari, allora si fa un altro inning, l’undicesimo, e questa cosa qui può andare avanti per sempre.

Ecco, a me questa cosa qui, che esiste uno sport così, nel mondo, e non è un caso che sia proprio in America, dove sembra sempre tutto tirato al massimo, al limite, come la farcitura dei panini, questa cosa qui, dicevo, questa cosa che esiste uno sport dove una partita può durare per sempre, mi manda giù di testa.

martedì 2 novembre 2010

Che libro strano

La prima volta che ho letto la centoventotto rossa (si scrive così, senza maiuscole) ho pensato Che libro strano. Quando l'autrice, l'elena (si scrive con l'articolo e la minuscola), mi ha chiesto cosa ne pensassi, io le ho risposto Non lo so, non so neanche farti delle critiche, ti conosco troppo bene, come faccio? Poi l'ho chiuso e sono andato alla finestra. Che strano, ho pensato. Non bello, non brutto, non un qualsiasi altro aggettivo che potesse passarmi per la testa, no, mi veniva in mente solo quella cosa lì, che era un libro strano.

La centoventotto rossa è un frattale. Dopo le sue centoventidue pagine ti sembra di avere in testa una forma, diciamo un quadrato, tanto per capirci e farci un'idea visiva. Poi ci ripensi, e quel quadrato ti accorgi di averlo trovato, nella sua interezza, in ognuno dei racconti del libro. E allora ti rimetti a pensare, e trovi ancora lo stesso quadrato in tutte le pagine, anche prese una per una, e scopri che ogni frase è lì a ribadire e rappresentare lo stesso quadrato. Non importa che a parlare o a pensare sia ora un personaggio maschile, ora uno femminile, ora una bambina, ora un non si sa chi. La centoventotto rossa è il libro ed è il quadrato, ma la centoventotto rossa, il quadrato, è anche ogni racconto, ogni pagina, ogni frase.
La mia capacità di analisi, come al microscopio, arriva fin lì, alle frasi, che sono la cosa più piccola che riesco ad analizzare. Con una raffinatezza ottica migliore, una cosa che io non ho, magari si può arrivare alle parole, all'inchiostro, ai pori della carta, alle molecole, agli atomi, alle particelle e così via, e secondo me, se uno riesce a farlo, dovrebbe trovare sempre quel quadrato che all'inizio avevamo preso per semplicità, per farci un'idea visiva. Insomma, trova sempre la centoventotto rossa.

La centoventotto rossa, quel quadarato frattale che si ripete nella sua interezza, è una ragazza che cammina sola per la strada, di sera; cammina lenta, pensierosa; è triste, è appena piovuto e lei non ha una gran voglia di tornare a casa, allora è lì che cammina; cammina lenta e pensa, si fa delle domande e si risponde. Alle domande che si fa, e sono tante, si risponde sempre Boh.

La prima volta che ho letto la centoventotto rossa ho pensato Che libro strano. Secondo me è un complimento.

______

(Elena Marinelli, “la centoventotto rossa”, Autoprodotto, pagg. 122, 10 euro)

lunedì 1 novembre 2010

Il naso rosso (climax)

L'ingegnere si morse le labbra con dispetto, si mise a navigare su internet e, contrariamente alle sue abitudini, decise di non commentare nessuno e di non laicare alcunché. Tutt'a un tratto si fermò come inchiodato su FriendFeed; sotto i suoi occhi si verificava un fenomeno inspiegabile. Nella pagina principale c'era una discussione; avvicinandosi allo schermo vide un uomo in giacca e cravatta. Quale non furono lo spavento e nello stesso tempo lo stupore dell'ingegnere quando in lui riconobbe il proprio naso rosso! Davanti a questo spettacolo insolito, così almeno gli parve, la sua vista si annebbiò; sentiva che poteva appena reggersi in piedi, ma decise di aspettare a qualunque costo il ritorno del naso rosso nella discussione, sebbene tremasse tutto come in preda al delirio. Due minuti dopo, effettivamente, il naso rosso scrisse un commento. Indossava giacca e cravatta, una camicia azzurrina con un grande colletto; aveva lo sguardo intelligente e l'espressione semiseria. Dalla forma del viso si poteva dedurre che si considerava un impiegato della Apple, un Michele Campeotto. (*)

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Marugoni pastellati

In primavera le piante sono in fiore e anche le acacie non fanno eccezione. I fiori di acacia, dai quali si ricava un miele a costo contenuto, sono molto comuni. Qui da noi in Emilia si chiamano "MARUGOUN" e la pianta dell'acacia viene anche detta "MARUGA".

Maruga è anche il soprannome che viene dato a quelli un po' zucconi, ma non c'entra il vegetale (zucca) quanto la testa. La MARUGA, appunto.

Questa ricetta, curiosamente, va bene anche per i fiori di zucca. Ma quelli di Maruga costano meno. Li potete trovare in tutte le strade, sulla via Emilia ce ne sono un sacco. Magari non prendete i fiori proprio dalle piante sulla via Emilia, ché quei fiori lì son quasi grigi per via dello smog. Andate, che ne so, in riva al Secchia o al Panaro, all'Enza, al fiume che volete. Lì troverete dei bei fiori bianchi, li mettete dentro a una sporta e andate a casa.

Lavateli.

Fate una pastella con la birra di grano, la farina 00, il sale, il pepe, il latte e le uova. Impastellate i fiori di Maruga e friggeteli in abbondante olio bollente, poi asciugateli con la carta per fritture.

Servite accompagnato da una birra bianca.

domenica 31 ottobre 2010

Decalogo

1
UN PIEDE ALLA VOLTA
2
POI PASSARE ALL'ALTRO
3
USARE TUTTE DUE LE MANI
4
LACCI LUNGHI UGUALI
5
È LA COSA PIù LUNGA DA FARE QUANDO HAI FRETTA
6
DOPO LA PRIMA VOLTA TI SENTI FINALMENTE PARTE DELL'UMANITà
7
A OCCHI CHIUSI È QUASI DA ONANISTI
8
QUANDO POI FARAI IL NODO ALLA CRAVATTA
ENTRERAI NEL MONDO ADULTO
9
DOPO AVER FATTO L'AMORE È PIù FACILE
10
SOTTO, SOPRA E INCORCIA, GIRA, GIRA, INCROCIA E STRINGI, PRATICAMENTE LO SCHEMA DEL FOGGIA DI ZEMAN

(scritto in occasione di questo nell'ambito di questa iniziativa)


venerdì 29 ottobre 2010

A voce alta

C'è una bella differenza tra leggere ad alta voce, in pubblico, e leggere a voce alta, sempre in pubblico. Leggere ad alta voce implica predisposizione, premeditazione, impostazione, studio. Bisogna esser bravi. Leggere a voce alta è più semplice, forse più intimo, e consiste nell'azionare tutto d'un colpo l'interruttore che accende le corde vocali del nostro leggere mentale, tirare su la manopola del volume e portare le parole del libro alla luce in modo pressoché spontaneo. Bisogna essere sé stessi.

Ecco, io leggo a voce alta. E quando quella che legge sempre dal vivo, che invece legge ad alta voce, mi dice che son bravo, io vengo investito da un'ondata violenta di imbarazzo, gratitudine e spavento. Però qualcosa di vero ci deve pur essere, perché mi applaudono, sovente. Sarà per via dell'accento. La cosa bella è che quando lo faccio tremo ancora come una foglia. Roba che nemmeno quando canticchiavo il rocchenrol da ragazzino.

Tutto ciò per dire che quella che legge sempre dal vivo ha scritto un libro, si chiama la centoventotto rossa, e lo presenta domenica a Rolo, lì al confine col mio natio borgo selvaggio. Mi ha chiesto di leggerne un pezzetto in pubblico. Lo farò, a voce alta.

La cosa si ripeterà allo Zammù di Bologna, il 4 novembre, che è il giorno della vittoria, una volta era festa, ora non più. E poi ce le portiamo in giro, quella che legge sempre dal vivo e la centoventotto rossa, col tour di Schegge di Liberazione, a Perugia e a Roma. Abbiam pensato di chiamare queste serate: Resistenza a motore. Che fantasia, eh?

E niente, ogni occasione è buona per darci e ricevere delle gran pacche sulle spalle, far tintinnare i bordi di vetro dei rispettivi calici, abbracciarci, che è sempre una bella cosa, e sparare corbellerie fino a notte inoltrata. Ci vediamo presto, dai.

_____

(update 1: mi son dimenticato di dire che a Rolo leggo a voce alta anche un pezzo di quello che suona sempre il chitarrino e non legge mai perché, come si dice dalle nostre parti, s'intartaglia. Sarà l'ultimo sbriciolu(na)glio ballabile, nel senso che il libro che ha scritto quello del chitarrino è praticamente esaurito. Gli abbiam detto di fare un ebook, ma lui è un mujaheddin della carta e nicchia sempre sulla questione)
(update 2: mi son dimenticato di dire, poi, che il 6 novembre, che non è festa, ma è un sabato, leggo a voce alta un pezzo della centoventotto rossa allo spazio Meme di Carpi, un posto dove ci sono le birre artigianali e io ci arrivo a piedi)

giovedì 28 ottobre 2010

mercoledì 27 ottobre 2010

Fantasie di un magazziniere: Ci

Nel bar di Mirandola dove ogni tanto, quando faccio tardi e non faccio colazione a casa, prendo un caffé o un cappuccino veramente ottimo (offrono pure pezzi di torta al bancone, forse per distrarti dalla permanente a casco della proprietaria), ieri mattina sulla lavagnetta del menu con calligrafia corsiva femminile e gesso rosa campeggiava:
Conosco un essere (di sesso maschile) che se gli dessero soldi per ogni minchiata che dice, con i 50€ ci si potrebbe pulire il culo.

martedì 26 ottobre 2010

W

Avevo un sogno, quand’ero piccolo: fare l’astronomo. Dev’essere iniziato tutto quando ho scoperto che mio zio era socio di un gruppo di astrofili, e quando andavo a trovarlo c’eran sempre tutte queste riviste di astronomia, nel suo bagno. Lui, mio zio, faceva l’operaio, ma un giorno si vede che ha tirato su il naso, di notte, verso il cielo, e da quel giorno lì non è più riuscito a tirarlo giù. Io, poi, non capivo niente di quello che c’era scritto su quelle riviste di astronomia, ma guardavo le figure, eran belle da perdere il fiato. Allora lui, mio zio, mi ha portato fuori al buio, era inverno, mi ricordo, e mi ha fatto vedere le costellazioni. La vedi quella lì a forma di W?, mi ha detto, quella lì è Cassiopea.

Quel sogno di diventare astronomo non è mica andato via. Dev’essere per quello che alle medie sapevo già tutti i nomi delle costellazioni, soprattutto quelle invernali, che secondo me eran le più belle, con Orione, che proprio lo vedi tendere l’arco, Sirio, che brilla più di tutte, e Cassiopea, che poi si vede tutto l’anno perché è circumpolare (sapevo questa parola difficile che faceva sempre un figurone, a scuola) e mi divertivo a dire agli amici: Oh, guarda, la vedi quella W?, quella è una tipa mezza nuda e mezza coricata. E loro, i miei amici, non capivano e mi mandavano a cagare. Però io la vedevo, sensuale, bellissima, ci facevo anche dei pensieri strani, con Cassiopea.

E continuavo a sognare di fare l’astronomo. Dev’essere così che mi son messo a leggere i libri di astrofisica, il primo è stato Stephen Hawking, sempre alle medie. Mi ricordo che leggevo Cuore di tenebra al pomeriggio e Dal big bang ai buchi neri la sera. E la bocca mi si spalancava per i grandi fiumi africani come per lo scoprire che la distanza più piccola tra due punti non è una retta, che era quello che ci stavano insegnando in geometria. Ogni pagina era un giramento di testa. E la sera guardavo il cielo e lei era sempre lì, sempre a W, sempre mezza coricata e con pochi vestiti, e anche se adesso sapevo che era solo una questione di prospettiva, la sua W, lei era sempre sensuale e bellissima, Cassiopea.

Quel sogno di fare l’astronomo non andava mica via. E un giorno, quand’ero più grande, alzo gli occhi al cielo, come quasi tutte le sere, e vedo Hale-Bopp. Rimane lì per dei giorni, stampata nel cielo, e mi entrano le zanzare in bocca mentre sto a guardarle la coda. Nel frattempo scopro che mio zio e il suo gruppo di astrofili, insieme all’osservatorio di Castelnuovo Sotto, avevano fatto la foto più bella del mondo alla cometa e che la NASA li aveva contattati e gliel’aveva comprata. Però in quei giorni, mentre tutti avevano gli occhi verso Hale-Bopp, io dicevo: Guardate anche là, a nord, la vedete quella W? È bella, non è vero? È Cassiopea.

E insomma, avevo un sogno: fare l’astronomo. Solo che poi, sempre in quei giorni lì, quelli di Hale-Bopp, mi dicevan tutti di diventare un ingegnere, che ero portato, che si trovava lavoro, che secondo loro era la mia strada. E io, che non ho poi ‘sta grande spina dorsale, niente, ho ceduto, ho fatto ingegneria. Così il sogno se n’è andato, e progressivamente ho smesso di guardare le figure sulle riviste di astronomia, ho smesso di leggere libri difficili di astrofisica, ho smesso di dire ai miei amici guarda quella W, guarda com’è bella, stasera, mezza nuda e mezza coricata, Cassiopea.

L’ho tradito, quel sogno di fare l’astronomo, l’ho tradito in malo modo, ma fa lo stesso. Ora ho letto Seconda stella a destra, il libro di Amedeo Balbi che ho trovato nella sezione Ragazzi della libreria, e, porcavacca, la testa mi si è riaperta in due. Volevo scriverci un post, ma ci ha pensato Squonk, ha detto tutto quello che c’era da dire. Di mio volevo scrivere che da stasera, nella sezione dello scaffale del salotto dove raccolgo i libri che si farà leggere o leggerà il mio futuro figlio – non è nemmeno in programma, per ora, non preoccupatevi, però non si sa mai – insieme a Pinocchio, Alice, Il piccolo principe, Tom Sawyer e qualche altro, ci sarà anche Amedeo Balbi. Ma io, adesso, proprio ora, mentre scrivo, ho una smania che non vi dico di riveder le stelle. E dovrò aspettare dei giorni, perché ieri pioveva, oggi anche, domani pioverà, m’immagino, e io aspetto e aspetterò che si schiarisca un po’ il cielo per poi tirar su il naso, guardare verso nord e cercare una W. E chissà come sarà, dopo così tanto tempo che non la guardo. Sarà invecchiata, perché le sue stelle pian piano, impercettibilmente, l’una dall’altra le si sono allontanate. Ma lei sarà lì, ancora, lo so, farò pensieri strani, forse, e le chiederò come stai, come stai e da quanto non ci vediamo, eh, piccola donna mezza nuda e mezza coricata? Son sempre io, sai? Anche se ti ho tradita, ma è la vita. Ma parlami di te, piuttosto, come stai, lassù, e come fai a rimanere cosi sensuale e cosi bella, dopo tutto questo tempo, Cassiopea?

lunedì 25 ottobre 2010

A tavola con Tiziano Fiorveluti: cous cous sacrilego

Cuocete il cous cous. Usate quello pronto, seguendo le istruzioni sui pacchetti. Qualche purista si infurierà, ma, per parafrasare Ugo Tognazzi ne La grande abbuffata, quando gli fanno notare che molta carne è surgelata, “Chi siamo noi per fermare il progresso ?”

Andrà condito con guanciale di maiale, tagliato a dadini e soffritto lentamente in padella con uno spicchio d’aglio (se non è troppo grasso, potete metterci un cucchiaio d’olio) e con broccoli lessati in acqua salata. A questi uniremo (abbondando) chiodi di garofano e peperoncino.

In molti associano il cous cous alla religione musulmana. Se questo può esser vero, è anche vero che gli arabi lo hanno lasciato in eredità ai popoli da loro assoggettati nel corso della Storia e quindi oramai questa gustosa base di carboidrati è una cosa internazionale. Tuttavia, per quelli più ottusi e per i tipi à la Borghezio, che faceva pisciare i maiali sui terreni nei quali dovevan sorgere le moschee, un piatto del genere può rappresentare una libidinosa alternativa ideologica. Per gli atei come il sottoscritto, viceversa, si tratta semplicemente di una roba buona. Non ce l’ho con l’Islam, almeno non più che con la religione cattolica. Il nome dunque va preso per quello che è: “Una boutade” (per essere eleganti).

domenica 24 ottobre 2010

(Trascrizione più o meno fedele di) Non è star sopra un albero: ebook collettivi e socialcose che si fanno senza carta

(sotto richiesta insistente di blodeinside, quello che segue è il mio speech all'EAVIcamp di ieri. Ed è anche un calco spudorato di quello fatto al WriteCamp, ma mi hanno applaudito ancora. Pensa te, la gente)

Buongiorno.

Si sente se parlo così?

Prima di cominciare vorrei ringraziare l'organizzazione dell'EAVIcamp – fin qui mi è sembrato interessantissimo, e mi scuso anticipatamente se il mio intervento imbolsirà tutta la questione, è anche tardi; e poi ho questa cosa che non riesco a parlare a braccio e mi son scritto tutto, spero che non vi disturbi – ringrazio tutti e in particolar modo vorrei ringraziare Andrea Zanni, che mi ha contattato via mail dicendomi: Mi è piaciuto molto l'intervento che hai fatto al WriteCamp, vuoi farlo anche all'EAVIcamp di Modena? Io gli ho risposto: Ok, ma ne scrivo un altro, perché ho la mia deontologia spicciola da rispettare. Ed eccomi qui, sul pulpito, a dire delle cose. Tanti anni fa, in questa stessa aula, stavo dall’ altra parte della cattedra.

Il mio intervento si intitola Non è star sopra un albero: ebook collettivi e socialcose che si fanno senza carta e affronta questioni legate alla creazione di ebook collettivi e gratuiti da parte, essenzialmente, degli scrittori che abitano la blogsfera, questioni di libri digitali e partecipazione, quindi siamo a tema con l'evento, credo.

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Quella che vorrei raccontarvi è una storia recente, comincia all'inizio del 2010, febbraio, per la precisione, quando, dopo aver riesumato un vecchio blog di nome Barabba – un blog collettivo, anche se ci scrivevamo solo in due, adesso siamo cinque o sei, ma prima solo due, e da un po' avevamo anche smesso di scriverci perché non c'erano stimoli, ma è un'altra storia – dopo aver riesumato Barabba, dicevo, perché ci era tornata la voglia e perché mi ero appena iscritto a FriendFeed e lì tutti hanno un blog, un giorno di febbraio mi incontro col mio socio e gli dico: 'scolta, perché non facciamo un ebook sulla Resistenza, visto che quest'anno, a Carpi, c'è l'anniversario di Materiali Resistenti? Lui, il mio socio, che è un tipo un po' tecnovillano, mi ha detto Perché no, mi sembra una bella idea, occupati tu della parte internettiana che io penso alla serata di presentazione. Va bene, gli ho risposto, allora siam d'accordo. Lui mi ha detto: sì.

La storia che vi sto raccontando, in realtà, parte da molto lontano, da un altro blog, che si chiama Squonk, dove dal 2003, ogni anno, sotto Natale, il titolare chiama a raccolta la blogsfera per il Post sotto l'Albero. Il Post sotto l'Albero è un ebook vagamente natalizio, in pdf, nel quale i blogger scrivono delle cose e lui, Squonk, le mette insieme, come un raccoglitore, e fa questo regalo alla rete lasciandolo scaricare gratuitamente a chi voglia leggerlo.

A me serviva una leva per convincere il mio socio, che, come vi ho detto, è un po' tecnovillano, e il Post sotto l'Albero sembrava una carta vincente. E infatti…

Ma torniamo a noi, all'ebook sulla Resistenza.

Appena abbiam detto facciamolo, ho pensato di diramare un appello su FriendFeed – avevo una trentina di iscritti al mio profilo, all'epoca – e ho chiesto: cosa ne dite se facciamo un ebook collettivo sulla Resistenza, come il Post sotto l'Albero, per intenderci, ma sulla Resistenza?

Il giorno dopo avevo quadruplicato gli scritti e avevo già un sacco di commenti, messaggi e mail di gente che mi diceva: che bello, proprio una belle idea, io ci sto.

Da lì siam partiti col reclutamento: via twitter, facebook, tumblr, il blog, a voce, eccetera. Ci eravamo inventati un tormentone, Barabba dice 26x1, e lo ripetevamo ossessivamente in ogni proclama, così, per entrare nella testa della gente, prendendo spunto ancora da Squonk, che per il Post sotto l'Albero dice a tutti: Hop hop hop. E quando tu sei su internet, su FriendFeed in particolare, e leggi Hop hop hop , sai che devi sbrigarti a scrivere un post per lo Squonk, perché Natale si avvicina, non si scappa.

Il 15 aprile, la deadline per la consegna, avevamo già raccolto una sessantina di contributi, tra racconti, saggi, ragionamenti, poesie, disegni, foto e perfino un monologo teatrale molto lungo.

Così abbiamo impaginato un ebook, un libro di 211 pagine in pdf, e gli abbiamo dato un titolo, Schegge di Liberazione (tanto per richiamarci ai Materiali Resistenti, ci sembrava un buon titolo), e l'abbiamo presentato in pubblico il 24 aprile, in un locale di Carpi, con delle letture e dei blogger che erano venuti per leggere i propri pezzi o quelli altrui, o anche solo perché erano curiosi.

È stato un successo. Senza che muovessimo un dito ci han chiamati a leggerlo a Bologna in un festival di culture antifasciste, in radio, sempre a Bologna, poi hanno appeso i racconti in una villa di Mestre e l'abbiamo letto a Milano, a novembre dobbiamo andare ancora a Bologna, a Perugia e a Venezia, e a Roma (pensa te, a Roma) a dicembre... insomma, un ebook e un tour, proprio come per i libri veri, quelli di carta.

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Eravamo così galvanizzati che verso la metà di maggio mi incontro col mio socio, quello un po' tecnovillano, e gli dico: senti, veh, perché non facciamo un ebook sulla Sfortuna, visto che quest'anno, a Carpi – adesso sembra che succeda tutto a Carpi – c'è il decennale del Festival di Filosofia e il tema è la Fortuna? Lui, il mio socio, mi ha detto Perché no, tanto siamo in ballo, mi sembra anche una bella idea, occupati tu della parte internettiana che io penso alla serata di presentazione. Va bene, gli ho risposto, allora siam d'accordo. Lui mi ha detto: sì.

Di nuovo, ho pensato subito di diramare un appello su FriendFeed. Ho chiesto: cosa ne dite se facciamo un ebook collettivo sulla Fortuna eccetera eccetera, come il Post sotto l'Albero, come Schegge di Liberazione?

Il giorno dopo avevo già un sacco di commenti, messaggi e mail di gente che mi diceva: che bello, io ci sto. E alcuni erano gli stessi di Schegge di Liberazione, altri, visto che la voce si era sparsa bene, erano nuovi.

Siamo quindi ripartiti col reclutamento: via twitter, facebook, tumblr, il blog, a voce, eccetera. Ci eravamo inventati un altro tormentone, diceva: Accettate la sfiga, ed era il primo calembour che ci saltava in mente, ma funzionava.

Il 9 settembre, la deadline per la consegna, avevamo già raccolto più di sessanta contributi, tra racconti, saggi, ragionamenti, poesie, disegni e foto. Così abbiamo impaginato un ebook in due volumi di oltre 130 pagine l'uno, in pdf, ma stavolta anche in epub e mobi, che in pochi mesi i tempi erano cambiati, e gli abbiamo dato un titolo: Cronache di una sorte annunciata, che era il secondo calembour che ci saltava in mente.

L'abbiamo presentato in pubblico venerdì 17 settembre, in un locale di Carpi, con delle letture e dei blogger che erano venuti per leggere i propri pezzi o quelli altrui, o anche solo perché erano curiosi.

È stato un altro successo. Nella piazza lì di fianco c'era Erri De Luca, ma è andata bene lo stesso. Talmente bene che abbiamo deciso di rileggerlo tutti i venerdì 17 da qui alla fine della Storia, in un locale che si è detto disponibile per questa mattata. La prossima lettura è a dicembre, quella dopo a giugno del 2011 e così via.

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Non so se ne faremo degli altri, di ebook collettivi con la blogsfera, perché è un gran lavorare. È bello, ma è un gran lavorare, gratis, oltretutto, e a stare delle notti intere a impaginare si rischia anche il divorzio.

Però da questa esperienza abbiamo capito delle cose sulla rete e sul reclutamento degli scrittori in rete. Abbiamo capito che c'è un sacco di gente che ha voglia di scrivere, basta solo dargliene l'opportunità contattandoli sui vari socoalcosi. Su alcuni di questi la chiamata funziona bene, su altri meno.

Non funziona su facebook, per esempio, dove nessuno, in fondo, legge la bacheca, e infatti han fatto bene a chiamarla bacheca. Sarà che soprattutto è gente che conosci dal vivo, sarà che, a parte postare dei video o commentare gruppi discutibili, di tutto il resto non frega niente a nessuno, ma facebook non è un luogo dove le persone discutono. È utile a cose fatte, per la promozione, ma è un altro discorso.

Non funziona su twitter, che in fondo è un canale monodirezionale, simplex, con alcuni momenti fastidiosissimi di half duplex, cioè come i walkie-talkie. Cercare di reclutare scrittori su twitter è come sparare a salve: fai un gran botto, lo sentono tutti, ma non colpisci nessuno.

Non funziona a voce, dove i tuoi amici ti dicono sì partecipo volentieri, poi si dimenticano. Ma d’ altra parte ognuno ha gli amici che merita.

Funziona invece con un blog, che ti dà una certa autorevolezza e vien letto dalla gente, perché la gente, tutto sommato, i blog li legge ancora. Funziona con tumblr, che poi è una versione rapidissima della blogsfera. E funziona soprattutto con FriendFeed, questo socialcoso che è anche un luogo di conversazioni, discussioni, liti furibonde, tacchinaggi estremi, ma in fondo un posto dove la blogsfera italiana partecipa e condivide, un luogo totalmente duplex, quasi puramente bidirezionale, dove nel marasma generale le idee buone riescono a fare breccia.

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Non ho altro da aggiungere sulla questione. Se volete, potete andare su Barabba e scaricare Schegge di Liberazione e Cronache di una sorte annunciata, che nel frattempo son diventati dei blog autonomi e continuano a crescere con contributi inediti, si chiamano Schegge di Librazione e Cronache di una sorte annunciata. Cercando su Google, trovate tutto.

Poi, sempre se ne avete voglia, potete venirci a vedere quando li leggiamo in pubblico e, se ve la sentite, potete venire a leggere anche voi, potete dircelo all'ultimo minuto, tanto noi siam lì, è tutto gratis.

Se faremo degli altri ebook non esiteremo a comunicarvelo, proprio come abbiamo già fatto e come ho spiegato nel corso del mio intervento. E se ne farete voi, invece, e le cose che ho detto oggi vi saranno state d'aiuto, ditecelo pure che ci fa piacere.

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Insomma, per concludere il mio intervento, noi di Barabba abbiam capito che per fare degli ebook collettivi con gli scrittori che abitano la blogsfera, servono un blog – non necessariamente, ma è meglio averlo, anche solo per accaparrarsi un po' di credibilità – e soprattutto FriendFeed. Lì i blogger, straordinariamente, hanno trovato un luogo di aggregazione formando una community abbastanza affiatata e partecipativa. Funziona benissimo, almeno in Italia, dalle altre parti non so. Forse in Turchia.

Non sappiamo se questo, cioè il fatto di fare dei libri elettronici gratuiti e collettivi, potrà mai diventare un aspetto, seppur marginale, della nuova editoria digitale che sta nascendo in questi giorni. Ma dall'esperienza di due ebook, che non dobbiamo aver paura di chiamare libri, dove gli srittori grandi e piccoli, fino ai nomi importanti come Leonardo, Spinoza e Simone Rossi, per dirne alcuni, non si fanno problemi a collaborare e a partecipare, abbiamo capito che uno dei modi possibili per liberare la parola dal suo supporto tradizionale, dalla sua prigione cartacea, e farlo gratuitamente, servono un po' di tempo da perdere e un luogo di discussione vera e bidirezionale tra blogger e raccoglitori, tra scrittori ed editori.

Come ci hanno insegnato Schegge di Liberazione, Cronache di una sorte annunciata e il capostipite, il Post sotto l'Albero di Squonk, e come ci ha insegnato quel bravo canzonettista milanese, volendolo parafrasare: la libertà – della parola scritta, nel nostro caso – non è star sopra un albero: la libertà è partecipazione.

Grazie a tutti. Ho finito.